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Essendo nata in tempi già “moderni” in una grande città come Milano, non ho grandi ricordi legati al pane. Nella mia famiglia nessuno ha mai fatto il pane in casa; in età da elementari mia nonna mi mandava a prendere quattro michette dal solito prestinée (panettiere in milanese) e poi il sabato si acquistava il pane per la fine settimana e la scelta era tra “il bastone” (molto, molto simile alle baguette parigine che ho conosciuto anni dopo) o il biove (una grossa pasta dura) che pesava anche più di un chilo. Il pane era buono, o, almeno, io lo ricordo tale.

Negli anni la qualità è scaduta, la cura per certi particolari è venuta meno, i forni di un tempo sono via via spariti, sostituiti da “boutique del pane”, accattivanti, aperte tutto il giorno e tutti i giorni, carissime. Per tacer del pane venduto nei supermercati: qualità pessima ma disponibilità immediata, a ciclo continuo e a poco prezzo.

I miei primi tempi in Sardegna sono stati perciò caratterizzati da una riscoperta del pane. Sono stata sopraffatta dalle varietà, dai sapori, dalla semplice (che tanto semplice non è) constatazione che qui il pane è buono. Che ci sono i forni a legna. Che ci sono i panettieri che si alzano ancora la notte per panificare. Che ogni paese è orgoglioso del suo pane. Che ogni paese ha il suo pane, diverso, più grande, più piccolo, più morbido, più sottile, più croccante, più raffinato, più rustico del paese accanto. Che il pane ha un significato sociale, religioso, propiziatorio, rituale. E che ogni singolo pane ha il suo nome.

Paulilatino. Pane decorato 2, foto di Cristiana grassi
Pane decorato, foto di Cristiana Grassi

Chiamare per nome il pane e riconoscerlo è diventata per me una passione, capire il perché delle forme e delle lavorazioni una continua scoperta. Un percorso che spero non finisca mai, non solo perché mi piace studiare, ma perché spero che questa situazione non muti: ovvero che il pane si continui a fare bene e, anzi, sempre meglio, con le migliori materie prime.

Un bell’esempio di questa tendenza l’ho avuto lo scorso 2 luglio a Paulilatino (Oristano). Paulilatino è un paese che frequento da qualche anno proprio per il pane: tutte le volte che mi è possibile ci vado e faccio scorta di pane crivazu, di s’infarinau, di pistoccu che conservo in porzioni e consumo pian piano. Sabato, quindi, il paese era vestito a festa per la manifestazione Su pane fattu in domo, durante la quale un percorso suddiviso in venti tappe conduceva il visitatore ad ammirare i vecchi forni, i cortili e le case e a vedere le artigiane (tutte donne, sì) al lavoro nella preparazione di diversi tipi di pane dall’impasto alla cottura: zichi, su coccoi pintau, su crivazu.

Paulilatino. Allestimento in cortile, foto di Cristiana Grassi
Il pane sospeso. Allestimento in giardino, foto di Cristiana Grassi

E quando scrivo “vestito a festa” intendo che il paese voleva dare il meglio si sé: fiori sui davanzali, pulizia assoluta delle strade, allestimenti semplici ma di grande effetto con cestini tradizionali, oggetti vecchi o antichi ma ancora utili, fasci di spighe di un meraviglioso grano duro, ceramiche, rami, terrecotte, teli di lino e di lana per tener caldo e riparato il pane. E il pane, magistralmente gestito dalla semola alla pagnotta, veniva rigorosamente offerto ai visitatori, non venduto. La dimostrazione di un impegno spontaneo, del fatto che gli abitanti del paese hanno a cuore le proprie tradizioni e che tengono davvero a farle conoscere.

Armata della mia fida macchina fotografica, sono stata accompagnata da una guida d’eccezione: lo Chef Roberto Serra del ristorante sardo Su Carduleu di Abbasanta, il quale è, prima che un amico, un grande conoscitore dei pani tradizionali, che propone in accompagnamento ai suoi piatti e che descrive sempre in modo molto preciso ai suoi clienti.

Ho potuto cogliere momenti suggestivi dell’apertura dei forni e immortalare le mani delle signore più mature, ma anche di molte giovani donne, impegnate nel delicato lavoro di lavorazione di su pani pintau. E scoprire una volta di più quante diverse forme può prendere un elementare impasto di semola e acqua, reso vivo dal lievito madre.

Paulilatino. Pane pintau 3, foto di Cristiana Grassi
Su coccoi pintau prima della cottura, foto di Cristiana Grassi

Qualche parola in più la voglio dedicare a questi meravigliosi “lavori di pane”: non il pane quotidiano, ma quello artistico, ovvero il pane dipinto, decorato. Espressione d’arte effimera – come è stato definito – meravigliosa e piena di significato. Non solo pura decorazione, ma senso in ogni figura, senso legato alle feste, ai momenti della vita, alla religione, a ricordi di famiglia. Capacità manuale, ma non solo; anche grande propensione a cogliere la grazia e la bellezza e amore per la tradizione.

In ogni luogo siamo stati accolti con grandissima disponibilità, sorrisi ed entusiasmo. I cortili, spesso minuscoli, sui quali si aprono “le stanze del forno” si sono rivelati fioriti e suggestivi: luoghi intimi, casalinghi, ma allo stesso tempo aperti alla comunità. Fare il pane a mano e cuocerlo nel forno a legna è, infatti, da sempre un lavoro che le donne portano avanti unendo le forze. Un tempo per necessità, oggi per il piacere di condividere e anche un po’ per mostrare orgogliosamente alle vicine la propria abilità.

Paulilatino. Pane pintau 1, foto di Cristiana Grassi
Su coccoi pintau nel cesto, foto di Cristiana Grassi

In ogni tappa ho avuto conferma di quanto sia buono il pane sardo: ne ho assaggiato diverse varietà e ognuna aveva le proprie precise caratteristiche, il proprio aroma e la propria consistenza. Lo stesso tipo di pane cotto in due forni diversi era diverso: merito di certo della madre; del frammento di pasta viva conservato in ogni casa dove si panifica e che, spesso, viene passato, prestato e tramandato.

La pietra scura con la quale sono costruite moltissime case del centro storico faceva da piacevole sfondo a piante di vite, dai grossi grappoli immaturi di un verde luminoso; i gradini degli usci e alcuni dei vicoli più piccoli erano allestiti con cuscini colorati per il riposo dei visitatori. Un modo di scoprire a passo d’uomo un paese di poco più di duemila abitanti attraverso il quale si passa spesso, da un semaforo all’altro, senza soffermarsi troppo e che ha invece molto da offrire.

Paulilatino. Pane decorato 1, foto di Cristiana Grassi
Pane appena sfornato, foto di Cristiana Grassi

Se, come me, avete tante curiosità da soddisfare sul pane sardo, vi consiglio due splendidi libri, entrambi riccamente illustrati ed entrambi pubblicati da editori sardi: Pani. Tradizione e prospettive della panificazione in Sardegna, Ilisso, Nuoro 2005 e La sacralità del pane in Sardegna. Riti, credenze, miti e simboli della panificazione tradizionale, Carlo Delfino Editore, Sassari 2015

 

1 thought on “Il sapore e la bellezza de su pane fattu in domo

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