Troppo spesso gli allestimenti museali continuano ad essere destinati solo alle cosiddette “persone normali”. La loro progettazione prevede utenti “tipo” senza in realtà pensare che il visitatore è un’entità che cambia nel corso della vita. Il concetto di accessibilità viene inteso in termini di percorsi separati per persone con disabilità. Ma può capitare a tutti di sentirsi disabili visitando una mostra.
Quante scale ancora per vedere l’altro piano della mostra? Non leggo la didascalia: è troppo in alto. Vorrei sedermi, ma non so dove, attenzione alle vetrine, non appoggiatevi, ….
Alzi la mano chi, entrando in un museo, non ha mai avvertito una situazione di ridotta capacità d’interazione con l’ambiente, chi non si è sentito disabile e limitato nella fruizione di un’esposizione o nell’ammirare un’opera d’arte.
Eppure l’Italia è il Paese che possiede il più grande patrimonio culturale del mondo, Lo dice l’UNESCO (Organizzzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura) nella World Heritage List, la lista che valuta in termini quantitativi la distribuzione del patrimonio culturale dell’umanità. Ma su quanto e in che modo è messo a disposizione del pubblico non esistono dati certi.
Quando si parla di accessibilità museale il termine viene spesso riferito agli esempi di percorsi per non vedenti che solo in questi ultimi anni si stanno pian piano moltiplicando e consistono in percorsi alternativi nei musei tradizionali. Si tratta in genere di pannellistica che troppo lascia all’immaginazione, grossolane copie in rilievo di oggetti in due o tre dimensioni. Gli originali rimangono comunque appannaggio delle persone cosiddette “normali”.
Senz’altro lodevole l’impegno del Museo Archeologico di Ferrara che mette a disposizione del pubblico un servizio da simposio etrusco ricomposto su un bancone appositamente progettato: reperti originali, “oggetti veri” da esplorare con tutti i sensi. E come non pensare al Museo Alinari di Firenze dove le fotografie diventano pannelli esplorabili con le mani. Gli Uffizi si sono attrezzati con 27 opere scultoree completamente toccabili, ma a patto di indossare i guanti. Il Museo Pigorini di Roma si è invece munito di schede in braille e di audio su CD. Esempi come questi si stanno moltiplicando ormai un po’ ovunque.
Possiamo affermare che questi musei siano diventati accessibili? I percorsi per non vedenti sono sufficienti a colmare il vuoto tradizionale che esiste tra lo spettatore, il godimento degli oggetti esposti e la fruizione dello spazio fisico del museo? Sicuramente costituiscono un passo in direzione non solo dello spettatore non vedente, ma anche verso chi della sola visione non si accontenta. Ma siamo ben lungi dal considerarli luoghi accessibili perché l’accessibilità non fa distinzione tra vedenti e non vedenti, tra abili e diversamente abili, tra alti e bassi, tra giovani e anziani.
L’accessibilità universale non è una disciplina riservata a pochi esperti (ingegneri, architetti, geometri ecc.) rivolta esclusivamente alle persone con disabilità che nell’immaginario collettivo coincidono con chi possiede deficit motori o visivi. E’ una prospettiva culturale che mette in discussione queste convenzioni stereotipate. Il più delle volte ciascuno di noi, qualunque caratteristica abbia, si adatta a spazi costruiti per “utenti tipo”, entità astratte che non hanno ètà, che non si ammalano, che non invecchiano. E questo è ancora più evidente negli spazi di un museo che decidiamo di visitare perché “aperto al pubblico” e a esso dedicato.
Nel nostro Paese, il più ricco di risorse culturali, non è stato fatto molto per incrementare quello che può essere definito turismo accessibile e la buona volontà di poche istituzioni si concretizza in piccoli servizi pensati per persone con disabilità. Pensare e realizzare un museo secondo i canoni dell’accessibilità universale vorrebbe dire destinarlo a tutti a prescindere dalla condizione o “stato”.
In questo senso non si può non pensare all’esperienza dell’Università di Siena che ha promosso il progetto “Vietato non toccare” e da Buonconvento lo ha portato in giro per l’Italia. Un laboratorio finalizzato all’esemplificazione delle buone prassi da adottare nella progettazione degli spazi dedicati all’arte e alla cultura. L’abbattimento delle barriere architettoniche, sensoriali, emotive, percettive è l’obiettivo di questa sperimentazione unica e all’avanguardia. Il modello di riferimento diventa l’uomo nel suo più ampio significato con tutte le trasformazioni che affronta nell’arco della vita. Nel progetto rientra il percorso museale itinerante che i visitatori compiono al buio, per stimolare la percezione attraverso quei sensi che abitualmente sono meno utilizzati nella conoscenza, come il tatto, l’olfatto, l’udito e il gusto. Ambientato nella preistoria, il percorso, che dal 2003 ha già fatto tappa in oltre 20 città italiane, riscuote sempre curiosità e successo di pubblico. Un pubblico, quello museale, che è sempre aperto a nuove esperienze, a sperimentazioni che vanno oltre l’osservare un oggetto limitato dallo spazio fisico di una vetrina.
In questa direzione diventa avveniristico un altro progetto: “After dark” che prevede la possibilità di visitare il museo dal divano di casa nelle ore notturne. Le sale della “Tate Britain”, la galleria d’arte di Londra, negli orari di chiusura sarà popolata dai robot. L’idea è semplice e originale: robot, alti circa un metro e venti centimetri e dotati di faretti e telecamere orientabili, saranno guidati negli spazi del museo dal visitatore virtuale tramite il computer di casa. L’obiettivo, come hanno sottolineato i giovani ideatori, tutti trentenni e tra i quali un italiano, non sarà certamente quello di sostituire le sensazioni di una visita reale, ma creare consapevolezza delle potenzialità di mezzi alternativi. Un modo per rimettere in discussione il concetto di accessibilità museale estendendola all’infinito campo virtuale, di internet, dei social network.
Curiosando tra i siti dei maggiori musei italiani e non solo, ci accorgiamo di quanto siano veramente pochi quelli che consentono al visitatore virtuale di interagire. Troppo spesso la multimedialità è intesa come la condivisione delle pubblicità degli eventi in programma o semplicemente la possibilità di mettere un “mi piace” o un breve commento. L’accessibilità universale anche tramite la rete diventa un’opportunità irrinunciabile, un modo alternativo di concepire percorsi museali.
C’è poi chi, fra i Paesi europei, fa dell’accessibilità la prerogativa dei nuovi allestimenti. Ed esempi come la Spagna che ha messo a punto una normativa (UNE 170001-2) per certificare l’accessibilità universale diventano modelli da imitare. Il Museo “La naturalezza y el Hombre” del Cabildo di Tenerife è la prima istituzione ad aver ottenuto l’ambita certificazione.
Alla luce di pochi ed efficaci tentativi di dedicare percorsi culturali a tutte le persone, indipendentemente dal tipo di disabilità, vedere gli spazi museali come luoghi per tutti costituisce l’inevitabile evoluzione del concetto stesso di Museo. Quando saranno oltrepassate le barriere architettoniche, emotive e culturali, superato il concetto di vetrina museale, di oggetti chiusi nello spazio e nel tempo, e si apriranno le porte alla multidisciplinarietà andando oltre le connotazioni tipiche dei musei allora potremo finalmente godere di un Museo per tutti.
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