di Laura Boi
Dall’alba dell’umanità, quando l’uomo cominciò ad organizzarsi socialmente, il momento del mangiare ha assunto un ruolo ben più importante del nutrirsi per sopravvivere. Procurarsi il cibo attraverso la caccia era un momento necessario per la sopravvivenza, ma anche un momento sacrale e rituale, così come lo erano la sua preparazione e il suo consumo.
Come tutti i rituali sacri era di gruppo e all’interno del gruppo dava vita a delle dinamiche che coinvolgevano tutti. Il nutrirsi diventava, cioè, un momento di coesione e socializzazione tra i componenti il gruppo (membri della famiglia o della tribù). Questi si trovavano a condividere qualcosa e a interagire tra di loro, con o senza consapevolezza del significato del momento a cui stavano partecipando: non solo sopravvivere, ma relazionarsi con altri esseri umani.
La vita, col il passare dei secoli, è diventata sempre più frenetica. Cambiano in continuazione gli spazi (e i tempi) della relazione, si riducono o si spostano dal reale al virtuale. Si perdono (o si dimenticano) tutti i rituali ritenuti superflui, compresi quelli del mangiare ritenuti tali perché inerenti solo le funzioni presunte fisiologiche.
Si perdono così di vista quelle che sono le funzioni principali del mangiare e del condividere il cibo: non solo e non tanto il nutrirsi ma il piacere di mangiare, il partecipare a un evento/rito e il condividerlo.
La velocità dei tempi moderni non si traduce in una corsa al fast-food all’anglosassone (anche nella cucina mediterranea c’è il cibo da mangiare rapidamente in piedi o camminando, vedi “pizze fritte” napoletane o panini con la milza a Palermo, etc., nati comunque da ritmi di vita e lavoro particolari), ma produce un progressivo impoverimento dei rapporti umani, familiari e di gruppo che solo la comune e contemporanea condivisione del cibo gustato e masticato lentamente possono determinare e rinforzare.
Per fortuna il buon senso, e (perché no) anche l’istinto di sopravvivenza, ci sta riportando verso un rapporto con il cibo più tradizionale, un suo consumo più salubre (in tutti i sensi, anche psicologico) e corretto.
Il mangiare vissuto come rituale, come momento sacrosanto di nutrizione e soddisfazione, appartiene alla sfera della relazione, del gruppo. I ritmi frenetici quotidiani, di cui abbiamo parlato, non riescono in ultima istanza a privarci della dimensione sociale, lenta e conviviale, del consumo dei cibi.
Che avvenga in famiglia o in altre occasioni di determinati avvenimenti sociali, la condivisione del cibo, nella quotidianità, fa interagire gli individui e li fa appartenere alla stessa cultura. È uno straordinario (più raro oggi, ma esistente) luogo di comunicazione.
Essendo un momento di relazione, la comunicazione assolve una fondamentale funzione di scambio di idee, esperienze, opinioni e pratiche. Al contempo può (e deve) essere occasione per trasmettere stili di vita, comportamenti.
E qui si apre la questione del rapporto tra il cibo e l’educazione. L’educazione alimentare è anche educazione a vivere meglio. E’ importante, oggi più di ieri, educare a mangiare in un certo modo, educare a consumare in un certo modo, ad assumere comportamenti corretti verso i cibi e ad avere il giusto rapporto con essi. Oggi non si sa più da dove arrivi il cibo che mangiamo nelle nostre case, la comunicazione che subiamo nella pubblicità si basa molto di più sull’immagine o sullo stile di vita che rappresenta un cibo che sulla genuinità e provenienza geografica. Perciò è fondamentale far conoscere il mondo del cibo: dalla sua nascita, alla sua trasformazione, fino alla realizzazione del prodotto da consumare.
Ecco che così nascono iniziative (vuole essere un invito a dar vita a continue iniziative in tal senso) ad esempio nelle scuole, come in Provincia Ravenna, che coinvolgono direttamente giovanissimi studenti permettendo loro di analizzare i legami tra cibo e comunicazione, di vedere dove si produce, dove e come si confeziona ciò che arriva sulle tavole, capire da dove proviene ciò che si consuma, ecc. Un “learning by doing e by watching”, per trasmettere consapevolezza.
Merita attenzione anche la questione della lentezza (Slow food), abitudine tipicamente mediterranea, contro il Fast food tipicamente anglosassone. Il maggiore tempo dedicato al momento di consumare il cibo concede uno spazio più ampio all’interazione e alla comunicazione interpersonale. Ne conseguono una serie di benefici non solo in termini di salute e qualità della vita. Comunicare permette di conoscere meglio se stessi e gli altri, di stabilire, mantenere e migliorare le relazioni, di rilassarsi ed evadere, di influenzare gli altri o ancora di aiutarli.
La dimensione sensoriale, strettamente connessa al cibo, trae anch’essa beneficio dalla lentezza. In un paese come l’Italia che esporta la cultura del mangiare di qualità, la dieta mediterranea, le tradizioni gastronomiche regionali, i sensi e le sensazioni di appagamento legati al mangiare sono primari. Dapprima il tatto nella fase di scelta e preparazione dei cibi, l’udito (il rumore delle cotture), la vista, l’olfatto e il gusto che il senso più importante.
Non a caso una materia versatilissima come il marketing ha messo in piedi la versione sensoriale della disciplina. Il marketing sensoriale è un approccio sempre più diffuso nei diversi settori dell’economia, in cui immagini, odori, suoni, materiali, sapori sono studiati per raggiungere il pubblico con l obiettivo di indurlo a compiere determinate azioni.
Le applicazioni sono infinite, hotel le cui camere sono pervase da profumi particolari, punti vendita con radio a tema, espositori multisensoriali, suoni caratteristici per identificare un prodotto, diffusori di aromi per identificare cibi. Il campo alimentare è forse quello dove ci si può sbizzarrire di più a giocare con profumi, colori, rappresentazioni, sottofondi.
L’importante è sapere che ciò che si compra è là proprio per essere comprato e che qualcuno fa di tutto per vendercelo. Consumare criticamente può essere un consiglio su cui riflettere.
Ribaltando il punto di vista del titolo… il Mediterraneo visto dal punto di vista del cibo? Una tavola, persone, una terrazza sul mare e una piatto di pesce accompagnato da un bicchiere di vino bianco, direi un Vermentino di Gallura! Buon appetito a tutti!