Il paesaggio musicale è un luogo di incontri. Sul palco – e, ovviamente in momenti diversi, negli studi di registrazione, nelle conversazioni tra musicisti, nelle intenzioni dei vari interpreti – l’incontro diventa la traduzione musicale di dialogo, la rappresentazione di uno scambio di tradizioni, idee, suoni e timbri degli strumenti. Nel jazz suonare insieme, dialogare attraverso note e frasi diventa la rappresentazione – anche oleografica – dell’improvvisazione sul palco, del suonare insieme.
La strada degli incontri è sicuramente quella seguita da Simone Zanchini, fisarmonicista e compositore. Musicista eclettico e assolutamente libero dalle pastoie di genere, Zanchini attraversa la musica contemporanea, acustica ed elettronica, sperimenta suoni e incrocia la fisarmonica con le possibilità dell’elettronica, si muove nell’ambito classico e affronta le contaminazioni extracolte, vive in prima persona una dimensione teatrale e narrativa in Better Alone, spettacolo in solo estremamente personale, dove si mescolano fantasia e sperimentazione, grottesco e tragedia.
“A volte la strada è particolarmente liscia, a volte devi cercare un punto di incontro che è soprattutto sonoro. Quando si suona con musicisti di alto livello e di grande esperienza, musicisti dalle orecchie aperte come li definisco io, si riesce ad esprimersi bene con il mio strumento. La fisarmonica dal punto di vista espressivo e sonoro è uno strumento assolutamente debole, al contrario del pensiero stereotipato che lo vuole strumento chiassoso: lo diventa se lo usi in quei due registri da balera, ma se lo suoni nei registri più delicati, intimi, pastosi ed eleganti è uno strumento timido, pur avendo una gamma dinamica ampia. Ovviamente l’impasto, ad esempio, con una batteria è legato alla capacità di ascolto del batterista. E, ultimamente, con il passare degli anni, mi rendo conto del valore dell’intesa personale e di come si rifletta nella musica.”
La fisarmonica è uno strumento popolare e Zanchini, per giunta romagnolo, realizza un linguaggio estremamente personale, capace di sfuggire a molte definizioni. Una linea espressiva che utilizza un intreccio serrato di elementi disparati, linguaggi e tecnologie, per giungere alla propria sintesi. Il rapporto con gli altri musicisti – provenienti da altre nazioni e da altri scenari come, ad esempio, Adam Nussbaum, Jim Black, Han Bennink o Art Van Damme, oltre agli italiani, tra i quali Mauro Ottolini e Daniele D’Agaro – diventa il modo per designare il proprio territorio musicale, anche attraverso la sedimentazione di esperienze e incontri, la ricomposizione e l’analisi di momenti di passaggio e scarti più violenti.
In particolare, molti degli incontri di Zanchini, hanno avuto come protagonisti interpreti provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. Vasko Atanasosvki, in prima battuta, e poi tanti altri della regione balcanica. “Deve essere un mio karma. Credo che anche in questo l’aspetto umano abbia avuto una grossa influenza: io con gli slavi mi capisco, c’è un’intesa umana, comunicativa e quando è così naturalmente si trasporta nella musica. Io amo la loro estrema libertà: una libertà non solo espressiva, di pensiero è fondamentale. L’area balcanica e pre-balcanica non ha avuto una storia come quella italiana, sono meno conservativi e meno cattolici e questo li porta ad avere un approccio alla musica e alla vita decisamente più libero. Questo è il punto forte che ci lega. Naturalmente anche lo strumento che suono e il modo in cui lo suono, rappresentano per loro una rarità. Da noi oltre alla tradizione popolare, abbiamo tutta una serie di musicisti che suonano la fisarmonica in maniera colta e preparata. Da loro molto meno. quindi per loro collaborare con un fisarmonicista è davvero prezioso. loro la fisarmonica la inseriscono ovunque. la considerano come nella musica classica o sinfonica noi consideriamo il violino. E quindi dal 1999 faccio un po’ il pendolare tra le due sponde dell’adriatico.”
L’Italia e i Balcani sono estremamente vicini. il mare Adriatico è molto stretto – da Ancona a Zara sono tre ore di navigazione e dal Gran Sasso nei giorni di bel tempo si vedono le coste jugoslave – e le due sponde condividono una cultura formatasi nel corso di secoli di continui scambi, scontri e reciproche “esplorazioni”.
“Siamo separati da un lago, da una pozzanghera. Purtroppo i collegamenti non sono così ben organizzati: fare scalo a Francoforte per andare, faccio per dire, a Zagabria, non è il massimo. Sarebbe bello poter aprire dei canali di comunicazione tra i popoli, chissà cosa verrebbe fuori… Ci sono musicisti straordinari, originali, di altissimo livello, presenti nei festival di tutta Europa, ma in Italia non sono conosciuti.”
L’incontro con la scena balcanica, in particolare, pone il fisarmonicista di fronte a una delle chiavi di utilizzo del materiale proveniente dalla storia musicale dei popoli. “È un mondo molto bello, con una grande tradizione etnica che i musicisti colti usano come punto di partenza per andare altrove. E il tutto viene condito da una libertà che noi, in generale, ce la sogniamo e questo me li rende molto preziosi.”