Di Abir El Ghoul
Lo stile e il buon gusto sono, sempre più, elementi fondamentali per distinguersi socialmente per evitare di fare brutte figure che possono danneggiare la nostra immagine, e il nostro decoro.
Infatti si sente parlare sempre di ‘’etichetta’’, ‘’bon ton’’, ‘’buone maniere’’ e, essendosi delineata l’esigenza di precetti di ‘’galateo’’ utili anche per le situazioni in cui ci può tipicamente trovare nell’era moderna.
Nel nome della varietà e dell’originalità ci piace oggi affrontare un argomento che raramente trova spazio in questi tempi, parleremo di buone maniere, e per farlo presentiamo chi di educazione e gentilezza se ne intende e quindi nel presente lavoro, intitolato il Galateo della Casiano: desublimazione del trattato Cinquecentesco, si cercherà di analizzare il libro del ‘’Galateo’’.
Il Galateo, pubblicato postumo nel 1558, è riconosciuto come il testo più famoso di Giovanni Della Casa. Fu composto su commissione del vescovo Galeazzo Florimonte, da cui l’opera prese il nome, e si presenta come un compendio didascalico, reso sotto forma di dialogo, grazie al quale un anziano esperto di buone maniere ma illetterato istruisce, con i suoi consigli e precetti, un giovinetto.
Il libro, scritto con una prosa popolareggiante, non mira più agli alti ideali del Rinascimento, ma ad una precettistica che, sorvegliata da un ordine morale, orienti il gentiluomo nei singoli casi che si presentano nella vita privata.
Il Galateo della Casiano: desublimazione del trattato Cinquecentesco
L’autore nella persona del vecchio idiota, presenta l’opera al giovane destinatario. Ha ritenuto opportuno, in base alla propria esperienza di vita, raccogliere alcuni insegnamenti ed avvertimenti, affinché egli possa evitare gli errori e vivere bene ed onoratamente. “E perciò che la tua tenera età non sarebbe sufficiente a ricevere più prencipali e più sottili ammaestramenti, riserbandogli a più convenevol tempo, io incomincierò da quello che per aventura potrebbe a molti parer frivolo: cioè quello che io stimo che si convenga di fare per potere, in comunicando et in usando con le genti, essere costumato e piacevole e di bella maniera: il che non di meno è o virtù o cosa molto a virtù somigliante”. [1]
Il modello seguito dal Della Casa, e da tanti trattatisti dell’epoca, è quello della forma monologica, dell’unica voce (nella finzione del testo è un vecchio illetterato, ricco però di esperienza, il quale istruisce un giovanetto sulle buone maniere in società, chissà se Della Casa ricevette notizia del Corano nei versetti di sourât Luqman (il libro sacro dei Musulmani, in cui Luqman insegna suo figlio come agire ovviamente con altri intenti, ma sarebbe un’ipotesi troppo azzardata) che sviluppa l’argomento in modo analitico e si preoccupa di fornire norme per l’agire quotidiano.
Della Casa non vuole soffermarsi sulle grandi virtù, patrimonio di pochi, ma cercare nel suo intento pedagogico di correggere i difetti più frequenti, educando alle varie situazioni della quotidianità e rivolgendosi non più ad una élite cortigiana, ma a “chiunque si dispone di vivere non per solitudini o né romitori, ma nelle città e tra gli uomini”.
L’ideale sublime della virtù e della “grazia” viene trasformato in un ideale medio, che insegna come “regula universalissima” quella di “temperare et ordinare i toui modi non secondo il tuo arbitrio, ma secondo il piacer di coloro có quali tu usi”, l’invito è sostanzialmente, verso un atteggiamento personale che si conformi ai canoni della collettività, canoni chiaramente imposti dall’alto, dalla Chiesa in special modo e tendenti ad abolire ogni forma di plurivocità. Nonostante gli inviti frequenti al senso della
Misura e alla moderazione che devono regolare questo adeguamento ai costumi altrui nelle pagine dedicate ai precetti da seguire nella conversazione.
Il trattato del Galateo si traduce in un esplicito invito al conformismo, la virtù fondamentale, a detta dell’autore, consiste nel “piacere agli altri” e nell’ottenere il consenso nella “conversazione comune”. La spesso citata Prudenza diventa la garanzia del rispetto dell’ordine sociale e delle rigide gerarchie che governano la collettività; il trattato si risolve interamente nella dettatura di precetti per ogni situazione del vivere e di riflesso attraverso i vari divieti, anche nell’ esposizione di tutte le cattive abitudini dell’epoca.
Sin dalle prime righe, la prosa del Galateo è un fitto intreccio di richiami letterari, fin dalle prime righe si mescolano citazioni, dal Canzoniere del Petrarca,dagli Asolani del Bembo, dal Cortegiano del Castiglione e ricordi ciceroniani mediati da quest’ultimo; quel viaggio, ad esempio è la vita secondo una metafora comune (si veda in Rerum Vulgarium fragmenta, XXXVII 17-18: Il tempo passa, et l’ore son sì pronte/ a fornire il vïaggio) utilizzata spesso dal Della Casa anche nelle Rime. [2]
Sembra evidente anche l’influenza dell’esordio degli Asolani del Bembo “Per la qual cosa avisando io, da quello che si vede avenire tutto dì, pochissimi essere quegli uomini, à quali nel pellegrinaggio di questa nostra vita mortale, ora dalla turba delle passioni soffiato e ora dalle tante e così al vero somiglianti apparenze d’oppenioni fatto incerto, quasi per lo continuo e di calamita e di scorta non faccia mestiero, ho sempre giudicato grazioso ufficio per coloro adoperarsi, i quali delle cose o ad essi avenute o da altri apparate o per sé medesimi ritrovate trattando, agli altri uomini dimostrano come si possa in qualche parte di questo periglioso corso e di questa strada, a smarrire così agevole, non errare.
Ancora questa vita mortale è sintagma che torna nelle rime del Della Casa (LXIV 1-2: Questa vita mortal, che ‘n una o ‘n due brevi notturne ore trapassa.
È continuamente attiva l’allegoria del cammino (temo che tu, caminando per essa…), filtrata dagli Asolani (…e di questa strada, a smarrire così agevole…) ma fatalmente collegata al ricordo della diritta via dell’inizio della Commedia dantesca.
Il carattere eminentemente pratico e la concretezza degli obiettivi proposti pongono il Galateo in un orizzonte più ristretto rispetto a quello dell’opera cui viene inevitabilmente paragonato, ovvero il Cortegiano del Castiglione.
Il Della Casa non intende formare un perfetto uomo, frutto e sostegno di un mondo perfetto, bensì semplicemente un gentiluomo accorto e affidabile, che si muova con sagacia in un mondo che ha proprie regole e usanze,da accettare non perché rispondano a un ideale di vita, ma perché esistono, sono condivise da tutti, si sono formate col tempo e l’individuo non le può modificare. [3]
La differenza di destinatari che il Cortegiano e il Galateo presuppongono, l’élite di corte da un lato e un pubblico socialmente più ampio dall’altro, implica anche una diversità di codice linguistico; il trattato del Della Casa, pur mantenendo un vigile controllo formale, non presenta certo l’ampiezza e la sostenutezza del periodare castiglionesco, preferendo una scrittura più agilmente mossa e discorsiva, fatta di periodi brevi e incisivi.
La prosa del Castiglione si fonda sulla sapiente architettura delle frasi, collocate con la doppia finalità di generare chiarezza e musicalità, forti sono nel suo stile gli echi classici e boccacciani, e sulla ricchezza dell’aggettivazione, mai gratuita ed esibita, ma sempre funzionale a connotare il sostantivo. Quella “misura” che è tratto saliente del ritratto del cortigiano, diventa l’essenza più pura della prosa del Castiglione e trova la sua concreta attuazione anche nella lingua usata dagli interlocutori del dialogo, la quale “riesce a dare l’impressione del parlato: di un parlato aulico, ma tutt’altro che privo di accenti famigliari e scherzosi”.[4]
Diversa la lingua del Galateo, che si avvicina talvolta alle espressioni della lingua parlata, ma che conserva, a differenza del Cortegiano, una intrinseca fedeltà al canone fiorentino teorizzato dal Bembo: va ricordato inoltre che la pubblicazione postuma del testo fu ulteriormente toscanizzata dai curatori e questo giustifica sia l’enorme successo sia la sua classificazione come testo di lingua sino al purismo ottocentesco. [5]
Un trattato, dunque, quello del Della Casa, che per valore letterario si colloca in posizione inferiore rispetto al Cortegiano del Castiglione, dal quale pur deriva e al quale si può accomunare per la centralità assegnata all’apparenza, ormai identificata come la regola fondamentale dell’esistenza umana ad ogni livello della società.
Se si è sottolineato l’invito al conformismo presente nel messaggio dellacasiano, questo comunque non deve creare pregiudizi nei confronti di un testo che appare sicuramente meno superficiale di quanto si creda: basta leggere l’amara consapevolezza espressa dall’autore nella premessa, una sorta di dichiarazione di intenti in cui egli si trova costretto ad ammettere che le apparenze contano più della sostanza. Dice infatti al capitolo I che il possesso delle virtù è sicuramente più lodevole che “l’essere avenente e costumato”, tuttavia “la dolcezza dé costumi e la convenevolezza dé modi e delle maniere e delle parole giovano non meno à possessori di esse che la grandezza dell’animo” e che numerosissimi sono coloro “i quali, essendo per altro di poca stima, sono stati e tuttavia sono apprezzati assai per cagion della loro piacevole e graziosa maniera solamente”, capacità che li hanno elevati di molto al di sopra di chi, invece, era dotato delle “più nobili e chiare virtù”.
Una disincantata e spietata presa di coscienza che, a distanza di secoli, non può non suonare di grande attualità per l’uomo contemporaneo, immerso in una società proiettata sempre più verso il culto dell’effimero. [6]
NOTE
[1] Cit. Luigi Poma, Carla Riccardi, Letteratura italiana Tomo 2 Il Quattrocento Il Cinquecento, Città di Castello, Le Monnier, 2001: p.1095.
[2] Cit. Idem: p.1097.
[3] Ibid: p.1095.
[4] Cit. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1998: p. 172.
[5] Idem.
[6] Ivi: p.173.
Bibligrafia
Corpus
Della Casa Giovanni, Galateo: A Renaissance Treatise on Manners, Canada,University Of Toronto, 2001.
Della Casa Giovanni, Galateo: overo de’ costumi, Milano, Ledizioni, 2014.
Della Casa Giovanni, il galateo di monsignor Giovanni Della Casa. Coll’altre Opere volgari, Venezia, Remondini.
Della Casa Giovanni, Il Galateo, Milano, Rizzoli, 1995.
Della Casa Giovanni, Lettere di Monsig. Giovanni della Casa, Harvard, 1926.
Della Casa Giovanni, Opere, Milano, Classici Italiani, 1806.
Saggi
AA. VV, Letteratura Italiana, Milano, De Agostini, 2007.
Baroni Raouletta, Cigada Piero, Letteratura Italiana, Milano, Antonio Vallardi Editore, 2008.
Cesare Fabio, Mascheroni Roberta, Galateo a Test, Milano, Alpha test, 2007.
De Rienzo Giorgio, Breve Storia della letteratura italiana, Milano, Toscabili Bompiani, 2006.
Ferrari Monica, Costumi educativi nelle corte europee (XIV – XVIII secolo), Pavia, Editoria Scientifica: Pavia University Press, 2010.
Lippini Pietro, La vita quotidiana di un convento medievale, Bologna, Studio Domenicano, 2003.
Marchese Riccardo, Grillini Andrea, Storia e Antologia della Letteratura italiana, Milano, La nuova italia, 1988.