Tempo che passa
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“Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e il poi”.

Aristotele, Fisica , IV (D), 11, 219b 1-2

Il problema del tempo

attraversa l’intera storia dell’uomo e ne rappresenta un filo rosso ad ogni latitudine. Consapevolmente o inconsapevolmente tutti esperiamo lo scorrere del tempo: quando attendiamo la luce verde ad un semaforo, ascoltiamo una conversazione, camminiamo, e la percezione che ne abbiamo determina profondamente il nostro modo di agire. Heidegger sottolinea che l’uomo riflette sul fatto che il tempo è sempre tempo per fare qualcosa, è “tempo per” non idea astratta, in quanto l’esistenza umana è “tempo per fare qualcosa”. Il tempo è, dunque, una di quelle nozioni con le quali prima o poi ci troviamo a fare i conti; una di quelle idee apparentemente astratte, che tuttavia si rivelano nella storia con drammatica concretezza.
Filosofi, storiografi, storici della scienza e delle religioni, archeologi e antropologi, fisici, poeti e letterati sono stati spesso chiamati ad esaminarne i vari aspetti; ma affrontare un viaggio attraverso i diversi significati del tempo è come mettersi di fronte all’orizzonte: le possibilità sono infinite; il tempo si contraddistingue per l’intrinseca inafferrabilità e per la sua onnivora e ubiqua presenza.

“L’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono”; “la successione di istanti, capace di essere suddivisa, misurata e distinta”: queste, le definizioni generiche del concetto di “tempo” fornite dai comuni dizionari della lingua italiana, per i quali sembrano sussistere due “tempi”: quello della fisica (“obiettivo” o “reale”) e quello della psicologia (“soggettivo” o “fenomenico”). In genere, si presuppone che solo il tempo della fisica sia reale e che il tempo soggettivo sia una “brutta copia” di quello oggettivo. Alcuni ritengono il tempo un fatto di natura, con il soggetto immobile spettatore di un divenire esterno reale; altri lo considerano un fatto dello spirito, tramite il quale il soggetto esplora un mondo sostanzialmente immobile.

Vi sono poi due idee fondamentali del tempo: il pensiero cronometrico occidentale in base al quale il tempo è visto come un’entità lineare e misurabile (visione rispondente alla necessità di ottimizzare il proprio tempo e che dipende dall’organizzazione economica) e il tempo ciclico e puntiforme proprio delle società tradizionali presso le quali il tempo viene scandito attraverso il passare delle stagioni o secondo eventi contingenti (il mercato della domenica, per esempio). Molte società possono essere comunque considerate “a doppio regime temporale”: con un tempo “qualitativo” legato all’esperienza che dipende dalla necessità di frazionare il tempo per contingenza, ed un tempo “quantitativo”, astratto e frazionabile, che con la globalizzazione sta diventando via via dominante.

Il tempo è la categoria più immediatamente percepibile e quindi la meno arbitraria dei dati simbolici. Il sole sorge e tramonta e per secoli il lavoro dell’uomo è stato scandito da questi due momenti e dal succedersi delle stagioni. La problematicità della nozione di tempo esercita un fascino irresistibile su chiunque: il tempo richiama, infatti, per immediata associazione, il concetto di durata e, con essa, quello della ineluttabilità della morte. Nascita, crescita, declino si legano intimamente all’antichissima concezione del ciclo, su cui si basarono le religioni mediterranee pre-indoeuropee. L’osservazione soggettivo-oggettiva dei ritmi naturali (crescita-sviluppo-morte) su di sé, sui propri simili, nel regno animale e vegetale; il ritmico alternarsi di luce e buio, le variazioni climatiche stagionali, l’osservazione del susseguirsi delle fasi lunari e il periodico scomparire e riapparire delle costellazioni (un moto in forma circolare, ciclica sempre eguale a se stessa), tutto ciò ha ingenerato nell’uomo, fin dai primordi, la coscienza del tempo e del suo trascorrere. Questo, sia che si tratti, come sostenuto da Platone , di una idea, quindi preesistente all’uomo stesso che la pensa, sia che si tratti di una creazione della mente dell’uomo, del suo “ragionamento discorsivo”, la Psyché, capace di alto tasso di molteplicità, come sostiene Plotino, nelle Enneadi quando afferma che l’anima è principio di vita e origine delle varie cose del mondo, sicché il tempo sorge con lei.

Con la riflessione e la consapevolezza, si presenta il bisogno di “fermare” le osservazioni riguardo a questo scorrere, vitale informazione sempre disponibile, finalizzata alla riproduzione e agli altri aspetti della sopravvivenza. L’osservazione e la concettualizzazione del tempo hanno spianato la strada verso tutti gli altri tipi di osservazioni e concettualizzazioni, oltre ad aprire la via maestra verso la trascendenza, in quanto l’uomo prende coscienza di questa dimensione, e in primis del divino, attraverso la riflessione sui rapporti numerici, cominciando dal dispiegarsi del tempo, in cui si esprime la duplice tensione, che produce appunto movimento: del Primo Motore verso la sua creazione, e degli oggetti tutti del creato verso di lui.

I Greci, chiamarono il tempo chronos, dalla radice gher che designa il concetto di chiudere, delimitare e intesero la durata come limite. Alle stesse conclusioni giunsero i Romani che all’ellenico chronos contrapposero tempus, da cui si è originato l’italiano tempo. Anche questo termine fu però mutuato dal vocabolario greco: tempus ha la sua radice etimologica in tem, che troviamo in temno, tagliare, cingere. Si riafferma, dunque, la nozione di limite, di porzione limitata della realtà, e la Grecia e Roma sono solo due esempi significativi, di questo modo di concepire il tempo, nato verosimilmente nel tardo neolitico, allorché, le prime società di agricoltori imparando a coltivare regolarmente la terra si avvidero delle ferree leggi del ciclo naturale delle stagioni a cui le colture erano di necessità soggette e della dualità della natura, fenomeno a cui fu spontaneo associare l’uomo. La nozione di ciclo, apparsa con la cultura neolitica della religiosità agraria mediterranea, è responsabile dell’ètimo di chronos, del tempo e del loro essenziale significato di limitazione.

L’organizzazione del tempo è una struttura che consente di dare un ordine mentale alle cose. Tale percezione non è puramente immediata, si è stratificata in ogni cultura sulla base di fattori socio-culturali. Le persone, aderiscono, cioè, contemporaneamente ad una percezione del tempo che è sociale e individuale. Il tempo, come lo spazio, è una categoria a priori ma non per questo priva di significati e rappresentazioni che variano al variare delle culture.

Nelle società rurali riescono a convivere due concezioni del tempo differenti tra loro. La prima è legata alla produttività e alla vita biologica del contadino e segue i dettami dei cicli della terra: il contadino si orienta rispetto alle trasformazioni per mezzo dell’osservazione di quei fenomeni della natura, importanti economicamente, che ricompaiono a periodi regolari (maturazione delle piante, mutamento della direzione del vento, contrasto fra periodi di siccità e di pioggia). Per suddividere e stabilire con precisione il tempo egli ricorre al sorgere e al tramontare degli astri. Le unità del suo computo sono i giorni, i mesi e l’anno. L’esperienza del contadino è segnata dalla sua dipendenza dalla terra. Il riferimento fisso delle campagne è, dunque, il movimento circolare degli astri che consente il computo del tempo. L’altro tempo presente nella vita di tutti i giorni e nell’intero arco dell’esistenza del contadino è vivo nei rintocchi delle campane del villaggio, con i periodici richiami alla preghiera: è il tempo della chiesa che mira al controllo del tempo umano poiché esso va vissuto in funzione di un tempo divino che si raggiunge dopo la morte.

La dottrina cristiana introduce una concezione lineare del tempo; il cosmo e l’uomo, come per Platone, sono stati creati dalla stessa mano ordinatrice. Il tempo, così, traccia una linea che dalla genesi arriva a un limite stabilito nell’apocalisse. La chiesa assume, dunque, un ruolo dominante nella scansione dei ritmi contadini. In passato, nelle campagne circolavano almanacchi e calendari della chiesa, i cui tempi si rifacevano alla vita di Cristo, le festività erano legate a eventi che celebrassero la vita e le opere che il salvatore ha compiuto. Per poter installare i suoi insegnamenti nelle credenze e nei ritmi collettivi, la chiesa ha dovuto sostituire le festività già presenti e introdurne di nuove e nel fissarle si sono tenuti presenti riti e cerimonie con caratteri non cristiani propri della tradizione non cristiana. La religione sembra, dunque, aver operato sui ritmi festivi preesistenti egemonizzandoli completamente.

Concludiamo sottolineando come attorno alla categoria del tempo e ai suoi molteplici significati (di ordine storico, filosofico, o di natura astronomica) si sono addensati luoghi comuni e rozze ovvietà: stereotipi che proliferano senza soluzione di continuità e di cui in molti ci serviamo abitualmente e forse inavvertitamente, banalizzando e involgarendo, come in pochi altri casi, un concetto tanto nobile e complesso.

Fonti

Aristotele, Fisica, Mimesis

Platone, Il Timeo, Bompiani, 2000

Plotino, Enneadi, Bompiani, 2004

Heidegger M., Essere e Tempo, Longanesi, 2005

1 thought on “Il senso del tempo: concezioni, processi e costruzioni culturali

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