Potrebbe sembrare azzardato dare inizio ad un blog che si chiama “Museando per il Mediterraneo” parlando di una realtà così controversa come in questi giorni è quella legata all’iniziativa presa dal direttore del Museo Egizio di Torino.
L’idea del direttore Christian Greco, è quella di concedere, per il secondo anno di seguito e per soli tre mesi, un biglietto gratis agli arabi che si presentano alla biglietteria in coppia, iniziativa definita dallo stesso Greco un mezzo per condividere il prezioso patrimonio del museo con le genti del Paese d’origine di quegli stessi reperti che rendono la raccolta torinese la più grande al mondo dopo quella del Cairo che non si è, finora, mai pronunciato in favore di una restituzione, cosa accaduta per altre strutture museali internazionali.
Ci sembra, però, opportuno, iniziare proprio con questo episodio per sottolineare il desiderio di condurre un blog che si occupi unicamente di musei e di esposizioni organizzate nell’area mediterranea che tenga conto, in modo squisitamente super partes e assolutamente apolitico, del principio che indica l’arte, come il museo, quale bene assolutamente per tutti e di cui tutti, allo stesso modo e allo stesso tempo, debbono e possono fruire.
Fermo restando che il Museo Egizio di Torino è libero di decidere quello che vuole e che ritiene meglio per se stesso visto che non è un’istituzione pubblica anche se al pubblico si rivolge e nel pieno rispetto per l’alta preparazione accademica del giovane direttore (a cui va tutta la nostra ammirazione) nonché per il suo genuino desiderio di avvicinare quante più persone è possibile alla prestigiosa istituzione museale da lui diretta (iniziativa che, a quanto pare, sta conducendo con grandissima capacità e successo, fortunatamente) ci permettiamo di eccepire riguardo a quegli arabi alla cui cultura appartiene il patrimonio artistico custodito nel Museo di Torino e che, stando alle parole di Greco, si vogliono in qualche modo ricompensare per la cessione al nostro Paese di parte di quel loro patrimonio al quale il Museo sente il dovere di farli avvicinare.
Come tutti sappiamo (e se non lo sappiamo basta andare a controllare su Wikipedia), la lingua araba è parlata in Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kuwait, Iraq, Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Siria, Somalia, Sudan, Tunisia, Palestina, Yemen oltre che in Paesi come il Mali ed il Senegal, ad esempio, in cui è presente come lingua di minoranza. Come leggiamo sul sito del Museo questo è “come quello del Cairo, dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura dell’Egitto antico”. Ci chiediamo, quindi, cosa abbia a che fare l’arte e la cultura dell’Egitto antico con quella, ad esempio, dello Yemen o dell’Iraq o del Marocco dove si parla egualmente la lingua araba, seppure con derivazioni dialettali che portano i popoli, malgrado arabi, a non capirsi tra di loro e ad avere usi, costumi, tradizioni e, di conseguenza arte, completamente diversi al punto che, pur facendo tutti parte della grande famiglia araba, non tutti vanno d’accordo tra di loro come, ahimè, sappiamo benissimo.
Che tipo quindi di azione, chiaramente di marketing seppur di cultura, si vuole condurre? Se ci fosse coerenza, il biglietto gratis avrebbe dovuto essere solamente per gli Egiziani che hanno fornito il patrimonio che arricchisce il Museo. Se, infatti, per spiegare meglio il nostro punto di vista, The Art Institute of Chicago decidesse, come l’Egizio di Torino, di ricompensare i francesi delle opere di artisti di quel Paese presenti nelle loro collezioni, il biglietto gratis dovrebbe essere solamente per i francesi e non per tutti i popoli parlanti lingue neo latine perché tutti sappiamo benissimo che c’è un’enorme differenza culturale tra Francia, Italia, Spagna, Portogallo pur se tutte le nostre lingue derivano dal latino. Sicuramente encomiabile rimane il desiderio del Museo di Torino di ricompensare in qualche modo l’Egitto dando così una sorta di soluzione all’annoso problema delle opere dislocate lontano dai loro luoghi di origine e presenti nei differenti musei del mondo.
Sarebbe, quindi, auspicabile che, ad esempio, l’Inghilterra, seguendo questa valida esperienza torinese, offrisse, per avvicinarli al loro patrimonio culturale di origine, una volta l’anno e per tre mesi, viaggi gratis a Londra ad alcuni ateniesi per portarli a visitare il British Museum (già ad ingresso gratis per tutti) ricompensandoli della perdita, causata da Lord Elgin, dei marmi del Partenone di cui la Grecia, da secoli, chiede la restituzione, invano.
E ancora: se il desiderio del Museo Egizio era quello di avvicinare il territorio al Museo data l’alta presenza araba nel circondario, che pur sempre italiano rimane, perché non si è colta l’occasione di sfruttare l’arte per unire le due realtà nazionali ed offrire un biglietto gratis alle coppie (che non dovevano necessariamente essere marito e moglie o fidanzato e fidanzata, ma anche persone conosciutesi mentre facevano la fila alla cassa del Museo) italo/arabe? Non sarebbe stato questo un esempio virtuoso di come l’amore per l’arte può avvicinare i popoli? Ci siamo tanto e giustamente scandalizzati quando, precisamente un anno fa, un comitato torinese aveva organizzato una raccolta firme contro la decisione congiunta, definita “lo scippo dell’Egizio”, di Ministero dei Beni Culturali, Fondazione Museo Egizio e Comune di Torino di trasferire opere presenti nei depositi del Museo a Catania dove si puntava a creare una sorta di sede distaccata dell’istituzione torinese che avrebbe permesso lo scambio di opere tra la Sicilia e Torino per sottolineare l’origine che accomuna le differenti popolazioni del Mediterraneo e, quindi, le diverse parti d’Italia. I promotori della petizione asserivano che il Museo Egizio era totalmente torinese e come tale si doveva preservare per i loro figli ai quali, permettendo quel tipo di azione, il Museo sarebbe stato rubato senza rendersi conto che le opere del “loro” Museo sono egiziane e non torinesi. Perché, quindi, non si è colta l’occasione per far rendere conto ai cittadini di Torino (e quindi agli italiani) del debito che abbiamo nei confronti dell’Egitto promuovendo, come da noi già suggerito, un evento, in italiano e in arabo e non solamente in lingua araba, aperto agli egiziani e agli italiani uniti nel pieno rispetto di quella inclusione che tanto si invoca?
L’arte è un bene comune, di tutti, indipendentemente da dove si trova e da dove viene esposta, perché non usarla, quindi, come strada preferenziale per favorire l’unità e la comprensione dei popoli aprendola alla fruizione di tutti allo stesso modo e allo stesso tempo e non a quella sporadica di un solo gruppo in particolare, seppure per un breve periodo?
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