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Il tradimento nella Storia; caratteristiche del tradimento.

di Anna Cantagallo

Il tradimento è in agguato in ogni forma di aggregazione perché nasce dalla condivisione e si nutre di essa. Quando si forma un NOI con uno o più soggetti aventi in comune la condivisione per un’appartenenza (religiosa, etnica, familiare) o un ideale (politico) oppure un fine (sociale, patrimoniale),  si stabiliscono delle regole e si nutrono delle aspettative, basandosi sulla fiducia. Quando si rompe la fiducia e viene perpetrato il tradimento ci si stupisce e rammarica, pur avendo avuto conoscenza di una serie infinita di esempi illuminanti.  Ne scelgo alcuni. Iniziamo da quando la storia dell’umanità ha lasciato tracce scritte. Nella Bibbia (raccolta scritta del X secolo a.C. della tradizione orale) viene presentata Eva che tradisce il patto con Dio (solo perché desiderosa della conoscenza), contando sulla forza del NOI appena costituito con Adamo. Viene narrato il primo tradimento in ambito famigliare, dove la bolla del NOI di Caino e Abele, due fratelli, scoppia per invidia di uno verso l’altro.

 Successivamente nei Vangeli si riporta come Gesù venne tradito da Giuda, componente del NOI discepoli di Cristo, tradimento operato per svelare l’eccitante segreto che univa quel NOI, ovvero il fondamento di un nuovo ordine che avrebbe cambiato il mondo. Alcuni autori hanno pensato che il tradimento di Giuda fosse stato necessario perché il destino di Gesù si compisse e che, come un uomo, subisse una tale esperienza dolorosa, come riportato da W. Klassen in Giuda. Anche uno scrittore come Eric Emmanuel Schmitt concorda per “il tradimento necessario” nel suo Vangelo secondo Pilato. Il tradimento di Giuda non spiazza Gesù (“Uno di voi mi tradirà”) ma i suoi discepoli, nei quali si incrina la fede nella lealtà, nell’amicizia, nella condivisione dei nuovi ideali.

E ancora il tradimento di Pietro reiterato per ben tre volte. Quello è un tradimento quasi banale nonostante i giuramenti di lealtà,  fatto per viltà, per incoerenza o senza un vero perché che può essere assunta come la metafora della complessità dell’individuo nei suoi intenti e nelle sue oscurità. Il ripetersi del tradimento porta  Pietro a disconoscere il suo NOI del rapporto con Gesù, mentre prevale il NOI di un Pietro impaurito con i soldati romani e la gente di Galilea.

 Questi esempi  ci fanno riflettere sulla incontrovertibile verità  che la possibilità di essere traditi, ma anche quella di diventare traditori, sia sempre in agguato.

Il monito che viene dall’esperienza è quello di imparare a fidarsi, ma anche di imparare a diffidare.

Il tradimento si può intendere come un’azione o una sequenza di azioni che rompe la relazione fiduciaria che è volontaria e consapevole.  Quella bolla del NOI incrinato o addirittura rotta necessita di un cambiamento e di una nuova definizione.

Il tradimento di per sé ha delle caratteristiche peculiari, come analizzato da Gabriella Turnaturi in Tradimenti.

Si presenta asincrono. Per chi tradisce, il tempo sembra lunghissimo tanto che desidera accelerarlo seminando indizi (riconoscibili a posteriori), affinché la bolla del NOI si incrini o si rompa; oppure il traditore sospende il tempo e lo mette tra parentesi nella continuità della propria vita. Molti traditori hanno una sequenza di tempi sospesi nella propria vita.

Per chi scopre di essere tradito, tutto si consuma in un attimo. Alla ferita del tradimento si associa la ferita del tempo da cui ci si sente espropriati. Quel tempo appare sconosciuto, disseminato di gesti, frasi, azioni da reinterpretare. “Come hai potuto nascondermi questo? Perché non me lo hai detto prima?” La mente lavora senza sosta per capire e darsene una spiegazione.

Chi è tradito percepisce il tempo dell’altro tra l’assenza e la presenza, tra l’esserci qui e altrove; quello che potrebbe essere il significato di avere una doppia vita.  Per il tradito, la sequenza temporale del NOI non combacia, mentre chi tradisce può cancellare il passato e far scomparire il tempo vissuto insieme al tradito.

 Il tradimento è asimmetrico. Gli attori coinvolti nel tradimento (tradito e traditore) scoprono l’asimmetria tra le aspettative e la realtà, tra l’immagine che si ha dell’altro prima e dopo il tradimento, tra la capacità di lettura dei gesti e delle parole con le azioni. Inizia a farsi comprensibile Platone  e La teoria delle idee, uno dei pilastri della sua filosofia, attraverso la quale cerca di spiegare la realtà e la sua natura duplice: il mondo sensibile, accessibile attraverso i sensi, e il mondo intelligibile, comprensibile solo con la ragione.

In parole più semplici, con il tradimento si rende visibile la discrepanza tra le caratteristiche idealizzate dell’altro e la realtà. Nella rappresentazione della bolla del NOI c’è l’idea di noi stessi e dell’altro.

Il tradimento mostra il mutamento. In ogni forma di relazione uno o più soggetti mutano (lentamente o improvvisamente) nel modo di pensare, di relazionarsi all’altro o al mondo intero. Il solo mutamento appare all’altro come un tradimento perché intacca le  certezze su cui era costruito il NOI.

 Il cambiamento dell’altro viene percepito come una minaccia. “Non ti riconosco più” è la frase più ripetuta al di là di un’azione concreta che attesti il tradimento. Il mutamento svela il malinteso che anima i rapporti sentimentali. Prendendo a prestito frasi comuni che circolano intorno al malinteso dei rapporti di lunga durata (matrimonio in primis) si dice che l’uomo spera che la donna non cambi dopo il matrimonio (le sue attenzioni, le sue carinerie, la sua seduttività ecc.); la donna è convinta che lui cambierà (le sue abitudini autonome, l’ambizione ecc.); anzi lei si darà da fare affinché le caratteristiche di lui che più l’intrigavano (il successo, la piacevolezza, la seduttività) siano smorzate.  Una donna lascia un uomo quando non trova più in lui le qualità che non ha mai avuto, come citato da Eric Emmanuel Schmitt in La giostra dell’amore.

Dinamiche ancestrali del tradimento.

Al tradimento dovremmo essere preparati, come fosse iscritto in una memoria ancestrale emotiva che va al di là degli esempi storici rivolti alla razionalità.  Il tradimento è nel nostro vissuto. Secondo Otto Rank in Il trauma della nascita ci sentiamo traditi già al momento della nascita, quando dobbiamo lasciare il comodo nido dell’utero materno (neonati con l’espressione ingrugnata) e poi quando dobbiamo dire addio al confortevole seno materno per lo svezzamento. Ci sentiamo traditi di dover lasciare casa e giochi per andare al nido e a scuola dove, è vero, si formeranno altri NOI, ma imparagonabili a quel NOI con la mamma. Il bambino percepisce che la mamma lo sta tradendo: immagazzina il tradimento e, sotto altre forme, se ne ricorderà. Contemporaneamente il padre si sente tradito dalla compagna che presta le sue attenzioni a un estraneo, pur sempre suo figlio, e se ne ricorderà.

Questa memoria d’elefante spiega il paradosso della fedeltà nel tradimento con cui il tradito e il traditore mantengono, sotto mutevoli forme, la propria amarezza dell’evento, come individuato da J. Hilman in Puer Aeternus.

 Nonostante queste premesse, il tradimento ci coglie impreparati. La nostra vulnerabilità si appalesa.

Il nostro essere sociale (terzo gradino della piramide di Maslow)  si fonda su patti espliciti (patti matrimoniali, contratti di lavoro, patrimoniali) e impliciti (adesione religiosa con ritualità ripetute) che consolidano la lealtà e la fiducia reciproca nella costruzione molteplice dei vari NOI. Il tradimento destabilizza la nostra identità nel NOI in cui è avvenuto. L’annichilimento, la perdita di autostima, la separazione tra un prima e un dopo il tradimento creano una cascata di emozioni negative rivolte all’altro/i e a noi stessi. Agire e subire sono le due facce della stessa moneta, come osservato da Hanna Arendt in La condizione umana. Ira, rabbia, disprezzo, odio, risentimento, desiderio di vendetta, ma anche autocolpevolizzazione con il pensiero di aver concorso, più o meno volontariamente, alla realizzazione del tradimento.

Il tradimento impone bruscamente l’altro nella sua diversità, facendolo apparire estraneo dato che non si è tenuto conto dell’inconoscibilità totale dell’altro. Eppure, pur comprendo che ciascuno di noi ha una quota di riservatezza che non comunica all’altro e, a volte, nemmeno a se stesso (lato oscuro), vogliamo e pretendiamo di sapere tutto dell’altro. “Se avessi saputo chi eri veramente, non ti avrei accettato.” “Non è possibile che mi fai questo. Non ti riconosco più!”.

 L’inconoscibilità di sé e dell’altro crea le prime difficoltà comunicative nel momento in cui ci si deve aggiornare l’un l’altro dei propri mutamenti.

Un esempio è il tradimento nell’amicizia. Nei dizionari l’amicizia è definita come un reciproco affetto, costante e operoso, nato da una scelta di condivisione di esperienze e di valori e da una prolungata consuetudine.

 Il fattore tempo della prolungata consuetudine può, ragionevolmente, portare a un mutamento dei protagonisti del NOI amici. Tutti noi cambiamo per eventi esterni (perdita del lavoro o di affetti) che incidono a modificare qualcosa nella consuetudine o addirittura nella condivisione. Mentre nel rapporto amoroso sarebbe doveroso aggiornarsi l’un l’altro sui propri mutamenti, pena l’incrinarsi del rapporto, nell’amicizia raramente lo si fa in maniera esplicita.  Da parte di chi parla di eventi dolorosi o traumatici esiste l’aspettativa del conforto e della comprensione profonda da parte dell’amico/a,  che si desidererebbe compenetrato nei sentimenti e nei valori modificati dall’evento.

Il tradimento da parte di una persona a cui avevamo dato la nostra fiducia incondizionata arriva da un momento all’altro, in un modo del tutto inaspettato, lasciandoci attoniti, annichiliti, incapaci di reagire.

ll tradimento nell’amicizia produce uno dei dolori più forti perché ad esso siamo più impreparati. La rivelazione di un segreto, la scelta di abbandonare al suo destino l’amico/a sono stilettate cariche di delusione. Nell’altro che costituiva il NOI avevamo proiettato la nostra parte migliore, quella che amavamo di più, fino a farlo diventare il nostro “doppio” in cui potevamo rispecchiarci. Da lei/lui ci aspettavamo un comportamento simile a quello che noi avremmo dato a lui/lei in una o più specifiche situazioni. La sua perdita porta con sé la perdita di una parte di noi. Nell’amicizia si sperimenta anche  la tolleranza  per le nostre manchevolezze e verso quella “parte oscura” che ci portiamo dentro e che solo l’amico/a può tollerare  per prolungata consuetudine fino a che non incide sulla sua vita.

Eppure, l’amicizia non si fonda su sentimenti dichiarati come quelli dell’amore e nemmeno quelli dell’appartenenza ideologica o religiosa, ma su fatti indiscutibili che la vita valuta in modo definitivo.

 Si può perdonare il tradimento nell’amicizia?

Solo il pentimento sincero che sconfessa l’azione potrebbe risanare il rapporto, ma non essendo superiori come Gesù meglio chiedersi se ne valga la pena.

 Dopo il tradimento, si rivedono i sentimenti che erano alla base della condivisione, della comunanza dei valori e persino la consuetudine potrebbe essere vista solo come mera ritualità, rassicurante ma vuota emotivamente.

Di Anna Cantagallo – Medico Umanista, Scrittrice

ANNA CANTAGALLO

medico, ha scritto numerose opere teatrali regolarmente rappresentate. Il romanzo Arazzo familiare (Castelvecchi, 2021), il primo della saga, ha ricevuto consenso di pubblico e di critica. Il sole tramonta a mezzogiorno, secondo romanzo della saga, (Castelvecchi 2022) ha vinto il primo premio ai concorsi Milano International 2021 e Iplac – Voci di Roma 2023. Il libro di ricette antiche Come cibo per l’anima (Redaction, 2023), collegato ai due primi romanzi, ha vinto il secondo premio al concorso Mario Soldati 2023, settore gastronomia. Kintsugi (Castelvecchi), il terzo della saga, è risultato fi nalista come inedito al concorso Giorgione 2023.

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