Gramsci e il futuro del turismo: dal Touring Club al turismo culturale.
Un secolo fa Antonio Gramsci, nel quaderno1 dedicato alla “Organizzazione della vita culturale”, si soffermava a parlare di turismo. Nella sua infinita curiosità sul reale, passione feconda verso tutte le discipline della conoscenza, si sofferma ad immaginare il futuro del turismo, che prevedeva si sarebbe sviluppato in simbiosi con altri settori. Un fenomeno che sarebbe diventato molto più che una vacanza, il pensatore sardo intuiva potesse diventare un’esperienza umana diffusa.
Ragionava su un esempio concreto, prendendo come spunto la celebre associazione Touring Club. Afferma Gramsci “…il Touring Club, che è essenzialmente una grande associazione di amici della geografia e dei viaggi, in quanto si incorporano in determinate attività sportive (turismo = geografia + sport), cioè la forma più popolare e dilettantesca dell’amore per la geografia e per le scienze che vi si connettono (geografia, mineralogia, botanica, speleologia, cristallografia ecc.). Perché dunque il Touring Club non dovrebbe organicamente connettersi con gli Istituti di geografia e con le Società geografiche? C’è il problema internazionale: il Touring ha un quadro essenzialmente nazionale, mentre le Società geografiche si occupano di tutto il mondo geografico. Connessione del turismo con le società sportive, con l’alpinismo, canottaggio ecc., escursionismo in genere: connessione con le arti figurative e con la storia dell’arte in generale. In realtà potrebbe connettersi con tutte le attività pratiche, se le escursioni nazionali e internazionali si collegassero con periodi di ferie (premio) per il lavoro industriale e agricolo”.
In queste poche righe si può intuire
come si sarebbe evoluto il fenomeno del viaggio, che portava con se
molteplici esperienze. Il Touring Club, dopo più di un secolo, è
ancora un catalizzatore di proposte di viaggio che spaziano in più
direzioni. In particolare, si concentra nelle mete meno conosciute,
nelle mille strade di campagna o dei piccoli borghi. Un mercato in
continua espansione, per chi è alla ricerca di una vacanza lontana
dal fenomeno del turismo di massa. In Sardegna si traduce in una
vacanza lontano dalle spiagge. Seppur tra le più belle al mondo,
nell’isola c’è molto altro da vedere e vivere.
Il
turismo contemporaneo
Il mercato turistico sta attraversando un momento di grandi trasformazioni, sta diventando rapidamente un fenomeno globale. Una tendenza che si registra da diversi decenni, sempre in costante aumento. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO2), il 2017 si attesta come l’anno in cui la percentuale di aumento degli arrivi a livello mondiale si attesta sul 7%, per il 2018 c’è stato un aumento degli spostamenti di circa l’8%, tradotto in numeri: viaggiano in tutto il mondo circa 1,4 miliardi di persone. La previsione è che nel 2030 si arrivi a 1,8 miliardi di spostamenti turistici globali, afferma Assoturismo3. L’Europa è la regione del mondo che traina la maggioranza dei flussi, in particolare le sue destinazioni mediterranee, che ha così raggiunto i 671 milioni di arrivi. All’interno di questi dati si può apprezzare una buona performance del turismo culturale.
Turismo sostenibile
Non solo le grandi città d’arte europee, italiane in particolare, ma anche un flusso in aumento verso le città più piccole o i borghi storici. Se in Francia o Germania, il turismo che propone i borghi antichi è una realtà consolidata, in Italia si deve ancora lavorare parecchio. Ma i primi segnali si colgono da realtà ormai consolidate, come il già citato Touring, e in tempi più recenti il Club I Borghi più belli d’Italia .“Il club de “I Borghi più Belli d’Italia” nasce nel marzo del 2001, su impulso della Consulta del Turismo dell’Associazione dei Comuni Italiani (ANCI).
Ci ha spinto l’esigenza di valorizzare
il grande patrimonio di Storia, Arte, Cultura, Ambiente e Tradizioni
presente nei Borghi d’Italia che sono – per la maggior parte –
emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti e che rischiano lo
spopolamento, col conseguente degrado, a causa della marginalità
rispetto agli interessi economici che gravitano intorno al movimento
turistico e commerciale”4.
La Sardegna entra nel Club con alcuni dei borghi meglio
conservati, ma anche quelli che hanno richiesto di farne parte:
Castelsardo, Bosa, Carloforte, Posada, Sadali, e Atzara. Quest’ultimo
paese è importante per la sua storia e l’importanza del paesaggio.
Atzara, come Tonara, sono paesi vicini che fanno parte della regione
del Mandrolisai, recentemente riconosciuta a livello nazionale per
l’importanza del paesaggio storico-culturale, in particolare per i
“Vigneti tradizionali del Mandrolisai”.
Questi e molti altri
esempi compongono il mosaico di interessi e bellezze che si trovano
al di fuori dei centri urbani, delle città d’arte o delle pur
bellissime spiagge dell’isola di Sardegna.
Parola d’ordine “Slow tourism”: sostenibilità, difesa dell’ambiente, attenzione allo spreco di risorse e di suolo, valorizzare l’esistente.
La bellezza paesaggistica, naturalistica ed artistica è ben distribuita in tutto il territorio nazionale. Se pensiamo che il 70% dei comuni italiani non superano i 5mila abitanti, capiamo bene che ogni angolo del paese ospita un pezzo di storia. La Sardegna è costituita in gran parte da piccoli centri, molto spesso con il rischio reale di spopolamento. E se si ragiona per macro aree, la crisi investe tutto il territorio regionale. Non c’è una sola soluzione, ma molteplici azioni su cui investire per valorizzare i piccoli centri, che fanno parte di un contesto più grande.
Si parla da almeno un decennio della valorizzazione paesaggistica del territorio italiano, difendendolo innanzitutto dalla speculazione edilizia, che continua a mangiare fette sempre più ampie di suolo. Il paesaggio rurale, antropizzato o meno, è frutto di secolari tradizioni culturali, ognuna contribuisce a renderlo unico. Il valore più importante dal punto di vista turistico è l’esclusività, l’unicità di un bene/prodotto.
Il paesaggio è la ricchezza autoctona, qualcosa che non può essere imitato o riprodotto. “Il paesaggio come bene-culturale è frutto di stratificazioni ed azioni svolte in modo sostanzialmente dialettico. Vive tanto nella sua propria dimensione storica quanto in quella proiettata al futuro; non può esser cristallizzato, uniformato, soggetto com’è ad incessanti trasformazioni fisiche, giuridiche e dell’economia, a quelle della comunità e delle peculiarità dei territori. È cultura, narrazione, riconoscibilità, ma anche bene e soggetto-oggetto giuridico, e come tale è centrale nella definizione e nell’evoluzione sociale identitaria, non solo locale. Una complessità interpretativa che si riverbera non più solo su come il paesaggio stesso viene tutelato, ma anche su come viene raccontato (come rurale, habitat naturalistico, bene e testimonianza storico-culturale, hub turistico) e su come viene percepito, apprezzato; e solo da lì, poi, valorizzato e protetto. Ecco che allora occorre, oggi più che mai, pensare a cosa determini l’atteggiamento delle persone nei confronti del paesaggio, ascoltarne le voci, le interpretazioni; e riflettere attentamente sul suo valore e sulla definizione personale e comune di questo valore”.5
Rilanciare il paesaggio come valore, dovrebbe essere il leitmotiv di ogni amministrazione locale e regionale. Le ultime notizie sono incoraggianti in questa direzione, vista la prossima apertura della Scuola del Paesaggio in Sardegna. Non solo una materia appannaggio di architetti e ingegneri, ma di politici, filosofi, sociologi e soprattutto operatori del mondo del turismo.
Gli stakeholder del territorio
Chi sono i portatori di interesse che dovrebbero agire per valorizzare le ricchezze del territorio?
Oltre gli enti pubblici preposti, gli uffici comunali o le scuole, anch’esse importantissime nell’opera di educazione culturale e ambientale del proprio territorio, ci sono le associazioni culturali, quelle professionali e le associazioni di categoria. Naturalmente gli operatori culturali, turistici ed economici. I giovani imprenditori e quelli meno giovani, i semplici cittadini che vogliono contribuire a rendere migliore il loro paese.
L’attenzione verso questi temi arriva
da lontano e si rafforza sempre di più a livello europeo. Esiste un
laboratorio che si occupa di Smart village, attivato dalla
Commissione Europea6
che vuole combattere la tendenza ormai consolidata in tutta Europa, e
nella sponda sud del Mediterraneo dell’abbandono delle zone rurali
per spostarsi nelle grandi aree urbane, creando un fenomeno difficile
da controllare.7
Il progetto dell’Unione Europea è quella di finanziare progetti
per creare Aree rurali intelligenti e competitive. “Zone
rurali intelligenti e competitive” è uno dei temi principali
della rete europea per lo sviluppo rurale (RESR) nel periodo di
programmazione 2014-20208,
ma è una priorità anche per il prossimo settennio di finanziamenti
europei. Riguarderà tutti i piccoli centri, che potranno dotarsi di
una rete internet a banda larga di ultima generazione, una serie di
servizi tecnologici pubblici e privati che renderanno migliore la
qualità della vita e creeranno nuove possibilità di lavoro.
Il
ruolo del Gal nello sviluppo del territorio. Il ruolo dei Gruppi
di Azione Locale è fondamentale, se adeguatamente finanziati possono
dare una spinta decisiva all’imprenditorialità. Ciò che non vede
l’amministrazione centrale, o non riesce il comune da solo con i
pochissimi fondi a disposizione, riesce a farlo il Gal. Ne esistono
in ogni regione storica dell’isola. Non solo agricoltura, ma turismo
e ambiente, enogastronomia, ricerca scientifica, antropologica,
sociologica. E ancora, scambi culturali con paesi europei ed
extraeuropei, collaborazioni con tutti i livelli dell’amministrazione
pubblica. I bandi Gal sono rivolti ai singoli, associazioni,
cooperative ed enti pubblici che vogliono investire sul futuro
locale.
Prospettive per il futuro
Ogni piccolo borgo
ben amministrato e conservato può diventare un centro turistico di
qualità. Il genere di turismo attivo, che ama vivere a contatto con
la natura e con un modello di convivenza che privilegia l’aspetto
umano. Un turismo che cerca una vacanza personalizzata, in mesi di
bassa stagione dove proporre più eventi culturali.
Ma, i
risultati positivi si vedono se tutta la comunità partecipa, se si
crea un circuito virtuoso tra pubblico e privato, tra produzione
primaria e servizi, se si crea una cooperazione progettuale tra paesi
vicini, in modo da proporre un’offerta più ricca. Il turista deve
potersi sentire a casa in ogni momento, riuscire a vivere
un’esperienza unica. Chi decide di visitare questa zone deve andare
via con una “memoria a lungo termine”, non si vuole offrire solo
un periodo di riposo, ma anche di crescita e conoscenza.
Che
fare?
Creare eventi culturali, nuovi o legarsi ad eventi già
esistenti, è la strada. Eventi interessanti da tenere d’occhio:
Festival dell’Erranza, il circuito dei cammini, i piccoli musei
rurali ma anche d’arte.
Stringere rapporti con università europee per scambi culturali,
creare residenze letterarie e giornalistiche, che permettano di
comunicare al meglio il territorio. Non fermarsi ai beni culturali
classici, ma lasciar parlare la bellezza dei territori.
1Antonio Gramsci, Quaderno 8 (XXVIII) § (188)
2 http://www2.unwto.org/
3http://www.assoturismo.it/il-turismo-nel-2030-riguardera-18-miliardi-di-persone.html
4http://borghipiubelliditalia.it/club/
5 PAESAGGIO, TRA PERCEZIONE E VALORE, Massimiliano Zane, Giornale delle Fondazioni, 2018
6http://www.pianetapsr.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2035
7 http://www.mediterraneaonline.eu/polismed-una-nuova-idea-di-mediterraneo
8 https://enrd.ec.europa.eu/enrd-thematic-work/smart-and-competitive-rural-areas_en
9 thoughts on “Il turismo culturale, da Gramsci ai piccoli borghi”