C’è solo un modo di dimenticare il tempo: impiegarlo
. (Charles Baudelaire)
Ogni civiltà ha il proprio modo di vedere e di affrontare la morte e, come gli altri, anche noi evoluti e intelligenti occidentali pensiamo che la nostra concezione della morte sia quella più giusta e corretta, anche perché non ne conosciamo altre.
Siamo cresciuti con un’educazione che non ci ha insegnato in nessun modo ad accettare la morte e di conseguenza non siamo capaci di accettarla come conclusione naturale della nostra vita…
Quante volte da piccoli ci è stato nascosto questo tragico evento da parte dei nostri cari, che in tal modo pensavano solo di proteggerci dal dolore e dalla tristezza.
In realtà proprio questo atteggiamento “troppo protettivo” non ha fatto altro che farci crescere con la paura della morte, dell’abbandono, del terrore di non poter più vedere e/o parlare con quelli che ci lasciano…
Si ci lasciano, perché abbiamo quasi terrore anche solo a pronunciare questa terribile parola. Quando dobbiamo annunciare la morte di qualcuno ci prende come un nodo alla gola e quella parola non vuole proprio uscire dalla nostra bocca. Qui oltre al terrore del fatto (o del fato) in se, si aggiunge anche quello di voler trovare il modo e le parole, e soprattutto il sinonimo della parola proibita.
hai saputo di Antonio?
No, cosa ha fatto?
Ma nulla è solo che è… andato via
dai! Si è trasferito?
Beh in un certo senso si. Ma molto lontano e non è possibile ne raggiungerlo ne parlarci
esss, non dirmi che si è trasferito in uno di quei paesi del terzo mondo senza telefono e senza alcun mezzo di comunicazione. Beh certo è sempre stato un po’ strano…
ma più che terzo mondo direi altro mondo
senti non ti capisco dove cavolo è andato? So che era molto stanco e voleva riposarsi
ora riposerà e tanto, è andato in un posto migliore, dove non esiste povertà, tristezza e tutti sono liberi e felici.
Da come lo descrivi sembra un paradiso!
Ecco brava proprio così il paradiso…
e questo discorso potrebbe andare avanti in “eterno” e solo perché non riusciamo a pronunciare quella maledetta parola “funebre”.
Sia chiaro, noi ci proviamo, ma nel momento preciso in cui stiamo per dirla… la bocca si blocca e il nostro cervello comincia ad elaborare e a cercare nella nostra memoria un modo carino o un sinonimo adatto a quel momento, come se poi ce ne fosse uno.
E’ più forte di noi ed ecco che escono dalla nostra bocca cose tipo: ci ha lasciato, è andato via, ora è in un posto migliore, finalmente potrà riposare, ha smesso di soffrire, ecc; come se poi, non pronunciando la parola, il destino potesse cambiare o la persona resuscitare.
Il tabù della morte, dunque inizia proprio da li, dalla parola “morte”.
Ma è mai venuto in mente a qualcuno che invece morire è un po’ come raggiungere il meritato riposo, l’eterno riposo, dopo una vita di lavoro e sofferenza, e non una punizione?
1 thought on “Il paradiso può attendere…”