Articolo di Fata jana
Una cosa mi ha regalato la disoccupazione. Una sola. Ma preziosa.
Lo sguardo lento e attento a ciò che vale.
I soldi fanno la differenza, inutile negare. Fanno la differenza fra le notti serene e quelle insonni prima di pagare l’assicurazione della macchina. Fra la carta di credito data con noncuranza mentre si progetta una vacanza al telefono con un’amica e il terrore che il dentista trovi un ennesimo dente da curare. Fanno la differenza fra un invito a cena in un ristorante alla moda e la pizzeria sotto casa.
Questo è ovvio e non vale la pena forse ricordarlo.
A me però, è successa anche una cosa nuova, o per lo meno dimenticata da tempo. Mi è successo di soffermarmi a pensare se di una cosa avessi davvero bisogno, se fosse importante o superflua, se davvero mi procurasse gioia o no.
E il mondo ha iniziato a prendere altre dimensioni, prospettive che non avevo considerato. La disoccupazione è un dramma, comune e personale per molti. Il lavoro non è solo ciò che ci permette di avere uno stipendio a fine mese, è qualcosa che ci occupa, ci fa sentire il nostro posto nel mondo, ci dà il metro per capire cosa sappiamo fare, cosa no. Se tanto mi dà tanto allora non lavorare dovrebbe pormi in una condizione indefinita, dovrei sparire dalla società in quanto non posso contribuirvi in alcun modo. Forse un po’ è così, visto che piano piano si scompare da quello che è il mondo attivo, frenetico, chiacchierone e incurante e si arriva al livello -1, quello dove si scende di un gradino, dove si guarda dal basso.
In un primo momento ci si sente come sott’acqua, le orecchie non sentono bene, gli occhi fanno fatica ad abituarsi. Ma se si evita di stare nel fondo spaesati e si comincia a cercare di risalire si scoprono infiniti modi di reinventarsi la vita. Ho iniziato a chiedermi cosa davvero avesse valore, e questo è il motivo di ogni scelta, il valore, non il prezzo. Ho così scoperto che non sono la sola a farlo e che dopo la batosta di un licenziamento, dopo l’ennesimo contratto a progetto scaduto, una gravidanza, ci sono molte donne e uomini che riprendono in mano le loro vite ma con direzioni diverse. E’ difficile accorgersi del mondo intorno a noi quando tutto è semplice, dovuto. Quando le cose si fanno difficili si sta più attenti. Al lavoro degli altri, per esempio: ieri ad un colloquio in un call center ho visto un ragazzo in attesa per lo stesso colloquio con la faccia seria. Mi ha detto: -adesso non attaccherò più il telefono quando mi chiamano.
Ho sorriso. So cosa significa essere dall’altra parte e ora una persona in più lo sa.
Allo stesso tempo cerco di capire le cause della mia condizione, e lungi da me essere un’ esperta in economia ho però ben presente il ruolo delle multinazionali e della globalizzazione. Sento pesantemente il peso che gli sprechi hanno a livello mondiale, sento che non si può andare avanti lasciando che la parte più ricca del mondo butti via il cibo mentre l’altra metà muore d’inedia. Non posso più accettare che non ci sia solidarietà fra esseri umani. Ho aperto il frigorifero, guardato la dispensa e mi sono vergognata. Ho capito che la causa del mio stesso male sono anche io. Lo siamo tutti. Ho cominciato ad accorciare lo sguardo e voltarmi verso chi mi sta vicino. Ho scoperto donne che la sera lavorano a maglia e regalano i loro lavori a mamme in difficoltà, così da esimerle dallo spendere soldi per gli abiti dei loro bambini. Ho visto tante persone che riprendono a piantare qualcosa nell’orto e vendere verdure con i semi tramandati da generazioni, che altrimenti sparirebbero. Costantemente cerco di osservare le persone e capirne le aspettative. Con grande rammarico vedo che molti piuttosto che cercare di migliorare la propria vita con la ricerca di una felicità interiore, appagante, cercano invece di riempirsi di oggetti che possano dare una dimensione alla loro posizione sociale. La corsa verso l’acquisto di smartphones può dare l’idea di ciò che intendo. Si corre ad acquistare qualcosa che possa dimostrare al mondo che posto occupiamo. Ma l’importanza vera è che qualcuno ci chiami, a quel telefono. Una casella messaggi vuota è triste allo stesso modo in un apparecchio nuovo quanto in uno vecchio.
Io ho deciso di non seguire quest’ ondata. Non sono mossa da esortazioni alla povertà dettati da qualche religione, o da sensi di colpa moralistici. La mia missione è migliorare la mia condizione anche dal punto di vista economico. Ma non permetterò più a me stessa di scegliere solo in base a quanto ottengo in denaro senza tenere conto dei risvolti umani. Voglio, finché posso, guardare al lato non economico ma morale, etico, solidale. Gli oggetti hanno un costo, ma devono avere un valore. Il mio lavoro ha un costo, ma il mio benessere mentre lo faccio deve avere un valore. Il tempo che passo con le persone che amo non ha prezzo. E non deve averne. E ogni acquisto deve rispondere a una scala di valori che non contemplano più la moda o lo status di chi lo acquista.
Le scarpe che indosso devono principalmente, ora, tenere i miei piedi asciutti nonostante il maltempo. Sembra banale, ma quanti ci pensano di fronte alle vetrine scintillanti? Questi giorni la mia terra ha ricevuto le prime piogge, decise, intense, non catastrofiche fortunatamente. E io ho riscoperto il piacere di camminare sotto la pioggia, con un bell’ombrello trasparente che mi lasciasse intravedere le gocce tamburellanti, e i miei piedi che hanno ricordato la gioia delle pozzanghere di quando ero bambina.
Era un po’ che non ci provavo. Ho lasciato la macchina a casa, ho risparmiato un po’ di benzina e senza accorgermene mi sono ritrovata a sorridere.
Ci sono cose nel mondo che non hanno prezzo. Io credo che sia ora di riscoprirle.
Non voglio generalizzare, non voglio dire che sia sempre piacevole fare delle rinunce. Ma se nel momento della rinuncia ci accorgiamo che ne abbiamo qualcosa in cambio che prima non conoscevamo, allora è più facile affrontare la dura salita che porta a ristabilirsi. Sono tempi duri, non lo nego. Ma sono anche tempi in cui se si vuole, si può creare un modello di vita differente. E’ questo il momento. Il mondo deve progredire, è ovvio; tecnologia, scienza, tutto deve migliorarsi. Ma non può farlo senza tenere conto di quali siano i sentimenti umani. La gioia, il dolore, non sono merci. E invece vengono venduti tramite squallidi surrogati.
Io sto dalla parte del mondo che fa fatica, sì, ma che ha ancora la possibilità di rivalutare la vita.
Ho scoperto che un mondo nel mondo fa continuamente scelte differenti. E mi piace. Mi piace fare i biscotti in casa, sapendo cosa ci metto e offrirli alle amiche per il tè, così avrò speso il giusto e saprò di aver guadagnato il tempo della chiacchierata e il piacere farle sentire importanti per qualcosa fatto apposta per loro. Cerco di non andare al cinema troppo spesso, evitando la domenica se posso, perché risparmio e divido la sala con poche persone, guadagnandoci doppiamente in denaro e in silenzio. Valuto se le mie scarpe possono fare altri passi, i miei abiti affrontare un altro inverno. Compro libri usati e a volte scopro dentro delle dediche che mi rendono preziosa la lettura, e mi lasciano immaginare la storia di chi li ha posseduti.
Esco più di rado la sera e assaporo maggiormente la conversazione. Mangio meno prodotti confezionati e cerco di comprare prodotti la cui storia non contempli troppi chilometri e alcun veleno. Posso farlo perché ho la fortuna di abitare in un luogo dove ancora non si sono abbandonate tutte le risorse e qualcuno ostinatamente coltiva ancora la terra. Ma se non li sosteniamo spariranno anche loro. Sono una pedina dell’economia forse, sono il capro espiatorio, ma se voglio posso diventare protagonista. Ho imparato a parlare con chi ha un pensiero diverso dal mio e un consiglio da darmi. Faccio regali che abbiano un’ anima, se posso creo i miei cartoncini d’auguri e la gioia di persone che si vedono protagoniste vere di un regalo non ha prezzo.
Ci sono centinaia di blog, di forum di siti internet dove ci si scambiano ricette, dove ci sono consigli su come risparmiare. Ho scoperto che posso produrre dei detersivi ecologici con poca spesa e soddisfazione enorme, ho ricominciato a usare la mia macchina da cucire scoprendo che è divertente e mi permette di indossare qualcosa di originale a basso costo. Vado meno dal parrucchiere e scelgo sempre con attenzione ogni mio acquisto. Non dico che si debba evitare di spendere, ma i soldi spesi vanno soppesati, e bisogna sapere in che mani arrivano. Preferisco spendere fra persone che conosco, pretendo lo scontrino o la fattura perché le tasse salvano la democrazia. Purché eque. Ho capito che posso votare anche con il carrello della spesa, non solo nella cabina elettorale. E lo faccio ogni volta che posso. A volte ci provo gusto, a volte mi sento proprio brava! Ma non è questo. E’ che ho imparato a guardare le persone e ne ho scoperto di meravigliose.
Esiste un mondo, quaggiù che sta diventando grande e che costringerà quelli del piano di sopra a scendere e guardare le cose dal nostro punto di vista.
Quello che cerca il valore e non il prezzo.