La splendida chiesa di San Zaccaria a Venezia è sempre stata studiata per la magnificenza architettonica dei suoi marmi rinascimentali e per i tesori che custodisce, Bellini, Tiziano, Tintoretto, Palma il Giovane, ma altrettanto interessante è la storia della comunità monastica femminile che abitò il vicino chiostro. Dallo studio di Anna Maria Rapetti (Università Ca’ Foscari) sul Monastero di San Zaccaria emerge una storia di donne forti e influenti che lo abitavano. Lo spunto da un antico documento notarile del 1195.
Di questo si è occupata Anna Maria Rapetti, docente di storia medievale e di storia della chiesa medievale all’Università Ca’ Foscari, nel suo articolo “Uscire dal chiostro. Iniziative di riforma e percorsi di autonomia di un monastero femminile (Venezia, XII secolo)” pubblicato sulla rivista Reti medievali.
“La ricerca- spiega Anna Maria Rapetti, del Dipartimento di Studi Umanistici – mostra l’importanza della presenza e dell’azione femminile nelle società del passato, anche in culture che il sentire comune ritiene fortemente misogine, e in particolare il ruolo propulsivo della componente femminile del monachesimo medievale non solo in ambito religioso e spirituale, ma anche sociale e politico”.
I documenti conservati presso l’Archivio di Stato appartenenti a San Zaccaria ci parlano in particolare di una operazione fondiaria e della partecipazione diretta delle monache, guidate con mano sicura ed energica dalle loro badesse, alle iniziative di riforma del monastero nella seconda metà del XII secolo e rivelano l’intraprendenza di un gruppo di donne vissute all’interno di questo grande ed antico monastero femminile veneziano, che era solito ospitare per tradizione le figlie dell’aristocrazia del dogado, ma non solo.
“In un ambiente regolato da rigide norme – continua Rapetti – che limitavano la libertà di iniziativa e persino di movimento delle donne che avevano preso il velo e, per amore o per forza, erano diventate monache, e in un’epoca considerata, non a torto profondamente misogina, vediamo agire queste donne come comunità organizzata e coordinata di persone di cui conosciamo spesso nomi e cognomi (ed è un elemento molto raro per quest’epoca)”.
I documenti ci parlano della badessa Casota Caisolo che agisce a nome dell’ente e della comunità delle monache e di altre quattro monache che la assistono Emerienziana, Celestina, Calandria, Imilia, persone in carne ed ossa che prendono nuova vita dalle pergamene facendoci intuire episodi di vita reale.
Queste donne trovano la propria realizzazione non individualmente, nella preghiera e nel silenzio che ci si aspetta da chi si è ritirato tra le mura di un chiostro, ma nel progetto condiviso e perseguito collettivamente di accrescere il prestigio e l’influenza della propria comunità monastica anzitutto attraverso il collegamento alla potentissima abbazia borgognona di Cluny e l’adozione delle sue Consuetudini”.
Nel periodo che seguì questa affiliazione, le monache furono in grado di costruire una rete di appoggio, una tela di relazioni sociali con uomini potenti, ecclesiastici e laici, vicini e lontani: il doge, il patriarca, alcuni aristocratici veneziani, ma anche l’abate di Cluny, e persino – forse – il papa. Rapetti sottolinea come furono le monache le vere artefici di quel progetto di rilancio del loro San Zaccaria, che pianificarono con cura, intelligenza e attenzione agli aspetti della comunicazione.
Le ritroviamo citate infatti nei documenti notarili relativi ad una importante operazione fondiaria (riguardante dei fondi situati nel territorio dell’odierno Ronco all’Adige, nel distretto veronese) che le monache avevano trattato e concordato con un interlocutore di tutto rispetto, vale a dire il comune di Verona, città molto importante in quel periodo.
Il documento del 22 dicembre 1195 ha colpito la studiosa perché in un epoca in cui le donne non avevano spazi politici, in cui si riteneva che le monache avessero, nella migliore delle ipotesi, solo limitate possibilità di movimento e influenza, le religiose di San Zaccaria si rivelano invece vere artefici del rilancio del monastero, presentandosi di persona la badessa e quattro monache a Verona e infrangendo, se necessario, anche l’obbligo della clausura che le confinava nei limiti delle mura monastiche. Trattano direttamente con il podestà di Verona e con le principali autorità comunali, giudici e consoli, affiancate dalla delegazione veneziana, riuscendo a concludere un accordo che ha grande importanza non solo per San Zaccaria, ma anche, sul piano politico e strategico, per Venezia.
Dimostrano una capacità progettuale, un’autonomia di azione ed una abilità imprenditoriale che si credeva appannaggio del solo mondo maschile, sanno trattare direttamente i loro affari, anche in contesti complessi, hanno capacità di gestione economica dei beni del monastero e di rinnovamento nell’amministrazione.
“In tale documento – conclude Rapetti – si ravvisa dunque il percorso di consolidamento compiuto dall’antico cenobio e la sua raggiunta capacità di porsi come autorevole soggetto politico tra altri soggetti, a difesa e promozione anzitutto dei propri interessi specifici, ma anche di quelli della madrepatria”.
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