Querce e lecci, spiagge e sabbia, foreste e mare. In epoca spagnola e sabauda la Gallura era soltanto natura incontaminata, scolpita dal vento e dipinta dal sole. Non conosceva il cemento degli attuali signori del lusso e del divertimento e affidava i collegamenti viari a sentieri di fortuna. Insofferente alle regole, era luogo ideale per malviventi e contrabbandieri. Così, in quella terra aspra e atavica, i banditi sfidavano la notte e la giustizia.
A piedi o a cavallo attraversavano boschi infidi, visitavano stazzi sicuri, percorrevano chilometri e chilometri di coste, che talvolta aprivano provvidenziali vie di fuga verso la Corsica e verso la salvezza, e imponevano la loro legge. Una legge non scritta e non codificata, ma trasmessa di generazione in generazione da uomini pronti a tutto per ottenere facili guadagni o per tutelare l’onore della famiglia e della selvaggia campagna che li aveva visti nascere o li aveva accolti già erranti, provenienti da altre località della Sardegna.
Giovanni Galluresu fu uno di loro. Giovane e intraprendente, si arruolò per difendere le coste dagli invasori e durante la vigilia di Pasqua del 1658 respinse da solo un massiccio attacco piratesco alla Torre di Longonsardo, vicino alla quale poi si sviluppò l’odierna Santa Teresa. L’impresa gli valse la nomina ad alcaide e gli ritagliò uno spazio nella leggenda, ma il nuovo ruolo lo rese oggetto di innumerevoli ritorsioni finché egli stesso non divenne un fuorilegge e non si diede alla macchia. Era capeggiata da lui la banda più temuta del periodo e da lui fu compiuto il primo sequestro di persona nella storia della Sardegna. Solamente il tradimento di uno dei suoi uomini poté stroncargli la “carriera” e la vita mentre, disarmato, si allontanava dalla casa della sua donna.
Per decenni e decenni in tutta la zona prevalse l’anarchia e quando il potere passò ai Savoia fu concesso l’indulto generale, sperando che la magnanima decisione potesse in qualche modo rabbonire gli animi. In realtà la situazione peggiorò ancora e neanche le misure repressive successivamente adottate riuscirono a contenere la criminalità.
Fu addirittura costituita una Regia Delegazione per la Pacificazione della Gallura, che in un documento del 1813 sottolineò l’assoluta ingovernabilità della regione. Non a caso, infatti, nel 1819 si tentò persino un ammutinamento che, attraverso la destituzione delle autorità militari di Tempio Pausania e la liberazione di tutti i detenuti, avrebbe dovuto portare a negoziare con il potere politico la riduzione delle tasse, l’amnistia per i ribelli e il libero porto d’armi. Il piano, benché grandioso, non andò a buon fine perché le forze dell’ordine avevano notato da tempo numerosi movimenti sospetti, soprattutto nei pressi degli ovili, e non si erano fatte cogliere impreparate.
Gli anni che seguirono furono scanditi solo dal piombo dei proiettili e dalla conta dei morti, sacrificati molto spesso alla follia delle faide familiari.
È in questo contesto che si svolsero le vicende di Bastiano Tansu, il Muto di Gallura reso celebre dall’omonimo romanzo di Enrico Costa. Il Terribile, come era soprannominato, nacque ad Aggius nel 1827. A lui la sorte non diede la voce e l’udito e non diede mai neanche un po’ di fortuna. Oggetto continuo di scherno da parte di chiunque a causa del suo stato, visse sempre con la tristezza nel cuore e con l’ossessione della vendetta. Al banditismo si consacrò quando, per un regolamento di conti, il fratello Michele fu eliminato. Quel giorno impugnò per la prima volta un fucile e non se ne separò mai più.
Duro e spietato, disperato e generoso, divenne il braccio destro del cugino Pietro Vasa e per lui si trasformò in un sicario. In seguito un sogno d’amore lo ammansì, ma il naufragio di ogni speranza lo indusse a uccidere ancora. Nel 1857 il padre della donna amata, colpevole di aver avversato l’agognata unione, fu l’ultimo a cadere sotto i suoi colpi. Pochi mesi dopo il delitto, il Muto fece perdere le tracce e si disse che fossero stati i monti a strapiombo che dominano il suo paese a scriverne la volontaria fine.
La situazione in Gallura rimase pressoché invariata fino ai primi anni Quaranta del secolo scorso. Soltanto allora le ultime famiglie ribelli scelsero la via della pace e i professionisti del crimine e del malaffare iniziarono a impiegare in maniera più intelligente la loro energia. Oggi sorge proprio ad Aggius l’unico Museo del Banditismo esistente in Sardegna. Inaugurato nel 2010, non è stato ideato per mitizzare la figura del brigante.
L’obiettivo, anzi, è quello di contribuire a diffondere una mentalità positiva e a scoraggiare ogni forma di comportamento immorale. La scelta del palazzo della vecchia pretura come sede di allestimento non è casuale perché da qui un tempo si cercava di porre un freno ai tanti omicidi che insanguinavano il paese. Tra le stanze, fatto di testimonianze concrete, vive anche il ricordo di Tansu, il bandito muto che aveva imparato a parlare senza usare le parole.