I Mamuthones e il fuoco: istinto primordiale e purificazione
Share

Stavolta parliamo di fuoco. E di Mamuthones.

Che c’entra l’uno con gli altri, direte.
C’entra eccome perché la prima uscita dell’anno della maschera mamoiadina, uno dei simboli della tradizione sarda più conosciuti e apprezzati, avviene il 17 gennaio in occasione della ricorrenza dedicata a S. Antonio Abate, detto Sant’Antonio del fuoco (“Sant’Antoni de su o’u”). Infatti la leggenda ci racconta che il santo, in una sua discesa all’inferno, rubò al diavolo, una scintilla di fuoco e la nascose nella cavità di un bastone di ferula, portandolo poi in regalo agli uomini.

Ma questa ricorrenza non è solo religiosa, si tratta infatti di un sincretismo di significati tra sacro e profano che affonda le sue radici nel mito della Sardegna arcaica
L’accensione dei falò e la conseguente uscita dei Mamuthones rappresentano anche la prima manifestazione del Carnevale mamoiadino.
Una manifestazione tradizionale che per la sua valenza culturale ed estetica, per il valore socio antropologico della cerimonia, ha richiamato in Sardegna, nel paese barbaricino, ogni anno sempre più interesse e affluenza di turisti, appassionati e operatori culturali.

I festeggiamenti mamoiadini durano due giorni, il 16 e il 17 gennaio, durante i quali si svolgono alcune cerimonie in una mescolanza di elementi religiosi e pagani che le rendono molto suggestive.
Durante i due giorni di festa, gli abitanti di Mamoiada accendono numerosi fuochi nei diversi rioni del paese. Ciò rappresenta anche un momento di condivisione tra le famiglie mamoiadine, i loro ospiti e i turisti che oramai si riversano ogni anno sempre più numerosi.
Ci si riunisce all’aperto intorno ai fuochi e si mangia, si beve, si canta e si balla. Non è inusuale, infatti, imbattersi nei due giorni in gruppi che improvvisano per strada il canto a tenores
Durante il giorno 17, il momento clou della sagra è rappresentato dalla vestizione rituale dei Mamuthones che effettuano la loro prima uscita del carnevale. Il rito della vestizione delle maschere, che avviene ad opera di due persone preposte per ogni Mamuthone (nella foto), avviene nella sede della Pro Loco del paese e richiama l’interesse di numerosi operatori cinematografici e foto operatori per la suggestione e la complessità di elementi che ispira la cerimonia.

Mamuthones
Mamuthones

Dopo di che inizia la sfilata delle maschere tradizionali che, con il loro tipico aspetto caratterizzato da lineamenti duri scolpiti nel legno d’ontano e movimento primordiali, si ritroveranno a danzare e a ritmare sulla schiena “Sa carriga”, un carico di campanacci che si aggira intorno ai 30 kg avvolti in cinghie di cuoio. I campanacci che nella tradizione vengono detti “Sonazzos” vengono scanditi dalle “Limbatthas”, il tipico batacchio realizzato con femori o altre ossa animali, in una danza simbolica che tocca tutti i fuochi presenti nel paese, accompagnati e in qualche modo disciplinati dagli eleganti e colorati Issohadores, che invece indossano uno scialle ricamato, la camicia e i calzoni bianchi, il giubbino rosso fuoco, e spesso una maschera bianca dai lineamenti delicati più simile alla maschera della Sartiglia oristanese, in una mimesi gestuale che rappresenta l’istinto domato dalla razionalità.

E’ molto affascinante recarsi a Mamoiada in questa circostanza perché ci si ritrova avvolti da un’atmosfera arcaica, fuori dal tempo che si avverte anche nei vari significati traslati dei vari elementi: del fuoco visto come elemento purificatore che predispone la terra ad essere fertile e ricettiva per i raccolti successivi; delle maschere che rappresentano la brutalità e dei loro accompagnatori che invece rappresentano la disciplina e la ragione. All’interno della quale brutalità e istinto primordiale si annullano.
Si suppone che la ritualità della danza possa risalire all’età nuragica e nasca come religione animista legata al culto degli animali, in una propiziazione di protezione dei raccolti e delle colture agricole minacciate dagli spiriti maligni.
Si farebbe anche risalire il termine Mamuthones al greco “Maimon” come “colui che smania, che posseduto dalla divinità” a indicare nella maschera la piena sovranità dell’istinto animalesco, mentre gli Issohadores prendono il nome dal laccio in vimini “Soha” con cui questa sorta di custodi trattengono e disciplinano gli stessi Mamuthones nei movimenti e nella danza.
Altri studiosi invece individuano nei Mamuthones i mori invasori prigionieri dai sardi Issohadores, ma in questo caso il mito sarebbe di più recente acquisizione rispetto ai richiami nuragici e al successivo culto dionisiaco.

Di seguito si riportano le parole di Dolores Turchi, studiosa olianese delle tradizioni popolari della Sardegna e non, giornalista e autrice saggi in cui presenta e sviscera i temi più complessi della cultura sarda anche nella sua accezione socio antropologica.
“In questo carnevale sono presenti gli ultimi brandelli di un’antica cerimonia che in tempi lontani doveva svolgersi in onore del dio Dioniso per propiziare la pioggia.
Anche se ormai se ne è perduto il ricordo, restano i nomi e la gestualità che ne denunciano il rito agrario.
Le maschere sono chiamate Mamuthones, e derivano il loro nome da“maimatto”, ossia il tempestoso, colui che infuria (nel senso che fa infuriare la tempesta).
Questo epìteto veniva dato allo Zeus Pluviale, divinità del mondo sotterraneo che veniva identificato con Dioniso, che ogni anno moriva, per rinascere a primavera con la vegetazione dei campi, nel ciclo annuale dell’eterno ritorno.
I Mamuthones, quando mimano la sacra rappresentazione, eseguono una sorta di danza zoppicante. Si tratta dello squilibrio deambulatorio proprio delle feste dionisiache, necessario per risvegliare la vegetazione.

 

Mamuthones che prende una corda
Mamuthones che prende una corda

Essi sono tradizionalmente dodici, come i mesi dell’anno, e sono circondati da otto guardiani detti Issohadores (nella foto) perché muniti di un laccio (soha) col quale catturare la vittima (il mamuthone), se questa tentasse di sfuggire alla morte che l’aspetta.
I campanacci che queste maschere portano sulle spalle e sul davanti hanno funzione apotropaica, servono cioè per allontanare gli spiriti del male durante la cerimonia propiziatoria che in tempi lontani veniva rappresentata nelle varie fasi della passione e morte del dio.
I Mamuthones portano sempre un fazzoletto da donna, di colore scuro, che contorna la maschera lignea (visera) e avvolge completamente la testa di chi lo indossa.
Questo indumento, appartenente al costume femminile, non manca mai nel travestimento, quasi si volesse mettere in evidenza l’androginìa del dio.
Un tempo queste maschere portavano gli indumenti alla rovescia, in segno di lutto per la divinità che stava per morire”.

Anche quest’anno si è rinnovato a Mamoiada il rito del fuoco e dei suoi abitanti provenienti da una Sardegna arcaica e magica, della quale scoprire i significati diviene attività sempre più affascinante e interessante.
Auguro per il 2013 un buon fuoco purificatore a tutti, affinché il vostro terreno sia sano e coltivabile per tutto l’anno.

 

Leave a comment.