di Veronica Paniccia
Parliamo transitivamente della femminilità questo mese. Facciamolo attraverso brevi cenni storici, posto che la Storia è madre e maestra. La donna considerata giuridicamente e socialmente subordinata all’uomo, seppur con le dovute differenze all’interno dei diversi centri del mondo greco e romano, è rimasta per lungo tempo estromessa dalla vita politica e strettamente limitata all’interno del contesto sociale, giuridico e politico. Sovvertire e rivoluzionare il sistema è stato l’obiettivo di secoli.
Parliamo di rivoluzioni critiche del linguaggio, simboliche e rivoluzioni fattuali contro stereotipi del soggetto femminile ricorrenti. Tale bagaglio storico, accordato alle lotte che emancipassero la donna prima dalla parzialità del pensiero maschile e poi da una condizione effettiva di immobilità sociale, l’hanno condotta ad assumere coscienza di sé stessa come soggetto storico agente. Molte conquiste sono divenute simboli. L’ 8 marzo, non dimentichiamolo, festeggiamo la grazia femminea in forma più o meno commerciale, mutando in festa un giorno di lotta.
In Germania donne del calibro di Rosa Luxemburg ( politica e rivoluzionaria ), in Russia Aleksandra Kollontaj ( prima donna nella storia a ricoprire l’incarico di ministro e ambasciatrice, nonché membro del Soviet ), in India Arundhati Roy ( scrittrice e sceneggiatrice di rara bravura), negli Stati Uniti Hannah Arendt ( interprete della crisi europea degli anni ’30 e ’40 ), in Argentina Evita Peròn ( ricordata come la paladina dei – descamisados-). Un elenco solo da esempio di pensatrici nella e della modernità. Avulse dall ‘istituto culturale maschile e che guadagnano un giudizio sugli anni e sulla storia che hanno fatto e vissuto.
Oggi un’ osservazione attenta ed accurata della società occidentale, conduce lo sguardo del pensiero soddisfatto sulle tappe segnate. Talvolta, però, a porsi dubbi sul cammino e sull’indirizzo corrente. Nel secolo dell’ immagine, del mondo concepito e conosciuto come immagine et a immagini, della mercificazione spudorata dei valori, del tempo concepito solo in termini di produttività immediata, noi donne, come scegliamo di posizionarci? Come scegliamo di confrontarci con un sistema che ci priva della possibilità di vivere la famiglia e gli spazi di madre secondo la propria naturale scansione temporale/spaziale? E se il lavoro, statuto sociale per eccellenza, con le sue contratte tempistiche assorbe tutto il nostro tempo, la nostra ambizione, la nostra sensibilità, le palestre laccate risucchiano il nostro interesse e lo sguardo maschile tutte le nostre certezze, ci consideriamo ancora libere di scegliere o ci pensiamo solo libere? Come difendiamo il nostro ruolo oggi? Non si ha forse bisogno di un nuovo umanesimo culturale dalla e della nostra parte, di una nuova concezione filosofica della differenza femminile?
Perché di differenza naturale parliamo più che diversità. E’ fuori tempo ora continuare a dibattere sulla questione della parità sessuale, sull’antagonismo atavico e la competizione uomo-donna. Come se le nostre naturali differenze non fossero che arricchimento per ambo le parti. E’ il linguaggio e l’immaginario tanto dell’uomo che della donna stessa che deve essere ricomposto secondo i termini di una alterità complementare ed essenziale nel mondo.
Perché assomigliare a ciò che si è, lontane da modelli mass mediatici incontrollabili e deviati, lontane da un’ estetica priva di spessore e qualità, refrattarie al desiderio di accettazione che ci identifica come una minoranza, resta l’obiettivo primario e urgente da raggiungere.
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