La Dieta Mediterranea è lo scrigno contenente tutti i sapori delle terre e del mare stesso da cui prende il nome, un tesoro inestimabile di gusto, tradizione e cultura che muta e assume sfumature ed identità nuove a seconda dell’area geografica ove si professa, della cucina che ne impiega le materie prime e della persona che la interpreta.
Levigati ed evoluti nel tempo, questi sapori sono il risultato di un intreccio fatto di vegetazione spontanea e agricoltura esperta, cacciagione e pesca, artigianato e allevamenti di ogni sorta unitamente alle sapienti mani che da millenni rassodano la terra ed issano le reti, potano le viti, impastano il pane e mungono il latte, accendono un fuoco e traducono ogni ben di Dio in cibo sano. Impegnati a compiere nella quotidianità e da intere generazioni gesti e rituali così accorti e rigorosi, tanto da sembrare semplici oggigiorno per quanto risultato di una conoscenza conquistata con fatica e tramandata ininterrottamente, le donne e gli uomini delle terre intorno al Mare Nostrum sono i veri autori di questa Cucina che ha per protagonista la Natura ed i doni di questa florida e fertile area del mondo. Il canto dei contadini nei biondi campi di grano, l’ondeggiare dei rami di olivo al passaggio del vento che al tempo stesso veicola il profumo della macchia mediterranea per le vie lungo la costa e tra le colline, le danze allegre a piedi nudi nei tini stracolmi di uva dolce e succosa, le risate fiere dei pescatori di spada, la preghiera di una famiglia riunita al tavolo pronunciata in cento e più lingue, le terrecotte ed i piatti variopinti in cui si servono le vivande, l’ospitalità ed il buon gusto di augurarsi ancora buon appetito sono solo alcune delle componenti della Dieta Mediterranea da cui tutti gli chef, da qualsiasi parte del mondo essi provengano, traggono ispirazione e che medici, sociologi, alimentaristi, persino antropologi, continuano a studiare per la sua singolarità.
Tesoro inestimabile da difendere, bene materiale e immateriale per tutta l’umanità e per coloro disposti a riconoscere quanta fatica costi ottenere la qualità e quanto amore necessiti metterla in tavola… e che sanno anche che un certo cibo non può che essere nutrimento per il corpo, la mente e lo spirito.
Difendere la qualità del cibo non significa dover accettare l’unità di misura indotta dalle multinazionali coinvolte nella distribuzione e produzione massiva di generi alimentari, non significa dover accettare che quanto ingeriamo debba essere elaborato con pratiche innaturali e insostenibili per la terra, per il mare e gli allevamenti, ma significa restituire alla qualità stessa il concetto di autenticità, rispetto per l’ambiente, preservazione delle biodiversità e della loro origine, sradicando la convinzione spacciata e inculcata dai media che essa possa essere detenuta solamente da pochi marchi o legata esclusivamente ai prodotti cosiddetti di nicchia, destinata altrimenti a pochi eletti. La qualità autentica del cibo vero la si difende conservando la biodiversità e l’enogastronomia di un luogo nel loro dna poiché i sapori stessi sono connaturati in un territorio.
Tutto questo dipende soprattutto dalle scelte che facciamo: soltanto la selezione accorta ed accurata delle famiglie riguardo ad una spesa consapevole, la parsimonia del consumatore ad un regime alimentare etico, l’oculatezza degli avventori nel premiare quei ristoratori virtuosi e la capacità di non scendere a compromessi degli stessi “food & beverage managers” e di tutti gli operatori del settore potrà cambiare le regole della domanda e dell’offerta, ritornando al culto della salute e del benessere attraverso il cibo e restituendo equilibrio, equità e sobrietà alla distribuzione alimentare. Sta a noi far sopravvivere o morire l’identità qualitativa e originaria di un prodotto indiscutibilmente legato alla Natura e alla terra da cui esso proviene ed il culto riconoscente per il suo consumo.
Ascoltando Rocco Iannone mentre parla con ferma convinzione della sacralità del cibo, di quanto sia importante diffondere il culto della cucina sana in ogni nucleo familiare e di quanto sia stato e sia tuttora indispensabile dare il giusto riconoscimento alla dedizione ed al sacrificio dispensato dalle madri per elaborare e mettere in tavola quotidianamente cibi sani per i propri figli, non si fa difficoltà ad associare la sua inflessibile filosofia a quella del proverbiale viandante confuciano: dopo giorni di cammino senza provviste e felice di potersi ristorare presso una locanda appena avvistata in lontananza, avvicinandosi e leggendo l’insegna che favoleggiava “migliore della cucina della mamma”, deluso e stizzito tirò diritto per la sua strada senza farvi sosta e preferendo protrarre il digiuno.
Rocco con passione vera e lavorando sodo si è guadagnato la fama internazionale nel circuito della Guida Michelin grazie alla sua ristorazione d’eccellenza, per essere straordinario interprete della Dieta Mediterranea e quindi della miglior tradizione culinaria italiana. Nasce a Penta di Fisciano nel 1976 proprio il giorno di San Francesco, in un’area di confine, quella tra Agro Sarnese Nocerino e Valle dell’Irno, in cui da sempre si coniugano felicemente gli ingredienti dell’entroterra e della costa campana in provincia di Salerno… un vero giacimento di sapori e prelibatezze culinarie. A Cava de’ Tirreni opera dal 19 Marzo del 2005, giorno inaugurale del “Pappacarbone”, il ristorante in cui è patron e cuoco stellato, dedicato appunto a Sant’Alferio e Pietro Pappacarbone, personaggi che hanno reso grande la storia della città e dell’abbazia metelliana. Rocco inoltre assolve da diverso tempo al ruolo di “maître de cuisine “e testimonial della Cucina Italiana, essendo tra i protagonisti di una prestigiosa “partnership” assieme ad altri chef di successo, presso il Forte Village Resort, struttura tra le più esclusive d’Italia, dislocata su 47 ettari di oasi mediterranea pura sulla costa meridionale sarda. Rocco è spontaneo, un lavoratore instancabile ed un vero tornado: possiede una miniera di allegria ed energia inesauribili che lo portano ad affrontare sempre col sorriso il lavoro quotidiano in ogni suo aspetto, per quanto esso abbia inizio di buon mattino e termini sul tardi la sera; come non bastasse ama nuotare e sciare, pratica il ciclismo a livello amatoriale e se avesse più tempo avrebbe anche delle buone carte da giocarsi per gareggiare in queste discipline, corre pure sui go-kart ed ama la formula uno… difficile quindi stargli dietro se non si hanno delle buone gambe! Fa un uso virtuoso della televisione e di internet poiché gli piace restare informato sull’attualità concreta e, soprattutto, adora i documentari che trattano di storia e geografia; ascolta musica Jazz e gli piacciono molto i concerti bandistici, ma se c’è un posto dove Rocco si scatena quello è la discoteca. Viaggiando ha imparato a respirare ed apprezzare i luoghi dove ha vissuto fino a farli suoi e, quando mangia, ai ristoranti preferisce le cucine casalinghe, scevre di tecnicismi ma così genuine, irripetibili ed originali, piene di amore, calore familiare e devozione. Ha avuto professionalmente molte esperienze ad alto contenuto umano e formativo, ama profondamente il suo lavoro e la sua cucina, sapiente e compiuta, riesce ad essere gustosa e salutare al tempo stesso, basandosi fondamentalmente su cotture precisissime, profonda conoscenza delle materie prime, scelta maniacale degli ingredienti e la capacità di estrarre da essi profumi e sapori autentici e corrispondenti…una Cucina geniale nella sua semplicità, concreta e squisita. Quando gli si chiede quale sia il suo segreto viene fuori anche la modestia, la semplicità e la concretezza che contraddistinguono la sua persona e dunque risponde “pazienza, un po’ di coraggio e sale quanto basta.”
Nel firmamento della ristorazione stellata lei è tra i pochi a definirsi un cuoco. Qual è la linea di demarcazione che separa concettualmente un Cuoco da uno chef?
È stato proprio lo scorso anno, durante la mia permanenza estiva al “Forte Village Resort” in Sardegna, che ho avuto un pensiero ricorrente, davvero fortissimo che mi ha portato a suddividere la categoria. Tra l’altro “Il Cuoco e lo Chef”, il libro che sto scrivendo basandomi sulla mia personale opinione a riguardo ed in uscita a breve, spiegherà come sono diventato cuoco e di come e perché, dopo tanti anni, abbia rifiutato di essere definito uno Chef.
Oggigiorno la cucina è cambiata notevolmente e lo chef del futuro sarà un manager a tutti gli effetti. Nelle attività alberghiere e della ristorazione pare ci sia sempre più bisogno di gente disposta a mettersi in vetrina, votata al marketing e che sappia far quadrare i conti piuttosto che di cuochi che sappiano cucinare e valorizzare i prodotti della terra. Talvolta chef e ristoratore assumono le stesse sembianze, indossano le stessa divisa e sovente confondono i ruoli. Per me un ristoratore è innanzitutto un cuciniere, un uomo devoto alla cucina e innamorato del proprio mestiere non uno che affabula le persone con la bella loquela e indossa un’uniforme da chef restandosene tutto il tempo in sala o in giro chissà dove… come può spacciarsi per cuoco se non lo è mai stato? Con quale coraggio se non ha mai cucinato prima?
“Dunque perché non separare la categoria”, ho pensato…
I primi, gli chef, vendono la loro faccia alle grandi società del cibo globalizzato, predicano durante le loro attività di essere dei territorialisti, mentre d’altro canto fanno accordi per pubblicizzare prodotti commerciali capaci di ammaliare il pubblico giovane e convincere le massaie meno esperte a credere che dietro la faccia del professionista dell’alta cucina italiana vi siano ingredienti genuini ed autentici; Il cuoco invece, quello che voglio rappresentare io , resta il vero ed unico artigiano dei fornelli , quello che vuole stare in cucina a cucinare e basta, colui che pretende di stare a stretto contatto coi veri protagonisti del territorio e con essi, pescatori, contadini e piccoli allevatori, condividere gioie e dolori, sapendo che dovrà levarsi di buon mattino se vorrà davvero reperire materia prima di qualità superiore.
Lo chef insegue la qualità presunta e si adegua talvolta a quel che riesce a scovare o, piuttosto, si accontenta di quel che il fornitore gli procura. Il cuoco insegue l’autenticità ove sussiste il particolare che può ancora fare la differenza pretendendo che l’ospite assimili cibo vero e percepisca quanto esso contiene in quanto a gusto, provenienza e clima. La produzione compiuta con procedimenti a bassissimo impatto ambientale risente molto di certi fattori che cambiano di anno in anno, mutando le proprietà del raccolto.
Il cuoco vero deve essere disposto a credere e a sacrificarsi confermando con la sua vocazione, la sua professionalità ed il lavoro quotidiano quanto segue, che poi è quello che non mi stanco mai di ripetere: la Cucina è una cosa seria! Il cuoco deve saper dimostrare che il cibo eccelso oggi sia rappresentato solo dall’autenticità e dalla tipicità degli ingredienti e non dall’idea di qualità che viene diffusa attraverso i centri della GDO, qualità scadente ormai accessibile a tutti e da tutti richiesta perché reputata tale, quando magari a pochi passi si trova un buon mercato rionale con dei contadini che cercano di vendere la qualità vera prima che vada a male.
Occorre saper cucinare certo, ma bisogna conoscere le proprietà degli ingredienti e, soprattutto, saperli scegliere. La tecnica, certo, ma prima di tutto il rispetto per la materia prima. In una società che tutto globalizza, dove orientarsi è sempre più difficile, io concentro l’energia sulla semplicità. Una scelta non è mai dettata dal caso. Immaginate solo per un istante la Natura, la sua complessità e al tempo stesso la sua capacità di sorprenderci. Il Mare, la Terra, i colori, i sapori, i profumi, l’autentico e il reale che si rivela ogni giorno dinanzi a noi e attorno a noi. Un piatto è questo. È l’inizio e la fine di un viaggio attraverso ricordi, emozioni e tradizioni, la storia di un popolo che imbandisce le nostre tavole di gusto, calore umano e conoscenza.
Al’’alba osservando la Natura che si risveglia e annusando il profumo del fogliame ancora umido in attesa della raccolta degli ortaggi e al tramonto inseguendo con lo sguardo la scia dei pescherecci che rientrano in porto… in cucina cerco proprio quell’aria mattutina che ancora intimamente respiro, sentire di nuovo la guizzante energia dei pesci che si dimenano nelle cassette. Cucinare è dedicare un po’ del nostro tempo a noi stessi e a chi amiamo, rigenera sapete? Preparare un piatto è tutto questo. Un approccio alla vita. Generosità, fatica, umiltà senza abbassare lo sguardo, senza lasciarsi soggiogare da mode e tendenze passeggere. Quel che resta non è che un tentativo di ripercorrere itinerari d’infanzia e sentire ancora quegli odori e quei sapori che da allora proprio non vanno più via grazie al Cielo. Ritrovarsi. Accarezzare una mela appena colta, annusare il basilico madido di rugiada, attendere il giusto momento per pressare le olive pregustando il sapore dell’olio nuovo sopra una semplice fetta di buon pane.
A quando risale la scoperta della sua passione per la cucina e quando ha deciso di dedicarvisi professionalmente? Ha avuto una qualche ispirazione?
La cucina è stata sempre nel mio dna, non si diventa cuoco per caso, bisogna amare il cibo, bisogna amare le nonne e le mamme e la loro funzione domestica… già da piccoli con una semplice frittata di piselli e cipollotti, piuttosto che delle merendine preconfezionate, evitano di farti uscire dalla giusta strada e deviare il tuo cammino verso il McDonald più vicino. Non si può non restare affascinati dai profumi della cucina delle proprie mamme, una delle cose più difficili da emulare per un cuoco. E’ ammirevole lo sforzo che una madre compie per dare il miglior nutrimento possibile ai propri figli nonostante il lavoro della casalinga sia così sacrificante ed articolato, c’è inoltre qualcosa di magico nelle loro mani, qualcosa che riconduce al latte materno e alla terra in cui siamo nati e cresciuti.
Di sicuro può capitare di avere una piccola ispirazione per decidere la giusta strada, la mia ispirazione invece è stata straordinaria: mia mamma Giovanna, grandissima cuoca, e mia nonna Nannina non sbagliavano mai un piatto! Sono loro i miei pilastri come avrete già capito.
Il Pappa Carbone a Cava De’ Tirreni, il Forte Village a Pula e adesso anche Tenuta Nannina a Penta di Fisciano. Ci parli delle sue attività, da quale idea hanno preso forma e delle sue città di adozione, soprattutto ci parli delle sue origini, dei suoi luoghi….
Dopo il diploma all’istituto alberghiero “Roberto Virtuoso” di Salerno mi sono trasferito al Nord Italia lavorando per il poliedrico Gianluigi Morini al San Domenico di Imola per poi recarmi in Francia, prima da George Blanc a Vonnas e poi da Alain Ducasse e, a seguire, a “Le Figuier de Saint-Esprit” il ristorante di Christian Morisset ad Antibes. Ovviamente conservo un ottimo ricordo ed un bagaglio fatto di esperienze altrettanto strepitose e formative di quando ero al Don Alfonso di Alfonso Iaccarino a Sant’Agata sui Due Golfi e di alcune collaborazioni per grandi eventi con Vissani, ma non dimenticherò mai le stagioni estive trascorse a lavorare presso una pizzeria a Siano, il “Tropico” lo ricordo ancora, piuttosto che starmene a spasso per le strade o andarmene al mare… per me infatti la buona Cucina, fatta con cuore e coscienza, si può realizzare ovunque.
Poi la voglia di avere un ristorante mi fece innamorare di Cava de’ Tirreni e dei suoi romantici portici… una cittadina davvero graziosa e ricca di storia medievale in cui decisi sarebbe sorto il mio primo ristorante: il “Pappacarbone”. In seguito sacrifici e duro lavoro hanno portato me e la mia famiglia a comprare la Tenuta Nannina nei pressi di Penta, il mio paese di nascita. La Tenuta è dedicata a mia nonna Nannina e il suo cuore è un’azienda agricola di 5 ettari nella vicinanze dell’area naturalistica Frassineto, area boschiva sul versante occidentale dei monti Picentini tra i comuni di Calvanico e Fisciano, che grazie al terreno compatto tendente all’argilloso su struttura calcareo-dolomitica e al clima esalta le biodiversità locali e la nostra produzione di olio evo, mele annurche e cotogne, nocciole, castagne, miele e naturalmente verdure e frutta con l’allevamento di qualche animale da cortile, il tutto nel rispetto della natura e di quello che abbiamo sempre fatto da generazioni con sapere contadino.
In tutto questo, da 15 anni, non ho mai mollato il mio impegno estivo al Forte “Village Resort”, villaggio per vacanze di lusso nel sud della Sardegna dove gestisco e curo nei dettagli più ristoranti per ospiti accorti sia del panorama nazionale che internazionale, difendendo e praticando a prescindere la Dieta Mediterranea, nostro patrimonio irrinunciabile.
Come scandire l’evoluzione della sua cucina, quali fasi la contraddistinguono? E cosa possiede in più oggi rispetto al giovane Rocco Iannone?
Praticando tutte queste attività la mia cucina non ha potuto che evolversi tantissimo. Devo dire che durante questo mio percorso, personale e professionale allo stesso tempo, non mi sono mai pigliato una fissa per una tecnica o un prodotto piuttosto che l’altro soffermandomici a lungo… datemi qualcosa di buono e genuino, come Natura crea, ed io ve lo trasformo in cibo cucinato a dovere. Quindi non ci sono state tappe specifiche ma un percorso formativo in crescendo, vario e “a fuoco lento”.
Certo agli esordi sono partito da idee confuse che mi spingevano verso una cucina troppo articolata e complessa, con degli accostamenti spesso al limite, ma ho sempre avuto gli stessi obiettivi e conservo gli stessi ideali, oggi come allora: arrivare ad una cucina pulitissima che mettesse in risalto il prodotto (il più delle volte della mia azienda) senza mai offenderlo o prevaricarlo.
Giusto tre piatti, uno che rappresenti lei, la sua terra e l’Italia…
Il piatto forte mio è la pasta e patate coi frutti di mare: da buon salernitano non posso che avere i piedi piantati a terra e lo sguardo rivolto agli orizzonti azzurri della Costiera Amalfitana e del Cilento; la mia terra è sicuramente ben rappresentata dai “Paccheri allo Scarpariello”… tantissimi stranieri impazziscono al Forte Village per questa pietanza, semplice e gustosa, che sposa l’oro rosso dei pomodori “San Marzano” con l’oro giallo del grano italico forgiato dai nostri pastifici in terra campana… anche questo significa valorizzare i prodotti e far conoscere magari altre tipicità come il pomodoro del Piennolo o il pomodorino Corbarino, che si prestano in mille altre ricette; Il piatto che rappresenta meglio l’Italia a mio parere è la lasagna. La lasagna condensa l’attività degli artigiani e produttori veri: dietro la sfoglia c’è la semola del grano pugliese e le uova paesane dei contadini di tutta la Penisola, per preparare il ragù occorre il sudore estivo versato nei campi per la raccolta dei pomodori e i tagli carnei vengono ricavati dal duro lavoro che sia l’allevatore che i bovini debbono compiere durante la transumanza per raggiungere i verdi pascoli. Inoltre in ogni regione e casa che vai usanza che trovi… c’è chi mette l’uovo sodo, chi mette i salumi e chi usa tanti formaggi diversi. Qualsiasi tradizione, per locale o personale che sia, la rappresenta bene la lasagna e quindi essa rappresenta secondo me il gusto italiano di stare la domenica con parenti ed amici tutti felicemente riuniti attorno al tavolo.
Che ruolo occupa il vino nella sua cucina?
Non mi piace il vino commerciale… è acqua colorata che non ti lascia alcuna emozione o succo d’uva reso troppo sofisticato rispetto a come la Natura lo ha concepito. Il Vino deve essere scelto dal sommelier con la stessa cura con la quale io seleziono i prodotti da impiegare quotidianamente.
Dunque il vino è fondamentale al ristorante: il grande cibo deve essere sempre accompagnato da un vino che esalti le caratteristiche del piatto e gli corrisponda a modo. Con mia moglie in sala a delucidare gli ospiti sulle pietanze e a suggerire i vini più adeguati si crea quel giusto equilibrio tanto ambito tra sala e cucina. Tutto questo è intesa, affiatamento e armonia. Come non credere all’abbinamento perfetto?
Cosa risponderebbe ad un cliente che la convoca al tavolo per dirle che non ha apprezzato o compreso un suo piatto? Le è mai capitato?
Accetto sempre la critica del cliente quando è costruttiva. Per me è un momento di riflessione che mi dà motivazione a non gettare la spugna ma essere sempre concentrato e migliorare ancora. Sono consapevole di essere umano e di poter sbagliare ed è per questo che evito ciò accada adoperandomi con meticolosità e profondendo ogni giorno impegno costante; ho sempre ringraziato chi mi ha contestato un piatto guardandomi negli occhi, mentre detesto la critica che non costruisce, la persona che non parla “vis a vis” ma scrive, praticamente di nascosto, dopo qualche giorno senza esercitare il diritto al confronto e senza chiedermi il perché delle mie scelte e delle mie interpretazioni su quanto ha ordinato.
I suoi collaboratori sia in cucina che in sala la ammirano molto. Come si riesce ad instaurare un rapporto sereno nella gerarchia ristorativa?
I miei collaboratori sono affascinati dal mio carisma, sono un cuoco, uno sportivo scatenato ed un contadino, ho energia da vendere… questi alcuni dei motivi che mi fanno essere un buon generale di brigata. Non nego talvolta oltre al sorriso ci voglia anche un po’ di cattiveria, pignoleria ed essere fermamente il protagonista in cucina… un po’ come all’apice della catena alimentare. In verità sono fortunato ad avere in squadra dei bravi ragazzi, laboriosi e che credono fermamente agli obiettivi da perseguire e nella mia filosofia.
La sua clientela è molto eterogenea e non di rado capita di incontrare vip accanto al proprio tavolo. Come varia la percezione del gusto e di gradimento tra persone comuni, gastronomi e personaggi famosi? E tra questi personaggi chi le è rimasto particolarmente impresso e perché?
Io sono un cuoco e in quanto tale cucino per tutti, non ci sono distinzioni di classe sociale o preferenze. La cucina è un linguaggio universale che mette tutti d’accordo quando i principi fondamentali vengono rispettati. Di fronte ad un pacchero allo scarpariello, come dicevo prima, si parla tutti la stessa lingua e ciò che è buono lo si gusta allo stesso modo.
Un personaggio che mi è rimasto impresso è di sicuro Bill Clinton: ha messo il mio cappello di cucina sudato e guardandomi negli occhio dopo aver assaporato la mia cucina mi ha detto “indossarlo è un onore per me, perché questo è il capello di un vero lavoratore”.
Oggi la cucina, il cibo stesso, sembra non essere reale se non reso seducente da immagini accattivanti e dai riflettori di questa profusione di programmi culinari in televisione. Dove dovrebbe avvenire la cucina reale, quella che nutre corpo e anima senza eccessi? Le guide di settore aiutano o ci confondono?
La cucina è diventata come una formula… vince chi ha più soldi per farsi conoscere attraverso marketing e pubblicità.
Spesso un ristorante che voglia diventare famoso ha comunque bisogno di un esperto di comunicazione, uno sponsor ed una casa vinicola che lo porti in giro per il mondo.
La televisione ha aiutato la cucina a diventare commerciale e a farla sembrare facile ma considerato che in tv funziona quello che la gente vuole vedere, la cucina ha perso di autenticità e le star sono costrette a far passare messaggi commerciali che hanno nulla o poco a che vedere con la ristorazione vera o quella di alto livello per come la intendo io.
La miglior guida per qualsiasi ristorante è il cliente innanzitutto: mangia, paga e se gli è piaciuto ritorna… magari con nuovi amici.
Dopo il mio intervento a Striscia la Notizia di qualche tempo fa durante il quale difesi la Cucina dagli attacchi di certe sofisticazioni che avevano invaso i piatti degli chef più noti d’Italia non ho più visto guide nel mio ristorante.
Ma come!? Ho difeso la Cucina Italiana e la stampa gastronomica mi evita? Perché? A voi le conclusioni.
Qual è il legame che collega lei e la sua cucina alla terra?
Nonni contadini, padre cacciatore e zio micologo… Un’infanzia dove i prodotti della terra, il frutto del lavoro nei campi ed i piatti cucinati bene hanno sempre incuriosito la mia mente e quei colori, quei profumi e quei sapori si sono fissati per sempre nella mia memoria visiva e gusto-olfattiva. Di lì il forte pensiero di diventare un cuciniere e restare legato a quel modo di vivere, quello di chi ama sporcarsi le mani di terra, difendere un sapere culinario semplice ed antico ed insistere a proteggere i valori gastronomici del proprio territorio.
E’ proprio questa filosofia fondata sul rispetto per la Natura e la sostenibilità che le fa riscuotere il successo che merita. Si direbbe che anche l’Expo 2015 a Milano difenda gli stessi principi… di che avviso è lei a riguardo?
Expo 2015 difende i soldi non la terra! I contadini non sono invitati, non hanno denaro per partecipare, gli allevatori veri che fanno pascolo in quota non possono entrare con le proprie mucche, non c’è il mare a Milano per le paranze ed i gozzi che potrebbero portare il pescato fresco… e mi fermo qui!
Se qualcuno ha voglia di vedere un Expo reale è invitato a stare una settimana con me, alzarsi presto e venire a reperire i prodotti dove nascono e direttamente dalle mani di chi li coltiva, li alleva, li pesca…
Molti tra i suoi colleghi vi prenderanno parte però. A proposito su cosa si fonda il legame di amicizia e stima tra lei ed i suoi colleghi? A quali tra gli chef italiani è particolarmente legato? E a qualcuno del panorama internazionale? Ci racconti qualche aneddoto…
Si, tutti gli chef d’Italia parteciperanno, ma il cuoco ha bisogno di restare nella sua realtà, strappare la gramigna a mano dal suo orto se necessario, incoraggiare i contadini ad usare tecniche agricole sostenibili al posto di utilizzare diserbanti e tutti i protagonisti della filiera buona e sana che stanno facendo bene. Il cuoco non ha tempo per distrarsi dietro alle multinazionali dell’alimentazione che hanno globalizzato i sapori ed omologato i palati.
Io stimo tutti i miei colleghi chef o cuochi che siano, ho un solo difetto: a differenza di tanti io parlo in faccia! Più volte ho ribadito a qualche collega che imprestava la sua professionalità all’industria del cibo di massa di essere contrario alla pubblicità che sosteneva, questo però non vuol dire non avere rispetto per un professionista che ha idee diverse dalle mie. Amo farmi piacere per quello che sono e per fortuna ho molti amici che non mancano di farsi sentire vicini venendomi a trovare al Pappacarbone o ad inviarmi le loro attestazioni di stima per il mio parlar franco e per la battaglia che combatto da anni.
Da quel cuoco che sono resto più legato alla politica di cucina di mia mamma che ancora oggi tutti i giorni va a fare la spesa e cambia il menù ben due volte adeguandolo a quello che la stagione offre e facendo di necessità virtù; a livello internazionale un mio punto di riferimento resta Frédy Girardet che tempo fa mi scrisse un messaggio profondo: Rocco, il problema più grande della gastronomia del futuro è che tra qualche anno non ci saranno più nonne che insegneranno la tradizione ai propri nipoti.
Lei è impegnatissimo e tiene, tra le varie altre cose, corsi di cucina per futuri cuochi. Quali sono le primissime raccomandazioni che fa ai suoi allievi per diventare dei bravi maestri di cucina? Quali sono i segnali che vede in loro e le fanno pensare che siano talentuosi e naturalmente portati per la gastronomia?
Ai miei allievi suggerisco sempre di avere una dignità in cucina, una precisa impronta personale, di rimanere legati al territorio e conoscerlo a fondo prima di cimentarsi nella cucina di altre aree, soprattutto chiedo loro di avere rispetto per la materia prima. Dico loro di fare tante esperienze e di provare tanti tipi di cucina ma di conservare un domani nelle loro pietanze i sapori senza alterarli. Non mi va di pensare a me come ad un “talent scout”, mi piace pensare che ognuno di noi ha un talento tutto suo, tocca soltanto a noi decidere quando tirarlo fuori. Chi ama veramente il cibo non può che avere un rapporto positivo con i fornelli. Riuscire bene o meno in un lavoro dipende però da tante circostanze: serenità familiare, un compagno che sappia capire i propri sacrifici ed incoraggiare, mente inflessibile rispetto allo scopo, fisico allenato ed in salute e poi, cosa importantissima, un grandissimo palato che si costruisce e si affina con anni di allenamento nel degustare alimenti autentici poco manipolati in cucina e senza troppe contaminazioni tecniche nell’elaborarli.
Quali sviluppi prevede per il futuro della Cucina Italiana e quali saranno i suoi prossimi impegni? Un suo suggerimento per i lettori di Mediterranea per cominciare a stare davvero bene a tavola e imparare ad apprezzare meglio i tesori di Madre Terra…
La Cucina Italiana esiste già ed ha radici profondissime, va solo preservata e rivalutata costantemente nella sua originalità ed unicità. La cucina attuale pubblicizzata dalla stampa non è la cucina italiana alla quale alludiamo, ma è una cucina che a seconda della convenienza serve a sponsorizzare qualcosa, quindi piegata a seconda dello scopo e delle tendenze del momento. Questo gli chef fanno finta di non capirlo mentre coloro che si sentono appunto cuochi e che rispettano la terra si sono già schierati dalla sua parte e la difendono col loro mestiere rinunciando a certe lusinghe e ad una vita professionale più agevolata.
Parlare di uno spaghetto al pomodoro, di cucina senza fronzoli insomma, non fa vendere giornali, mentre parlare del mango e di altri cibi esotici, della serie “l’erba del vicino è sempre più verde”, riempie spazi, incuriosisce le persone e mette in moto la macchinetta della pubblicità.
Il ristorante del futuro sarà un luogo per andare a curarsi e disintossicarsi di tutte le schifezze che ognuno di noi ogni giorno è costretto a mangiare per nutrirsi e sopravvivere. Forse la mia non è la strada giusta, ma è sicuramente la strada che mi rende felice e questa è la più grande ricchezza per un artigiano dei fornelli come me. Non sono contro niente e nessuno, semplicemente e solo a favore delle mie idee e di quelle che favoriscono un rapporto etico tra la produzione del cibo, la sua elaborazione in cucina ed un consumo consapevole.
Ai lettori di Mediterranea: Noi siamo quello che mangiamo, dedichiamo più tempo al cibo sano ed autentico.
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