E’ una storia come tante, purtroppo, in Italia. Ma questa volta, si intravede un lieto fine.
Un giovane artista, con alle spalle solidi studi e le prime esperienze nel campo in cui ha talento, la grafica, diventa un professionista, pagato al minimo e sfruttato al massimo, licenziato, riassunto come collaboratore part time. Baratta il suo talento con la “sicurezza” di un posto di lavoro dipendente, poi dopo dodici anni di sacrifici e rinunce, diventa “imprenditore di se stesso”, e comincia il calvario di chiunque abbia avuto una ditta individuale in Italia negli anni Duemila.
Massimo Somma, 46 anni, di Piano di Sorrento (Napoli), ha lavorato come disegnatore, grafico pubblicitario, impaginatore, ma ora sta conoscendo una stagione di inaspettato successo. “Un giorno, un cliente dello studio di design con cui collaboravo, mi chiese di sviluppare un gran numero di icone. In breve tempo, le richieste cominciarono a rasentare la follia, costringendomi a lavorare ore ed ore su semplici pittogrammi che esprimessero due o tre concetti insieme, sempre più complessi, in un unico pittogramma. Da qui, mal di testa e crisi di nervi. Poi, in un pomeriggio morto, mi misi a giocare con alcune delle tante icone che ormai avevo in archivio…”
Il risultato fu una piccola collezione di icone esilaranti, che mostrate sul cellulare agli amici, suscitarono l’interesse di Maria Rosaria Guidone, una “factory girl” che raggruppa artisti emergenti e ne promuove le opere con la sua agenzia “Senzarte”.
“Ne nacque la prima, piccola mostra, con risultati incoraggianti, e questo primo successo mi stimolò a continuare la produzione di nuove icone”
La fantasia visionaria di Massimo si unì alla passione per i giochi di parole, il linguaggio e le sue storpiature.
“Una sera tra una busta di patatine e qualche birra di troppo, la svolta: si parlava di uccelli migratori, ed un amico un pò offuscato dai fumi dell’alcool parlò di ‘Uccelli Minatori’… da lì un gioco di parole tirò l’altro, tutto documentato su un foglio di carta che produssi a quell’ora antelucana. Il giorno dopo, al computer, pensai di unire le icone ai giochi di parole, e da allora la strada fu in discesa…”
Nacquero subito “Arresto Cardiaco”, “Minatori” e “Cacofonia”, che pubblicate su facebook ebbero un successo strabiliante. La produzione di Massimo diventò inarrestabile.
“Un giorno alla posta una signora che litigava con l’impiegato se ne uscì con ‘E’ il solito discorso trito e nitrito, voi non offrite servizi ma disservizi’: subito scattò l’icona…”
Le icone che vediamo ogni giorno sui bus, nella metro, negli uffici, sono l’evoluzione di una lingua metropolitana che è ormai al tempo stesso ridondante e insufficiente per esprimere concetti troppo complicati per le parole, ma intuitivi per chi vive una realtà urbana: non appoggiarsi alle porte scorrevoli, l’uscita di emergenza è da quella parte, in caso di incendio usare le scale. L’arguzia del grafico napoletano fruga nell’evoluzione del nostro immaginario, ampliando un vocabolario di questo linguaggio metropolitano che sarebbe incomprensibile ad un contadino sudamericano quanto per noi la lineare A.
L’icona ispirata alla copertina di “Abbey Road” dei Beatles, per esempio, fa scattare subito il ricordo di un’immagine simbolo della nostra cultura popolare, non a caso definita “iconica”.
Massimo cominciò a sfornare icone seriali, come quelle dedicate ai “cult” del rock, alle olimpiadi viste in chiave pulp, ai detti napoletani, persino a richiesta degli amici che le volevano dedicare a qualcuno…
“Rosaria mi aiuta molto, senza mai intaccare la libertà creativa. Ha raggruppato tutte le ‘opere’ in una ‘Iconìa’, che ha la sua pagina facebook ed è la base per le mostre. Ma oltre alle mostre sta organizzando un merchandising delle icone più universali, con cuscini, t-shirt, eccetera. Più che una manager, è una musa, un’eminenza grigia… anzi, rossa, visto il colore dei capelli… e naturalmente, anche lei è stata iconizzata!”
Adesso, visto il successo delle mostre, e le richieste, arriva la parte difficile. Tutta la storia dell’”Iconìa” è stata sviluppata dopo che Massimo aveva chiuso la sua attività, vittima come tanti degli studi di settore, e si era preso una pausa di riflessione. Ma il linguaggio universale delle icone lo ha portato all’attenzione dei clienti, del “mercato” e persino dei vecchi datori di lavoro, che ora vedono con occhi diversi il suo talento.
“Sembra passato un secolo, eppure tutto è successo in pochi mesi. Ora dobbiamo decidere come far crescere l’idea e trasformarla in qualcosa di duraturo. Il successo ha sempre molti aspetti, e accanto agli amici ed altri artisti che si ispirano all’idea creando opere proprie, abbiamo anche problemi di copyright con persone e aziende che semplicemente copiano le mie icone senza permesso.”
Sono arrivate alcune offerte di lavoro, alcune interessanti, ma Massimo prende tempo.
“Se esiste anche una minima possibilità di basare il mio lavoro sul successo di ‘Iconìa’, voglio provarci. Quel poco che ho imparato dalle mie esperienze lavorative, è che l’unica possibile sicurezza devo cercarla nelle mie risorse.”
E in un momento come questo, in cui sembra che proprio il coraggio della creatività e dell’iniziativa siano in crisi, in Italia, come si fa a non dargli ragione, e augurargli un grosso “in bocca al lupo”?