Allattamento antichità
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Riflettendo sugli aspetti culturali e sociali che determinano gli usi nutrizionali dell’allattamento al seno, scopriamo che l’inizio della nutrizione al seno non è avvenuto, nelle diverse culture, in maniera uniforme.

Il modo in cui avveniva l’allattamento, specie in alcune società del passato era, infatti, condizionato e influenzato dai modelli culturali. Così, facendo scorrere le pagine della storia dei popoli, vediamo per esempio, che nell’antico Egitto, i bambini succhiavano il seno fino ai tre anni, mentre nella biblica terra d’Israele fino ai due. A Sparta, nel IV secolo A. C., l’allattamento era imposto per legge, mentre in Finlandia si punivano le donne che non avevano allattato se il loro piccolo moriva prima dei sei mesi. All’inizio del Novecento, le donne cinesi e giapponesi allattavano i bambini fino a 5-6 anni. Ma il vero record appartiene agli Eschimesi che offrivano il latte ai loro figli fino alla pubertà. Numerosi saggi di letteratura antropologica di Plos e Bartles, stimano una durata media di 3 o 4 anni presso le popolazioni primitive (Hawaiani ed Eschimesi), anche se a volte l’allattamento poteva durare molto meno. Sembra per esempio che gli Hawaiani allattino al seno fino ai cinque anni e gli Eschimesi all’incirca fino ai sette anni. Diversi autori sono concordi nel ritenere che quei popoli coltivassero certamente abitudini e pratiche antiche; essi erano, contro quel senso comune che li classifica come “primitivi e selvaggi”, altamente civilizzati e seguirono delle linee evolutive proprie diverse dalle nostre, rendendo possibile la sopravvivenza della loro razza (Latronico, 1977).

Indipendentemente dall’inizio più o meno precoce della nutrizione al seno, la durata dell’allattamento, e quindi l’età dello svezzamento, ebbe una funzione primaria nella sopravvivenza infantile. Si riscontrò, in effetti, una notevole influenza dell’allattamento sulla sopravvivenza infantile fino allo svezzamento ed oltre. Non pochi autori collegano il miglioramento della mortalità infantile a fine Settecento, non solo all’immediato inizio dell’allattamento ma anche al suo prolungamento, particolarmente in aree dove lo svezzamento era precoce. Sin dall’antichità il latte materno è sempre stato apprezzato non solo come alimento completo con il quale viene nutrito il bambino durante gran parte o tutto il primo anno di vita, ma soprattutto come un alimento capace di fornire essenziali difese immunitarie contro le infezioni, in altre parole un alimento che combatte la malattia.

È indubbio che l’allattamento, più che un semplice evento naturale, rappresenta un fatto sociale “totale” in grado di comunicare, in quanto incapsula molteplici significati culturali ed elementi dell’organizzazione sociale. Tutte le civiltà hanno cercato di tutelare l’allattamento materno, ma non sempre con successo; a partire dalla metà del secolo scorso, la pratica dell’allattamento al seno fu compromessa dalla nascita dell’urbanizzazione e da un crescente numero di donne che dalle campagne incominciavano ad andare a lavorare in fabbrica. Eventi questi che colpirono inevitabilmente la salute e la vita dei bambini della classe campagnola. Gli effetti, ancora maggiori che la rivoluzione industriale provocò nella società, furono tali da condizionare le pratiche alimentari.

Attualmente nel mondo occidentale, le percentuali di abbandono precoce dell’allattamento e di totale non-allattamento, sono ancora tristemente alti. E purtroppo anche nelle società dove l’allattamento era, fino a qualche decennio fa, ancora la norma sociale e culturale, sempre più donne si stanno piegando alla pratica dell’allattamento artificiale. Molte donne marocchine, filippine per esempio, provengono da culture dove ancora si allatta e in cui si porta il bambino a contatto fisico quasi continuo. Ma una volta arrivate in Europa, si adattano alla cultura vigente del paese d’accoglienza spesso abbandonano le loro usanze di allattamento ed accudimento del loro bambino.
In Italia le immigrate sanno come devono organizzarsi nelle nostre strutture che non sempre rispondono alle loro esigenze, visto che sono pensate per le donne italiane e non per le straniere che partoriscono in Italia. Ancora, in fatto di maternità, poi, c’è poco spazio per le loro risorse e le loro tradizioni. Un piccolo esercito di donne che mette alla luce dei figli in un paese straniero nella speranza di poter offrire loro maggiori opportunità di quante ne siano toccate a loro.
Nella cultura zingara l’allattamento al seno è la regola, i bambini continuano poi il rapporto con il seno materno fino all’età di due anni e mezza; lo allattano fuori e dentro casa, sole o in mezzo alla folla, di giorno e di notte, poiché nella loro cultura, il seno non rappresenta un oggetto di desiderio sessuale ma viene associato alla pratica materna. Gli operatori sanitari della città di Cagliari sono concordi nel ritenere le donne-mamme zingare le più competenti e sicure in tema d’allattamento al seno. Ma sempre più zingare non allattano più e non portano più i loro bambini nelle fasce.

Diverso è per le donne-mamme cinesi che arrivano in ospedale per partorire e dopo due o 3 giorni massimo sono già in piedi, rinunciano ad allattare al seno per ritornare immediatamente a lavorare. Sembra infatti che si verifichi la tendenza a ridurre l’allattamento in funzione di un precoce rientro al lavoro, che caratterizza le donne filippine, cingalesi e soprattutto cinesi.
E’ innegabile che per le donne straniere che partoriscono qui da noi, non c’è solo un problema di comunicazione, di lingua, ma anche di abitudini, tradizioni, di cultura a volte radicalmente diversa riferita al parto e alle modalità di accudimento del neonato. Tutti elementi da tenere presente..

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