Di doni ricevuti e concessi la tradizione sarda racconta con una certa generosità. E’ piacevole ricordare della piccola e rubiconda janas che donò al pastorello dell’oro per ricevere in cambio un sorriso, o della donna che regalò la vita per ottenere in cambio dell’acqua. Ma il dono meglio riuscito fu quello di Sant’Antonio ai sardi, che ricevettero il fuoco ed in cambio donarono una promessa: di festeggiare il santo da li ad infinito.
La leggenda che racconta di Sant’Antonio, amato di un affetto puro e sincero, è breve, semplice, semplicissima, esattamente come sanno essere i contus sardi. Non esiste una localizzazione storica, si racconta piuttosto di una Sardegna antica, antichissima, che ancora non conosceva il fuoco, tanto che i suoi abitanti erano costretti a mangiare per questo la carne cruda.
Sant’Antonio, che l’isola la conosceva bene e i sardi meglio, anzi che regalar loro dell’acqua, delle pietre preziose o dell’argento, decise di fare agli isolani un dono ben più utile: donò il fuoco.
Varcò le soglie degli inferi, ingannò le creature poste a controllo della fiamma cocente, imprigionandola nel cuore del bastone di ferula. Facendo ritorno in superfice liberò il fuoco al grido musicale di “fogu fogu po su logu, linna linna po sa Sardigna1”.
E’ facile immaginarlo, il fuoco cambiò le cose, cambiò la gastronomia, il modo di vivere la notte e di intendere la vita, il fuoco avvicinò i sardi di qualche gradino alla divinità cui era stato sottratto l’elemento.
E le promesse dei sardi vincolano come contratti scritti. Da allora, ogni anno, l’isola festeggia il Santo ed il suo dono nella notte a cavallo fra il 16 ed il 17 di gennaio. Ovviamente è il fuoco il protagonista, e intorno a questo sfilano turisti sbigottiti, eccitati, divertiti, obbiettivi di costosissime macchine fotografiche che cristallizzano il momento e maschere carnevalesche che si cimentano in quella che localmente è detta sa prima essida2.
Ogni paese ha un modo tutto proprio per festeggiare, eppure la costante resta il fuoco e il desiderio, ardente come la fiamma, di restituire il dono. Tutti i fuochi che per Sant’Antonio si accendono, meriterebbero d’essere vissuti almeno una volta nella propria vita, a cominciare da quello che si confeziona ad Ottana.
I preparativi per la festa sono pigri, lenti, e durano un’intera mattinata fatta di macchine agricole che scaricano quintali di legna nella piazza cittadina principale, sotto l’occhio attento di San Nicola, che domina, duro e tagliente.
La festa prende fuoco lentamente, esattamente come l’immenso falò alimentato da una colata esplosiva di pece e benzina. S’attende la notte per gettare fra la legna la scintilla e la fiamma illumina la piazza, invoca Sant’Antonio, sfida la notte ed il freddo d’inizio gennaio. Il pubblico è una platea intimorita, quasi che vedesse per la prima volta il fuoco. Solo lentamente, consapevole del dominio avvenuto ci si avvicina, ci si lascia riscaldare, ci si lascia eccitare.
Pare d’essere scivolati negli inferi, inebriati dall’arancio incandescente delle braci ed ebbri del profumo di vino che circola nella piazza. S’intrufolano i più piccoli nei tiepidi anfratti del falò dal cuore vulcanico, rubando frammenti di sughero bruciato e macchiando, a mo di dono propiziatorio, il viso dei passanti ed il proprio, tanto da sembrare misteriose e morbide maschere scure, dalle quali risaltano innaturali, occhi d’un bianco latteo.
Si ha la sensazione d’essere scivolati in un mondo pagano e atavico, di balli attorno al fuoco, di campane che assordanti cacciano il male e di cestini che galleggiano nella piazza, colmi di frittelle e dolciumi di saba da donare ai passanti in onore del Santo.
La consapevolezza che il protagonista della festa sia il dono appartiene a tutti i partecipanti, che attratti dal fuoco continuano inesorabilmente a farglisi più vicini, porgendo il proprio volto e ricevendo in cambio una carezza tiepida che riscalda il cuore.
E’ questo in fondo il senso recondito del dono: lo scambio senza fine, che garantisce la circolazione dei beni, salda i rapporti sociali e perennemente aiuta a crearne di nuovi, in un circuito che non ha fine.
[1] Fuoco, fuoco per questo luogo, legna, legna per la Sardegna.
[2] La prima uscita.