Nuraghe Is Paras Isili
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di Cinzia Olianas

Il patrimonio archeologico del Mare Nostrum rappresenta una delle più grandi ricchezze per i paesi del Mediterraneo, che oggi ammirano le innumerevoli testimonianze delle civiltà che lo solcarono nei millenni. Nel passato così come oggi, esso era interessato da una fitta rete di scambi commerciali non meno che culturali, spesso sotto la spinta della ricerca di materie prime e merci di scambio a enormi distanze dai luoghi d’origine.

La Sardegna ha costituito da sempre il crocevia ed il riferimento per molti traffici antichi, oggi distinguibili seguendone i segni indelebili sul territorio non meno che nelle tradizioni culturali e linguistiche. Tracce antiche che nei resti architettonici, nelle iscrizioni, nei ricchi corredi dei contesti funerari ci parlano della vita quotidiana dell’epoca.

Apprendiamo continuamente di nuove acquisizioni in aggiunta a ciò che è già valorizzato nei musei o tutelato open air. Né mancano i ritrovamenti fortuiti, spesso nel corso di lavori per la costruzione di strade o edifici, sempre più oggetto di dibattito politico e sociale nella crescente consapevolezza dell’importanza di tutelare l’identità. E in questo non va sottovalutata l’istanza di correttezza e di responsabilità rivolta ai media e al delicato ruolo di cronaca sempre più attento all’interesse della comunità. Molti dei paesi che s’affacciano sul Mediterraneo sono in difficoltà nell’innovazione gestionale, per il miglioramento del sistema cultura che passa per la tutela e la valorizzazione.

Sono moltissimi i siti aggrediti da attività clandestine, cementificazione senza scrupoli e perfino da interminabili conflitti armati. Tunisia, Italia, Spagna, Egitto, Grecia, per citarne alcuni, incontrano grandi ostacoli nei rispettivi percorsi di sviluppo, l’Unesco è ancora oggi impegnato in prima fila ma tutti devono sempre più fare i conti con i tagli e con la crisi economica ormai globale. I preoccupanti riflessi della crisi permeano allo stesso modo il sistema culturale e quello sociale, svuotandone le fasce intermedie ed aumentandone le distanze in un progressivo processo di polarizzazione a cavallo tra ricchezza e povertà.

Non già uno sviluppo a macchia di leopardo quindi, ma un’alopecia culturale, con la terra di mezzo sempre più vuota verso la desertificazione. Si pensi alla Sardegna ed alle diverse condizioni delle diverse realtà. Querelle infinite quali, ad esempio, la necropoli fenicio-punica di Tuvixeddu a Cagliari, la più estesa del Mediterraneo per numero di tombe. Un’immensa ricchezza già vittima dell’incuria e del saccheggio, cava e discarica allo stesso tempo, oggi prigioniera tra contese politiche e pretese edilizie che suonano di svendita: parco cittadino in cambio di spazi costruttivi altrimenti, nuovamente l’abbandono.

Non lontano, siti come “Su Nuraxi” di Barumini, godono di buona salute, gestione corretta, tutela e valorizzazione. Grazie ad impegno, passione e dedizione di chi se ne occupa, si raggiungono quote di visitatori elevate e quindi introiti che a loro volta consentono di avere cura del sito.

Questo avviene in tutta Italia e così, mentre deboli segnali positivi provengono da Paesi lungimiranti, sebbene più arretrati rispetto al nostro ma più attenti a ciò che accade intorno a loro (la Tunisia, tanto per citarne uno), a casa nostra, paradossalmente, abbiamo soltanto apprezzabili dichiarazioni d’intenti ma nessuna indicazione sulle risorse economiche che si intende investire, in un’incertezza che vince sull’economia. Lo sviluppo futuro viene dal passato: le radici comuni dell’antica koiné mediterranea, gli equilibri stessi alla base delle civiltà odierne, dipendono dalla capacità di confrontarsi con le politiche internazionali.

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