Articolo di Sara Bellucci
“Sono stata obbligata ad adempiere la formalità richiesta. Io lotto per la fraterna convivenza del popolo curdo e del popolo turco in un quadro democratico”. Queste le parole pronunciate in turco ed in curdo da Leyla Zana nel 1991 dopo essere stata eletta come unica deputata curda nella Grande Assemblea Nazionale Turca. Parole piombate come un macigno nella platea parlamentare, proferite subito dopo il giuramento sulla Costituzione turca. Questo comportamento, insieme al fatto che indossasse un nastro per capelli con i colori del Kurdistan per riaffermare la propria identità curda, è stato ritenuto altamente lesivo nei confronti della sovranità statale, è stata imprigionata per circa 10 anni per il suo attivismo politico con l’accusa di propaganda terroristica.
Questo è ciò che succede tutt’oggi a politici, giornalisti, attivisti o semplicemente ai bambini che partecipano alle manifestazioni curde nelle città dell’Est della Turchia, che in realtà ha un nome, ossia Kurdistan, ma che ufficialmente non esiste poiché non ha confini legalmente riconosciuti, non ha uno status internazionale, è diviso tra Turchia, Iraq, Iran e Siria e la cui popolazione è da sempre oggetto di feroci tentativi di assimilazione. Quello che il governo turco cerca di fare è annientare l’identità curda in tutte le sue forme, rendendosi ben conto della potenza culturale ed intellettuale di questo popolo, che da sempre continua ad esprimersi per riaffermare continuamente la propria identità, la propria dignità di popolo ed i propri diritti, a dispetto della forte militarizzazione delle città curde e dei continui tentativi proibitivi verso qualsivoglia manifestazione politica e/o culturale dei Curdi.
La prima volta che circa tre anni fa ho passato quel confine immaginario tra Turchia e Kurdistan, ho sentito che ero entrata in un altro paese, con un’altra lingua, diversa, che non riuscivo a comprendere, e me ne sono subito innamorata. Quest’anno vi sono tornata per celebrare il Newroz, il Capodanno curdo che cade ogni 21 marzo, divenuto simbolo di lotta e di resistenza, un momento per ribadire i propri diritti e ricordare che il Kurdistan esiste, non solo per i Curdi che vivono in Kurdistan, ma anche per quelli della diaspora che organizzano festeggiamenti nelle città d’Europa, in America, in Australia ed in Asia. Dopo una settimana di girovagare tra Istanbul, Izmir ed Efeso, mi arriva la notizia da amici curdi che le celebrazioni del Newroz sono state anticipate di qualche giorno per decisione del BDP, il partito filo-curdo, quindi mi precipito a prendere l’aereo alla volta di Diyarbakir, capitale culturale, politica, morale ed intellettuale del Kurdistan, definito da molti come “Il Paese che non c’è”. Sono in aereo con la mia amica curda che vive ad Izmir da circa sei anni e che non è mai tornata nella sua città natale; è curda ma ancora non è pienamente cosciente di esserlo e non parla curdo. Nell’aereo ci sono famiglie curde che vivono ad Izmir ma anche alcune che vivono in Germania ed in Austria che tornano a casa per questa importante occasione. La prima cosa che la mia amica mi dice salita in aereo è: “Sara, non capisco quello che dicono”. E pensare che ci sono ancora persone che negano l’identità curda dicendo che il curdo non esiste come lingua, che è semplicemente un dialetto turco.
La mattina dopo parto presto con due amici di Diyarbakir per andare ai festeggiamenti. Lungo la strada, nei dolmus, nelle macchine, negli autobus, centinaia di persone vestite dei colori curdi (rosso, giallo, verde) che vanno tutti verso la stessa direzione, intonando le canzoni di Sivan Perwer, il più famoso cantante curdo che vive in Germania dal 1976. Donne, bambini, anziani, tutti, indistintamente, hanno solo un obiettivo: celebrare il Newroz, anche se tutti si immaginano da giorni che la polizia turca farà di tutto per impedirlo. L’emozione sale nell’incrociare i loro sguardi, fieri ed orgogliosi senza un filo di timore o paura; poi guardano la mia macchina fotografica, io sorrido e loro mi stampano sorrisi di quelli che difficilmente dimentichi. C’è un grosso schieramento di polizia lungo la strada, direi esagerato, e la tensione è alta perché questa di oggi è una manifestazione non appoggiata dalle istituzioni. Infatti, dopo pochi metri di camminata, le persone iniziano a tornare indietro protestando ed io non impiego molto a capire quello che sta succedendo. Quando decidiamo di tornare indietro anche noi, le persone iniziano a correre ed in una frazione di secondo compaiono alle mie spalle gli idranti della polizia ed uno schieramento di forze armate che risultava decisamente esagerato, considerando che chi stava andando al Newroz poteva al massimo trovare sassi in terra. I miei amici mi prendono ed iniziamo a correre. Decine di persone si scagliano contro la polizia e quando decidiamo di andarcene la situazione è sospesa ed io intanto penso a quanto tutto ciò sia insensato e stupido ed ora più che mai, capisco quanto il governo turco abbia paura della forza morale dei Curdi. Protestare è un diritto democratico e nessuna legge dice che i Curdi non possono celebrare il Newroz e non c’è quindi nessun motivo per proibirlo. Dopo circa un’ora e mezza arriva una telefonata: “Sara, se te la senti, hanno riaperto la zona, andiamo al Newroz!”. Non ci ho pensato un secondo. Ripartiamo subito. I mezzi pesanti della polizia riempiono la città, le strade sono piene di sassi e vetri rotti, cumuli di ruote in fiamme e camioncini bruciati. Ma i Curdi che stanno ritornando come noi non sembrano preoccuparsene: bambini, giovani, adulti che camminano imperturbabili con le loro bandiere e sembra quasi che tutto questo contorno di oppressione non esista, ma che esista solo la meta, il Newroz Parki. Io rimango un attimo ferma e incredula davanti a tutto ciò, perché era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere, e il mio amico accorgendosene mi dice che loro sono abituati alla violenza e quindi non ci fanno più caso. L’eccitazione prende il sopravvento durante il cammino, dove musica ed inni mi riempiono gli occhi e le orecchie e quando arriviamo al parco il cuore mi salta in gola perché lo desideravo da così tanto tempo. Un parco gigantesco dove il palco mi sembrava lontanissimo per le centinaia di persone che c’erano. Vedevo solo i colori del Kurdistan e le bandiere del BDP. Gli unici rumori che si sentivano erano i canti, il suono profondo del davul e quello acuto del ney, il tamburo ed il flauto di legno usati in Medio Oriente, che ti entrano nello stomaco e nel cuore. E tutti questi giovani che ballavano l’ halay, in cerchio, stretti con le mani, appiccicati, entrando, e tu con loro, in una sorta di mondo parallelo, dove Istanbul appare veramente ad anni luce di distanza. Io entro e mi immergo totalmente nei balli, mi metto a fare foto e loro sono felicissimi di essere i miei soggetti, anche se tutti si raccomandano di non mettere in rete quelle dove sventolano gli striscioni di Öcalan, detto dai Curdi “Apo”.
È una giornata meravigliosa ed io non riesco a smettere di sorridere. Quando ci avviamo ad uscire realizzo l’importanza di quello che ho appena visto e capisco quanto la dignità e la coscienza culturale ed identitaria di un popolo sia molto più potente di armi o leggi razziste. Montata in macchina sono ancora incredula ed eccitata, un misto di emozioni che non si può descrivere a parole, immagini che scorrono e rivedo tutti gli occhi che mi hanno sorriso e penso che ho fatto la cosa giusta, ho fatto quello che sentivo di fare; mi hanno insegnato in poche ore cosa vuol dire difendere la propria identità e lottare per un ideale che va al di là di tutto e di tutti, un ideale con cui nasci, cresci e muori. Mi hanno dimostrato con i fatti cos’è la Resistenza politica ed intellettuale. Questo è quello che mi porto dietro dal Newroz e dal viaggio in Kurdistan.
Diyarbakir è una città fortemente militarizzata e quasi per beffa tutte le stazioni di polizia stanno appendendo bandiere turche gigantesche, come a voler ribadire chi comanda. I giorni qui sono scanditi dal continuo rumore degli elicotteri turchi, un rumore assordante che ti fa ricordare continuamente (come se fosse possibile dimenticarselo!) dove sei e chi ha il coltello dalla parte del manico. Camminando nelle viuzze strette della città, tra le urla dei bambini che mi seguono e la musica curda che viene dai negozi e dalle case mi trovo a sorridere da sola come una scema perché qui anche il più povero ha gli occhi che sprizzano fierezza, e questo non è una cosa facile da trovare.
Altra tappa fondamentale di questo viaggio per approfondire la conoscenza e le radici dell’identità curda è stata la visita ad Hasankeyf, che si trova nella provincia di Batman lungo il Fiume Tigri. Queste rovine vecchie di 2000 anni verranno sommerse completamente dall’acqua grazie al progetto GAP, Güneydogu Anadolu Projesi, che include 9 province curde e che prevede la costruzione di dighe per regolare il flusso del Tigri e dell’Eufrate. Una scelta politica ben precisa che prevede, inoltre, l’allontanamento della popolazione curda che vi risiede. Una politica ottusa e razzista portata avanti senza guardare in faccia a niente e a nessuno per poter mantenere il controllo sulla zona, ricca di petrolio, e per poter eliminare il “problema curdo”, convinti che questa via sia l’unica soluzione possibile, senza alcun tipo o tentativo di mediazione, la prassi politica va avanti in solitario.
Tutto questo dimostra quanto si può fare per mantenere lo status quo. L’identità turca si sente continuamente minacciata ed offesa da qualsiasi azione pacifica (perché, ovviamente, non giustifico gli atti terroristici) quale, per esempio, il Newroz o tutte le manifestazioni che ci sono continuamente nelle città curde, e per questo provano in qualsiasi modo a schiacciare quest’identità curda che, loro dicono essere uguale a quella turca per eliminare il problema in partenza, ma che evidentemente sentono molto diversa e ai cui occhi appare “altra” e minacciosa. La questione curda è un ostacolo per il governo di Ankara nel suo processo di adesione all’Unione Europea e questo fa inasprire ancora di più i conflitti, tanto che la soluzione politica del problema sembra molto lontana.
L’identità curda è spesso accantonata, oscurata, dimenticata a livello internazionale, ma c’è ed è viva, instancabile nella sua lotta verso il riconoscimento dei suoi diritti civili, politici, economici e culturali che rimangono soggiogati alla volontà delle grandi potenze che hanno i propri interessi nella regione. Fino a quando non si deciderà una soluzione diplomatica e politica del problema curdo, non ci potrà certo essere un equilibrio tra quei paesi che si dividono il territorio curdo. Paesi che, oltretutto, sono basilari per l’equilibrio e la stabilità della politica mondiale.