Articolo di Francesca Fiore
Nell’anno della “primavera araba”, la monarchia marocchina sembra resistere all’ondata di rivolte, grazie all’attivismo riformatore del giovane sovrano Mohammed VI.
Mentre il movimento “20 febbraio” si organizza nel territorio marocchino, il re del Marocco porta a compimento un processo di riforma costituzionale, annunciato in tutta fretta il 17 giugno e portato a compimento il 1° luglio, con un referendum popolare, che ha approvato la riforma a larghissima maggioranza.
Gli ambienti internazionali hanno salutato con favore questa riforma, in primis Europa e USA, nonostante i movimenti di protesta denuncino l’irregolarità delle consultazioni. Alcune sostanziali modifiche contenute nella riforma toccano l’ambito dei diritti di cittadinanza e completano il quadro di riforme avviato negli anni precedenti, con la riforma del Codice della Nazionalità e la riforma della Mouddawana, il Codice della Famiglia. Nonostante questo, i diritti di cittadinanza non sono estesi a tutti i marocchini in egual misura, con diverse discriminazioni di tipo etnico e soprattutto di genere.
Il Regno del Marocco è uno stato con caratteristiche politiche particolari, che finiscono per escludere, sul piano legislativo, una grossa fetta di popolazione dai diritti di cittadinanza. L’identità marocchina è da sempre multi sfaccettata: alle dinamiche fra berberi e arabi, le due etnie principali dello stato marocchino, si sovrappongono varie dinamiche politiche. La questione dei confini territoriali ne è un esempio palese: dal 1979, anno di ritiro dell’esercito mauritano dalla zona del Sahara Occidentale, questo territorio è conteso sia all’Algeria che al Fronte Polisario, l’organizzazione che difende i diritti del popolo Saharawi dall’ingerenza marocchina. Ciò significa migliaia di profughi ammassati su confini incerti, privi di ogni diritto di cittadinanza.
La monarchia marocchina ha attuato una strategia innovativa, dopo un immobilismo durato più di sessant’anni. Sono stati fatti notevoli passi avanti, in termini di ampliamento dei diritti. Un riconoscimento maggiore dell’identità berbera, ad esempio, è stato approvato con la recente riforma della Costituzione, ponendo la lingua tamazight (lingua dell’etnia amazigh, ovvero berbera) allo stesso livello dell’arabo. Ma di fatto, denunciano i partiti berberi – tuttora illegali a livello costituzionale-, la popolazione continua a non godere degli stessi diritti di cittadinanza dei marocchini arabi.
Un’altra questione cruciale riguarda la disparità fra i diritti dell’uomo e della donna. Le associazioni femministe hanno lavorato molto negli ultimi dieci anni, arrivando a conquistare una riforma del Codice della Famiglia, che è diventato un esempio per le altre legislazioni maghrebine. Anche questo processo di riforma, concluso nel 2004, ha portato una serie di innovazioni: abolendo la tradizionale disparità di ruoli e mansioni fra uomo e donna, sul piano giuridico e formale, ha permesso di sancire una “corresponsabilità” di entrambi i coniugi verso i figli. Il riconoscimento dei figli è stato esteso: si afferma la necessità di tutela per i figli nati al di fuori del matrimonio e la possibilità per la donna marocchina di “trasmettere” la nazionalità ai propri figli, anche se avuti da una relazione con uno straniero. La riforma del Codice di Nazionalità, promulgato nel 2006, ha completato l’allargamento dei diritti di cittadinanza, occupandosi anche dei diritti dei marocchini e delle marocchine residenti all’estero.
La difficoltà ad estendere i diritti di cittadinanza ai figli di stranieri, o ai bambini nati al di fuori del matrimonio, non deve sorprendere: basti pensare che in Italia questa norma è stata introdotta solo nel 1983, con la legge n.123. La precedente legislatura, risalente al 1912, prevedeva che fosse cittadino italiano per nascita solo il figlio di un padre italiano, mentre una donna spostata ad uno straniero non poteva trasmettere la nazionalità. Inoltre, fino alla riforma del 1975, una donna italiana che sposava uno straniero perdeva automaticamente la nazionalità, per prendere quella del marito.
In termini più generali, il nodo principale, dal punto di vista giuridico, è la contraddizione in termini fra lo stato di “cittadino” marocchino e quello di “suddito”. La condizione di suddito implica situazioni giuridiche passive, doveri e soggezioni, mentre quella di cittadino implica anche situazioni giuridiche attive: una serie di diritti, come i diritti civili, politici e sociali. Il re del Marocco ha però dei poteri di condizionamento della vita democratica sproporzionati rispetto a quelli di una monarchia costituzionale “classica”. Questo è dovuto sia alla particolare situazione della casa reale Alawita, che domina il Marocco da ben 13 secoli, sia al particolare status del re, che detiene anche il titolo di “Comandante dei Fedeli” (Amîr al-muminîn), unificando il potere religioso a quello politico.
La recente riforma della costituzione ha parzialmente ammorbidito il ruolo e l’influenza del sovrano: sostanziali modifiche rendono più democratico il funzionamento del Parlamento e delle istituzioni locali e restituiscono ai deputati un maggior potere di influenza sulle questioni legate ai diritti civili, elettorali e di nazionalità. Di fatto però, denunciano i marocchini, l’ampliamento di questi diritti rimane formale e non fattuale. Sulle questioni femminili, molte critiche sono state espresse dalle attiviste e da studiose di questioni di genere, a partire da Fatema Mernissi, docente presso l’Università di Rabat; i diritti civili dei berberi rimangono incerti, di difficile applicazione sul piano pratico, data anche la formazione tradizionale dei giudici; inoltre sulla questione più spinosa, ovvero i diritti di cittadinanza del popolo Saharawi, il re ha ribadito con fermezza che non delegherà al governo il problema.
I giovani marocchini non hanno mancato l’appuntamento con la piazza, nonostante i tentativi d’intimidazione fatta da cellule jihadiste, con il recente attentato di Marrakesh. Il riformismo di Mohammed VI però non basta: considerare ancora il Marocco come uno stato escluso da un violento rovesciamento del potere è impossibile. Una reale applicazione dei diritti di cittadinanza, che comprendono funzioni fondamentali come il pieno esercizio dei diritti civili, è l’unica arma che può salvare la monarchia- e il Marocco intero- da un periodo di violenza insensata. Se la monarchia si limiterà ad approvare timide riforme, fatte in tutta fretta, senza pensare ad una reale applicazione di queste nuove norme, per quanto ancora insufficienti, il clima si farà sempre più incandescente.