di Mariano Froldi
“Permette? Sono l’isola di San Pietro e se davvero mi vuole conoscere non può fare a meno di gustare il tonno che passa da millenni lungo le nostre rotte; è il migliore dell’intero globo terracqueo e lo deve gustare come fanno le genti sardo-liguri che mi abitano”.
Leopardi
, se non fosse stato troppo preso a parlare di “moderna eloquenza”, forse in una delle sue operette morali avrebbe dato voce all’isola degli sparvieri, o Hieracon o Accipitrum insula così, mentre il viandante vi si recava per visitarla.
Già, il tonno dalle pregiate carni rosse, che puntuale ogni anno attraversa l’Atlantico (gli scienziati non ne sono ancora del tutto certi) per entrare dalle colonne d’Ercole (ma Sergio Frau, con ottimi motivi, le sposterebbe a metà Mediterraneo) e dirigersi verso i mari d’Oriente. Il tonno che non rappresenta solo sangue, quello che innocente versa nel cruento e secolare rito della mattanza; ma anche il sudore e la fatica dei tonnarotti.
Rito uguale da secoli appunto, per la pesca di questo tonno pieno di uova, che per la sua fretta nell’andare a riprodursi viene infatti chiamato tonno “di corsa”. E non “da corsa”, come erroneamente scrissi anni fa attirandomi giusta ira e sberleffi. Ma prima di “parlare” alla pancia, parliamo alla mente.
Cosa sono le tonnare tradizionali, che sopravvivono nel Mediterraneo, solo presso le coste sulcitane della madre terra sarda? Sono un gigante che si risveglia a febbraio, quando i tonnarotti preparano tutte le reti che qualche mese dopo saranno calate in mare, sempre nello stesso punto e più o meno con la stessa “forma”. Queste reti saranno i “muri” della “tonnara”, fortemente ancorata al fondo marino e con una trappola ben congegnata: la sua “bocca”. Si chiama tonnara fissa proprio perché sono i tonni a finirci dentro mentre le reti restano fisse. Un numero elevato di prede non abbocca alla trappola e si riproduce, in un equilibrio che dura da millenni fra la natura e la voracità dell’homo sapiens sapiens. Equilibrio messo a dura prova dalle tonnare volanti giapponesi che depredano a tutto spiano tonni e pesci e chi più ne ha più ne metta.
Ma torniamo all’isola di San Pietro ed alla sua tonnara, che si chiama dell’“Isola piana” perché prima gli stabilimenti si trovavano proprio presso quell’isola, che si trova davanti a San Pietro, sul suo versante nord orientale. Da un secolo, i locali per la lavorazione del tonno si trovano invece presso “La punta”, giusto dirimpetto all’isola Piana. Le reti vengono calate davanti agli scogli delle tacche bianche, poco distanti in linea d’aria dalla Punta. Si comincia a aprile e si finisce a metà giugno.
Ora ecco la ricetta: il “tonno alla carlofortina” che gentilmente ci spiega Secondo Borghero, patron del ristorante il “Tonno di corsa”, ristorante nato nel 1980. E mai scelta è stata più azzeccata. Il locale si trova su due livelli, per poi affacciarsi nelle deliziose terrazzine dalle quali si può godere la vista del porto. E’ ubicato nelle “cassinee”, antico quartiere di Carloforte caratterizzato dai tipici carruggi, dal sali e scendi delle scalinate in pietra di sapore mediterraneo.
Lo chef ci dà le porzioni per 4 persone: 800 grammi di tonno rosso tagliato in tranci alti 3 o 4 centimetri. Una volta tagliati i tranci, li si deve passare nell’olio caldo (rigorosamente d’oliva) per circa un minuto, per una prima precottura. Su un tegame a fondo largo, preparare dell’olio aromatizzato con aglio in camicia (da togliere poco dopo). Nel frattempo sciogliere in una tazzina due cucchiai di concentrato di pomodoro con un bicchierino di aceto. Il tutto da mettere nell’olio usato precedentemente e che nel frattempo si è raffreddato.
Riaccendere il fuoco, mettere i tranci di tonno, con due o tre foglie di alloro, nell’olio, aggiungere un bicchiere di vino bianco a fiamma molto bassa. Coprire il tegame e far cuocere rigorosamente (ci raccomanda Borghero) a fuoco basso. Per ulteriori delucidazioni conviene andare al “Tonno di corsa” e gustare il piatto direttamente da Secondo.
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