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Il Primitivo a Salerno, addirittura in forma di spumante rosé, perché no? Dai Balcani alle Puglie, sino in California e oltre, gli itinerari di questa cultivar li potrete leggere qui, rendendovi conto di quanto il Primitivo, e la vite in generale, sia cosmopolita e adattivo, visti i climi e i suoli diversi in cui viene allevato alle più disparate latitudini.

Tornando però alle nostre di latitudini, è noto che a portare le barbatelle di Primitivo di Gioia del Colle in Campania, precisamente in provincia di Caserta, fu il conte Falco agli inizi del ‘900, prelevandole direttamente dai suoi tenimenti pugliesi con il fine di ripristinare la viticoltura nelle sue aree, dopo che la fillossera l’aveva falcidiata, distruggendo il mito dell’autentico Falerno che perdurò dai tempi dell’Antica Roma fin quando ai francesi non venne la brillante idea di farsi mandare l’uva fragola dagli Stati Uniti.

In realtà, se è vero che il legame tra il Primitivo e la Campania si è consolidato da oltre un secolo, va riconosciuto alla provincia di Salerno, precisamente alla città di Cava De’ Tirreni, un merito ancor più importante e vetusto: dalla Badia metelliana infatti, precisamente a partire dal 1086, ebbe inizio il processo di insediamento in terra pugliese dell’ordine benedettino, favorito dai re normanni e, più avanti, dalla Casa di Svevia, per favorire proprio la viticoltura.

Va pertanto ribadito che senza questa missione e l’incessante attività dei benedettini, nel proteggere ed allevare le vigne esistenti, non sarebbe rimasta traccia alcuna delle viti che don Filippo Indellicati, primicerio della chiesa di Gioia del Colle, selezionò nel XVII secolo, dando per primo la definizione di Primitivo.

E proprio venerdì scorso, durante la prima edizione di Sorsi di Vino, tenutasi presso il Complesso Monumentale del Monastero di San Giovanni a Cava de’ Tirreni, pensate un po’, ho potuto assaggiare una bollicina sfiziosa, briosa e fuori dagli schemi, allevata in quel di Albanella, paesino all’ombra dei templi di Paestum, prodotta dalla Cantina Bello per la prima volta lo scorso anno.

Il Gianpié Seibar Spumante Charmat Brut Rosé 2024 di Cantina Bello è particolare per la sua natura androgina, grazie al suo bouquet elegante e femminile e il sorso affilato e virile. Il colore è quello del rosa cerasuolo, con bollicine numerose, non troppo fini e persistenti.

Dietro il sottile velo della viola appassita e della rosa canina, uno scampolo di timo essiccato con seguito di frutti di bosco, come lampone e mirtilli, ribes, poi pesca, marshmallow alla fragola e un’idea di chinola. Il sorso ha un ingresso morbido, proprio da brut al confine con l’extra dry, cremoso al di là della grana delle bollicine apprezzate visivamente. La beva è piacevolmente fresca e succosa, con le note di frutta confermate, sottofondo di banana, con chiusura sapida e abbastanza persistente. Qui ci facciamo menù, vista la versatilità del Gianpié Seibar, così chiamato per la sua pressione interna e Tempone Gianpietro, la contrada dove insiste il vigneto di origine: tartare di tonno rosso, uovo di quaglia, polvere di olive taggiasche per iniziare, risotto alle fragole mantecato al parmigiano stagionato 36 mesi e una frittura di triglie e totani alla moda di Trinidad.

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