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La storia della Basilicata costituisce un intreccio di genti che a partire dal Paleolitico si insediarono in questo territorio dando vita alle prime comunità indigene in prossimità di zone lacustri e fluviali, di cui evidenti tracce sono affiorate a Venosa e, successivamente, in altri siti preistorici nei pressi di Fiumicello di Maratea, Latronico e nella Murgia Materana, risalienti al Neolitico ed all’Età del Bronzo. Stiamo parlando insomma delle popolazioni che avviarono la viticultura incentrandola sulla tecnica tradizionale del sostegno mediante gli “oynotron”, ossia i pali di vite, termine che assieme al nome di Enotro, figlio di Licaone, costituisce l’etimo di Enotria e tutta una serie di tesi sul periodo in cui ebbero effettivamente inizio le colonizzazioni elleniche. Di fatto i greci trovarono già in Enotria, territorio comprendente Calabria, Lucania e gran parte della Campania, una viticultura fiorente e le più recenti ricerche scientifiche vorrebbero le aree di Val d’Agri, Pollino e Vulture costituire il fulcro del terzo centro di domesticazione della vite a partire dal II millennio a.C.

La Terra Lucana è un vero e proprio scrigno contenente tesori di grande valore storico, socio-economico ed antropologico, protagonista non soltanto in questa epoca ma durante tutto il periodo che ha visto fiorire la Magna Grecia e, con le attività di produzione di materiale edile e di anfore vinarie della Gens Allia a cui si deve l’origine del nome Aglianico, fino ai Romani. L’orgoglio lucano è misurabile attraverso la lotta del Brigantaggio contro l’annessione del Sud Italia, incarnato da Carmine Crocco, e l’insurrezione di Matera contro i nazisti del 21 settembre del ’43.   

Figlia fiera della Lucania nonché agronoma ed enologa giudiziosa è Elena Fucci

Fregandosene altamente di Oscar Wilde, il quale sosteneva che nessuna donna dovrebbe essere troppo precisa quando dice la sua età, lei ci mette l’anno, il mese e pure il giorno, a dimostrazione che l’età più bella è quella che uno ha e che gli anni e le vendemmie rappresentano medaglie da sfoggiare con orgoglio: 30 Marzo del 1981! Nasce a Venosa poiché al tempo vi era il più vicino ospedale ma è di origine controllata e garantita di Barile al 100%; Barile è un piccolo paesino di poco più di 2700 anime ubicato a 664 metri sul livello del mare,  diviso su due colline tufacee separate da un burrone; questa cittadina lucana esiste almeno dal 1332 ed ha un’origine greco-albanese, conserva da oltre cinque secoli l’uso della lingua arbëreshe e la propria identità etnico-culturale… un paese piccolo ma di grande devozione che rientra sia nell’Associazione Nazionale Città dell’Olio che dell’Associazione Nazionale Città del Vino.

In questa meravigliosa terra immersa nella natura e caratterizzata anche dal massiccio collinare dello “Sheshë“, singolare per le sue grotte adibite a conservare il vino, Elena ha fondato l’azienda agricola che porta il suo nome a Contrada Solagna del Titolo, proprio dov’è cresciuta e dalla quale si può ammirare il Monte Vulture. Dopo il diploma di maturità scientifica scatta in lei la decisione di investire la sua vita tra i filari che l’hanno vista crescere, iscrivendosi nel 2000, quando la moda di fare il mestiere del vino non aveva preso poi così piede, alla facoltà di Agraria presso l’Università di Pisa, dove frequenterà i corso di Viticultura ed Enologia, quando in cuor suo il percorso professionale era già stato segnato.

Da quel momento riesce a maturare esperienze belle e significative: dapprima in Alto Adige con una stagione presso la Cantina di Bolzano, poi allo Chateaux Anniche a Bordeaux, a seguire dall’amica Mila Vuolo in provincia di Salerno e successivamente presso l’azienda Dievole vicino Siena.

Elena ha frequentato studi di danza classica da piccola ma oggi la sua idea di sport e lavoro praticamente coincidono, anche perché gestire vigneto e cantina in prima persona è già di per sé faticoso, occupando la maggior parte del tempo, ma quando può permetterselo di praticare una qualche attività motoria non può che essere a contatto con l’ambiente: gite in mountain bike, passeggiate in montagna e nuotare nell’azzurro mare. Da un anno e mezzo lei e suo marito Andrea sono stati letteralmente adottati da una gattina che aveva dapprima usato l’auto come rifugio: è stato subito amore a prima vista, scoperto dal veterinario che aveva circa 30 giorni di vita l’hanno battezzata Nini che da allora non li ha più lasciati e che ha praticamente preso posto nel lettone quando vanno a dormire. Ad Elena piace la musica in generale ed i documentari naturalistici su piante ed animali, sulla storia e sull’origine dell’Universo, ma più di ogni altra cosa ama l’Egitto ed è affascinata dalle piramidi e dai geroglifici, misteri millenari che destano ancora oggi grande interesse. Ha un ottimo rapporto con la tavola, anzi reputa che Il cibo, come l’amore e il vino, sia tra le cose più belle della vita. Il suo lavoro poi le permette sicuramente di avere esperienze enogastronomiche importanti; tra i suoi piatti preferiti: la pizza, il sushi, le lasagne anche se la lista sarebbe sicuramente molto lunga. Con una certa modestia conferma di avere delle abilità culinarie, nella norma a suo dire, ma il polpettone di tonno e il tiramisù che prepara con le sue mani le vengono molto molto bene.

Probabilmente una delle frasi che più le assomiglia è quella di Italo Calvino quando dice:

La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso…

Infatti Elena è una persona cordiale ed i suoi modi hanno tutta la gentilezza acqua e sapone della ragazza della porta accanto ma possiede la tipica determinazione di un ariete con una metodicità nel fare le cose in perfetto stile virgo; il suo modus operandi si riassume nella parola precisione, quella che non le impedisce di essere pratici al momento opportuno e che la contraddistingue in ogni fase del suo lavoro, dalla campagna alla preparazione dei pallet, senza accettare le mezze misure, così come ha sempre fatto sin dall’inizio con il suo Titolo: un vino solo e fatto bene.

Qual è il tuo primo ricordo con la terra, la vendemmia ed il vino?

Sicuramente la vendemmia: da bambini, con le mie sorelle era sempre una festa… anche se solo dopo molti anni ho capito l’ansia di mio nonno e dei miei genitori di quel periodo in cui si giocava tutto un anno di lavoro. Sono nata e cresciuta nella casa sopra la cantina, che si affaccia sui nostri meravigliosi vigneti, 6 ettari nella zona più vocata a 650 metri di altitudine sulle pendici del Vulture. Qui, presso la Contrada Solagna del Titolo, il contatto con la natura e con la terra è tangibilissimo e per me è stato sempre normale.

Cosa ha determinato la scelta di fare questo lavoro e come si contraddistingue?

Indubbiamente direi la voglia di non perdere e disperdere il patrimonio familiare con tutti gli evidenti sacrifici fatti dai miei genitori e dai miei nonni in tantissimi anni. I nostri vigneti sono sempre stati gestiti da mio nonno Generoso, 95 anni a Luglio ed oltre 80 vendemmie sulle spalle, il quale però non vinificava, vendendo l’uva a produttori locali e non.

Quando ero sul punto di diplomarmi, con mio nonno che aveva già più di 70 anni ed i miei genitori, entrambi professori a scuola, discutemmo di cosa bisognasse fare della proprietà: questo perché è chiaro che mio nonno non avrebbe più potuto occuparsene come un tempo; la mia prima idea era quella di lasciare Barile, un paesino di neanche 2000 anime, per andare a studiare all’Università e probabilmente non farvi più ritorno a casa se non per le feste comandate.

Quindi la scelta più ovvia sarebbe stata quella di vendere tutta la proprietà, d’altronde i compratori non mancavano ed avevano mostrato già palesemente negli anni, bussando alle nostre porte, il loro forte interesse per i nostri tenimenti. Ma quando l’idea di vendere si era più che materializzata, realizzai che avremmo dovuto vendere la casa, che non avrei potuto più affacciarmi dalla finestra della mia camera sui vigneti, non avrei più vissuto la gioia della vendemmia e non avrei più sentito il rumore assordante, alle cinque del mattino, del trattore di nonno. Fu quello il momento in cui inconsciamente e con un pizzico di follia decisi che non potevamo gettare via così tutti i sacrifici fatti dalla mia famiglia, fu come un lampo istintivo…

Il nonno anni orsono emigrò in Venezuela, portandosi il mio papà quando era ancora piccolino, a cercar fortuna e fu quella fortuna tanto sudata che gli permise poi di comprare la proprietà che abbiamo adesso e quindi ecco quel che chiesi a mio padre: perché non proviamo a fare noi quello che gli altri vogliono fare con la nostra terra? Produciamo vino, senza compromessi però… studiando, senza tralasciare nulla al caso e senza fare niente di arronzato. Se poi vediamo che non è cosa, possiamo sempre vendere più avanti!

Mio papà fu più che felice, sentivo era come se avesse sempre covato questo sogno, ma non l’avesse mai proposto per lasciarmi una più ampia libertà di decisione. Avevo 18 anni, decisi di andare a studiare Enologia a Pisa… del mondo del vino non sapevo quasi niente, ma non mi spaventai ed iniziai questo percorso che oggi, dopo 20 anni, mi ha portato davvero tante soddisfazioni.

Il modo di fare il mio mestiere si contraddistingue perché è istintivo come quella decisione, meditato come i miei studi e senza compromessi come il mio vino.

Tra quelle che hai citato qual è stata l’esperienza formativa che ti ha particolarmente segnato?

Sicuramente l’esperienza in Francia: lì ho dovuto imparare ad autogestirmi, lo Chateaux non era propriamente in centro città e la proprietà mi affidò, forse ignara che fossi una semplice studentessa universitaria, la gestione della vendemmia praticamente in toto e con il non indifferente problema della lingua per giunta. Da allora ho imparato sicuramente ad accettare qualsiasi sfida ed a non tirarmi mai indietro.

Fonti di ispirazione?

Credo che la mia famiglia sia stata sempre una delle mie maggiori fonti di ispirazione. Sono quello che sono grazie anche a loro, alla loro educazione, ai loro sacrifici… anche quelli delle mie sorelle che mi hanno sempre supportato in questo percorso nel mondo del vino. E poi c’è mio nonno Generoso, una persona semplice, sempre attenta alla natura, a rispettarla e curarla. E nonostante l’età sempre attento alle novità in campo agrario. Quando è partita quest’avventura ho trovato in lui non solo una spalla, perché in vigneto 80 vendemmie sono un patrimonio di conoscenza e tradizione incredibile, ma anche una nuova linfa ed apertura per le nuove tecnologie, e nuove pratiche diverse magari da quelle che praticava lui. Ho trovato sempre complicità e mai scontro che poteva tranquillamente starci quando si mette in discussione le abitudini di un contadino con tutta quell’esperienza.

Potrei citare inoltre tante coraggiose donne del vino, colleghe incontrate in questi anni che poi sono diventate amiche, ma mi piace esprimere la mia ammirazione per Donatella Cinelli Colombini, la sua preparazione ed il suo approccio accademico in pubblico.

L’annata più difficile, l’annata più gratificante e quella che ti ha dato meno soddisfazioni e perché…

L’annata più difficile senza dubbio è la 2002. Era la terza stagione che dirigevo l’azienda, facendo presente che è stata fondata nel Gennaio 2000, stavo ancora completando gli studi universitari e fu un’annata veramente difficile tanto in vigneto che nella gestione in cantina; ricordo fu molto piovosa, fredda… fu difficile controllare le rese e portare uva sana in cantina. Da sola alla conduzione enologica a cercare di non vanificare tutti gli sforzi di un anno, che dovevano essere ripagati, fu un po’ angosciante.

L’annata più gratificante… beh, non ce n’è una in particolare anche perché sceglierne una sarebbe come fare un torto alle altre: in fondo le opere sono come i figli, no? Ogni vendemmia è un racconto, una storia speciale che in un tempo relativamente breve descrive un anno intero di duro lavoro, di notti insonni pensando al meteo del giorno dopo, al tempo scandito dai battiti del cuore che salta in gola ogni volta che a Luglio o ad Agosto tuona e fa un temporale.

Talvolta a qualche anteprima, conversando in luogo di disciplinari o di presunti infanticidi, mi è stata mossa qualche critica, e le critiche ben vengano quando sono costruttive, sia bene chiaro, ma il mio vino è il frutto del suo tempo e non è sempre detto che conceda ad ogni annata le stesse caratteristiche e la stessa prontezza di beva. Ecco poi perché ogni annata è un capitolo unico ed un’anteprima è un’anteprima, giusto?

L’annata che si annuncia un po’ più deludente, e non è il caso di dire con meno soddisfazioni poiché oltre che è brutto da dire secondo me è anche prematuro, visto che non si è ancora rivelata, è proprio quella che stiamo vivendo: il nostro 2020 doveva essere diverso, tanti progetti fatti dovevano trovare una loro attuazione e soprattutto dovevamo raccogliere i frutti di tutti gli investimenti che abbiamo fatto negli ultimi due anni. E invece questa situazione quasi surreale, pandemica e infettiva sta stravolgendo tutti i nostri piani. Oltre questo il dispiacere e il dolore di tutte le vite perse ed i timori che assillano tutti i settori economici.

Ibridi, incroci varietali, vitigni resistenti… dove stiamo andando e dove dovremmo andare?

Credo, che la scienza e l’imprenditoria vinicola corrano su due binari paralleli che ogni tanto si incrociano, ma spesso rimangono anche distanti. La scienza è giusto che faccia il suo corso, la ricerca è importantissima, capire il funzionamento della natura è fondamentale, ma sono un po’ contraria al tentativo di modificarla. I vitigni resistenti sono studi eccezionali, ma come tutti gli OGM mi spaventano. La natura, per adattarsi, modificarsi, mutarsi ha i suoi tempi e i suoi meccanismi. Niente è mai fatto per caso in natura, ogni cosa è un tassello di un puzzle che si deve incastrare con le altre cose e modificarlo potrebbe essere un rischio enorme; senza scadere nella banalità o nel complottismo lo stiamo vivendo in questo periodo di pandemia: se fosse vero che il covid-19 è un virus modificato scappato da qualche laboratorio, sarebbe la dimostrazione che con la natura non si deve scherzare. L’imprenditoria vinicola invece credo che abbia da tempo imbucato la strada della tradizione e dei vitigni autoctoni, un patrimonio nostro quello italiano incredibilmente ricco. Abbiamo territori diversi, vitigni diversi, oppure addirittura vitigni uguali ma in territori diversi che sviluppano eccellenze diverse. Una situazione unica, dove storie di famiglie e di vita si intrecciano alla storia dei vini indissolubilmente. Credo che il connubio vino-tradizione-famiglia-enogastronomia-turismo sia la corretta strada da continuare a seguire, ma sempre con un occhio strizzato all’innovazione scientifica purché nel rispetto della natura, della sua identità e della sua sostenibilità.

La Basilicata di Elena Fucci…

La storia vitivinicola lucana è ancora abbastanza giovane, seppure l’agricoltura e la viticoltura abbiano origini molto antiche in questo territorio. Per anni è stata una viticoltura molto arroccata entro i propri confini, dove tutto il vino prodotto veniva consumato in regione, sicuramente una bella cosa, ma che col tempo è diventata invece ostacolo nel rendere più nota la mia regione e le sue eccellenze. Negli ultimi 20 anni molto è cambiato, c’è stato un grande impulso al rinnovamento e grazie all’impegno dei singoli la Basilicata è venuta alla ribalta. Adesso è il momento della cooperazione, della comunicazione congiunta forte e coesa per far conoscere ancora di più a tutto il mondo il potenziale di questa terra straordinaria. Straordinaria perché la Basilicata è una regione meravigliosa come poche: due affacci stupendi sul Tirreno e lo Jonio, Matera come capitale della Cultura Europea e dichiarata patrimonio Unesco, il Metaponto e la Magna Grecia, Melfi e le tracce storiche disseminate da Federico II di Svevia, la natura incontaminata del Vulture e del Pollino. Vino, grano, acque minerali … e potrei continuare ad elencare tutte cose meravigliose come il peperone crusco, il pistacchio di Stigliano ed il canestrato di Moliterno, che da “nicchia” devono diventare assolutamente più popolari come è stato per i prodotti dell’enogastronomia delle altre regioni.

Sembra scontato ma siamo una regione rossista ma con uve a bacca bianca come il Greco di Bianco, la Santa Sofia, la Malvasia Bianca di Basilicata ad acino piccolo, la Giosana, il Bombino Bianco ed il Verdeca e mi piacerebbe che altri giovani di questa terra scommettessero come ho fatto io sulla viticultura e dessero un nuovo lustro anche a questi cultivar.

La scelta stessa di restare nella tua terra ti ha condotto in giro per il mondo a portare la tua terra infatti. E se non fossi nata lucana dove ti sarebbe piaciuto essere e cosa ti sarebbe piaciuto fare?

Lo dico spessissimo che io sono nata nel posto sbagliato!!! Scherzo naturalmente… come riportato nella domanda stessa la scelta di mantenere un legame indissolubile con la mia infanzia, i valori familiari, il profumo di tutte le nostre vendemmie fino ad oggi, insomma le radici che mi legano alla mia terra, mi ha dato la possibilità di viaggiare, poter mettere idealmente tutto questo nel mio zaino e di poterlo narrare alle persone nuove che conosco e confrontarmi con loro. Ammetto però che adoro il mare, sono un tipo da clima caldo e da spiaggia! Anche se il Vulture è nel Sud Italia è un’area ubicata ad una certa altitudine ed è abbastanza chiusa, il clima qui è piuttosto rigido e la viticoltura è di montagna. Confesso anche che la mia prima scelta come studi, prima di intraprendere questa meravigliosa vita, era di studiare genetica all’Università, quindi se avessi optato per essa chissà dove sarei adesso…

Da quando hai iniziato la tua avventura ad oggi cosa è cambiato nell’universo femminile del vino?

Credo che il mondo del vino sia cambiato molto velocemente negli ultimi anni dal punto di vista imprenditoriale, probabilmente molto più del resto della stessa società rispetto alle donne. Sono in tantissime ormai ad occuparsi di vino, con nuove imprese o costituendo le nuove generazioni subentrano al timone delle aziende di famiglia. Ma sono tantissime anche le donne che si occupano di marketing, di comunicazione e di sommellerie; anche nella mia regione non mancano coloro che hanno deciso di fare questo mestiere dove fino a poco fa la figura dell’enologo era al 100% maschile. Sicuramente l’Associazione Donne del Vino è una di quelle realtà che hanno fatto tanto e continuano a fare, dando consapevolezza e compattezza al gruppo di donne vocate al vino e di cui mi sento fiera di appartenere. È bello poiché ci permette di avere tra noi anche un confronto consapevole e costante, avendo una sensibilità evidentemente diversa da quella maschile che spesso in associazionismo finisce per diventare competizione.

Quest’anno al Vinitaly avresti esordito anche col Titolo “by Anphora”, se non sbaglio frutto della vendemmia del 2017. Da cosa nasce questa nuova idea produttiva, com’è maturata?

Esatto! Era uno di quei progetti ai quali alludevo e da presentare quest’anno… lo abbiamo fatto solo sui social per adesso. Titolo by Amphora nasce dalla voglia di provare una soluzione diversa dal classico uso di legno per l’affinamento. In particolare cercare di avere una maggiore naturalità delle caratteristiche del nostro vitigno, soprattutto del tannino. Chi ama l’Aglianico del Vulture deve amare le tre sue principali caratteristiche: Acidità, Tannicità e Mineralità. Quest’ultima è indubbiamente quella che mi affascina di più.

È successo tutto durante alcune visite in Toscana con mio marito, abbiamo avuto modo di scoprire le terrecotte dell’Impruneta e studiare come venivano usate in enologia. A sorpresa mio marito mi ha regalato quest’anfora a forma di uovo e quindi ho potuto iniziare questa nuova sperimentazione con l’annata 2017. Il primo assaggio mi ha entusiasmato molto, proprio perché quello che speravo fosse esaltato, ovvero la mineralità, era davvero ben enfatizzato, con importante esaltazione anche delle caratteristiche di speziatura, in particolare della nota di pepe. Anche l’annata 2018 promette davvero molto bene, ma dovremo attendere l’anno prossimo per vederla in commercio.

Progetti Futuri?

Produco vino rosso, ma io adoro anche le bollicine… quindi il mio sogno sarebbe un giorno potermi cimentare a produrre uno spumantizzato, vinificando magari il Sauvignon Blanc che a me piace tanto e verificare quanto l’espressività di queste uve si sposa col carattere vulcanico della mia terra.

Con Elena Fucci abbiamo imparato che il legame con gli affetti e con i ricordi può stravolgere le nostre aspirazioni fino a far crescere in noi, come un istinto che illumina come un lampo, un’aspirazione ancor più grande, che volere significa potere e che il suo grande legame col nonno Generoso è la dimostrazione di come il vecchio convive col nuovo, nella vigna come nella vita, in piena armonia e con la viva gioia dell’essere eterni studenti.

Mediterranea Online augura Buon Vento ad Elena Fucci per tutti i suoi progetti.

1 thought on “Il coraggio delle scelte e l’amore per le cose ben fatte: intervista all’enologa Elena Fucci

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