L’indignazione dei Marittimi d’Italia è arrivata finalmente alla protesta aperta: la situazione è insostenibile. Il nostro giornale incontra il deputato Luigi Gallo, da sempre sensibile a questi temi, alla vigilia della manifestazione del 17 marzo a Roma
A circa tre mesi dalla trascorsa manifestazione del 15 Novembre 2016 dei Marittimi d’Italia a Roma, la risposta inefficace delle istituzioni non ha fatto altro che accrescere l’indignazione di questa categoria, troppo a lungo sfruttata e dimenticata da tutto il sistema. Questo continuo assenteismo della politica e l’incapacità di comprendere l’urgenza di approntare soluzioni adeguate, mirate a riparare proprio quegli errori gravissimi creati dalle stesse istituzioni, infliggendo un danno pesantissimo alla Gente di Mare, non ha fatto altro che montare ancor più l’onda di protesta, inascoltata da anni, rendendo necessaria una nuova manifestazione che si terrà alle porte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel giorno del 17 Marzo a Roma. Di seguito un doloroso ritratto della situazione e del pensiero dei Marittimi d’Italia a cui segue un’intervista a Luigi Gallo, uomo da sempre vicino alla categoria ed originario proprio di uno dei bacini fondamentali della Marineria Italiana.
L’Italia da Repubblica Marinara è diventata un paese ad alto tasso di incompetenza e corruzione in campo marittimo. Ovviamente tali fondatissime accuse non possono che ricadere su enti ed istituzioni, rei di avere tra l’altro generato disoccupazione e precariato nel settore dei trasporti via mare, gestiti da troppo tempo da turisti della navigazione in odore di cialtroneria che si limitano a guardare il mare tutt’al più dalla finestra di un ufficio. Pieni di sé nelle loro uniformi ed abiti vuoti di valore, peraltro senza aver provato affatto o quasi il disagio di vivere sull’acqua salata lontano per mesi dai loro cari, costoro legiferano persino su normative di cui non riescono neanche ad immaginare (o preferiscono non farlo) le conseguenze in termini pratici sullo shipping cluster e sull’indotto occupazionale, figurarsi ad intendere come applicare leggi e convenzioni internazionali con quel loro ridicolo inglese da quattro soldi. Fatte salve le rare eccezioni, questi benemeriti fanfaroni che osano mettere bocca su una materia che evidentemente non è più di loro competenza, semmai lo sia mai stata, piuttosto che risolvere i disagi arrecati ad intere generazioni di marittimi, se ne stanno in panciolle e all’ingrasso grazie al soldo dispensato attraverso il sistema clientelare innescato coi tanti centri di formazione, proprio quelli che organizzano i famigerati corsi obbligatori, resi tali per risaputa marchetta tra le suddette parti. E visto che in Italia esiste il Comitato Nazionale del Welfare della Gente di Mare possiamo serenamente puntare il dito contro tutti gli attori e le associazioni di questa congrega quali responsabili di tale dilagante condizione di malessere dei naviganti e delle loro famiglie, facendo persino estinguere l’ambito titolo di Capitano di Lungo Corso, unico nel suo genere e contemplato soltanto nella Marineria Italiana di cui è sempre stato vanto. Rei loro e colpevoli tutti i governi che, avvicendandosi, glielo hanno consentito fare, perché se lo scopo del Welfare State, cito testualmente, è quello di coordinare “un complesso di politiche pubbliche messe in atto da un Paese che interviene, in un’economia di mercato, per garantire l’assistenza e il benessere dei suoi cittadini, modificando in modo deliberato e regolamentato la distribuzione dei redditi generata dalle forze del mercato stesso”, non solo costoro hanno fallito su tutta la linea ma è evidente che si siano prodigati a fare l’opposto, facendolo in malafede, tradendo sistematicamente la Categoria dei Marittimi d’Italia che avrebbero dovuto tutelare e una Nazione dall’inequivocabile storica vocazione e tradizione marinaresca, dall’economia basata sul settore terziario, sull’industria di trasformazione e sulle spalle della Gente di Mare.
A suscitare ulteriori polemiche, oltre alle condizioni di vita a bordo, agli stipendi ridicoli, alla carenza di imbarchi, alla confusione fatta sui titoli professionali marittimi, diporto incluso, ai danni arrecati alla pesca ed al sistematico abbassamento della qualità dell’istruzione nautica, è il corso direttivo, ultima trovata del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ovviamente a carico del Marittimo. Infatti, completamente a digiuno di cosa sia il principio di grandfathering (ovvero il principio per il quale la capacità già dimostrata nello svolgere in maniera pregressa una competenza da parte di un professionista abilitato nel ruolo è la dimostrazione che è completamente illogico, inammissibile e non affatto obbligatorio svolgere un corso di specializzazione che attesti la stessa competenza), questi signori ed il Co.Ge.Cap. , trovati “con le brache calate” dall’European Maritime Safety Agency , hanno subìto una procedura di infrazione da parte di suddetto ente per la non conformità a quanto prescritto dalla convenzione STCW in materia di programmi scolastici dell’Istituto Nautico da quando è diventato Istituto per la Logistica e dei Trasporti (grazie anche al processo innescato dalla riforma Gelmini, complice di aver esautorato il ruolo educativo e mortificato la qualità dello studio del Nautico stesso per poter evidentemente lamentare poi una riduzione degli standard ordita da loro stessi perché si sfornassero costantemente corsi e perché l’istruzione venisse deragliata verso altri percorsi formativi offerti da accademie e centri privati), per la mancanza dei sistemi di controllo qualità ISO dello stesso MIT e del MUIR e per la completa assenza di controlli periodici quinquennali alle capitanerie di porto da parte di enti terzi. E a tale vergogna, piuttosto che rispondere con delle misure correttive e fare ammenda, questi soggetti hanno pensato bene di rispondere comodamente dopo ben quattro anni e con un nuovo obbligo di certificazione atto a dimostrare le competenze già possedute da chi ha già funzioni di comando e leadership a bordo delle navi, soluzione ignominiosa tra l’altro per nulla contemplata né dagli emendamenti di Manila 2010 né tanto meno dalla stessa STCW, obbligando i marittimi a tornare sui banchi di scuola!
Ed intanto chi accerta le loro effettive competenze e le capacità? Chi sta indagando sulle dinamiche corrotte tra questi incapaci, buoni soltanto a consentire si continuino a sfornare corsi a pagamento ed elargire vantaggi utili alle sole compagnie di navigazione in piena connivenza col sindacalismo più assenteista!?
Luigi Gallo è ingegnere informatico, ha svolto la sua tesi di laurea al CNR in materia di interazione tra ambienti intelligenti e comunicazione tra oggetti, proseguendo gli studi attraverso un corso biennale post laurea per diventare professore di Elettronica ed Elettrotecnica; tra le varie attività svolte ricorda con maggior fierezza un periodo di insegnamento di un anno presso una delle scuole che in Campania e nel Mezzogiorno si è maggiormente contraddistinta per una gloriosa storia di formazione pubblica, l’Istituto Tecnico Nautico “C. Colombo” di Torre del Greco, sua città natale; è classe del 1977, insegna attualmente in un istituto professionale di Portici (Na) ed ha iniziato ad interessarsi alla politica attiva in occasione del G8 nel 2001 ed è stato eletto deputato della XVII legislatura della Repubblica Italiana nella circoscrizione XIX Campania 1 per il Movimento Cinque Stelle.
Assieme al prof. Paolo Mottana dell’Università di Milano Bicocca è autore di un libro che uscirà ad Aprile ed intitolato “Educazione diffusa: per salvare il mondo e i bambini”, sintesi della sua forte passione per pedagogia, innovazione e neuroscienze, tematiche a cui ha dedicato anni di lettura. Pratica jogging e ciclismo; per quanto segua una dieta prevalentemente vegetariana ha un forte legame con tutte le prelibatezze della tradizione italiana presente in ogni regione e quando è in viaggio si mette sempre alla ricerca di una trattoria che valorizzi il territorio ed i prodotti tipici locali attraverso il menu; ama ascoltare i Radiohead ed il Rock Progressive in generale, tanto più che da giovane suonava e cantava in una band; considera dei geni Christopher Nolan, David Fincher e i fratelli Wachowski, per aver creato rispettivamente capolavori cinematografici come Memento, Fight Club e Matrix.
A racchiudere i valori che più lo rappresentano e che ispirano le azioni quotidiane di Luigi sono le seguenti frasi: “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” di Mohandas Karamchand Gandhi e “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo” di Nelson Mandela. Non a caso Luigi ribadisce che l’esempio fondamentale che più ama seguire del “Mahatma” consiste nel fatto che le sue battaglie radicali ma non violente dimostrano che si può essere risoluti pur evitando l’uso della forza e che con la nonviolenza si possono vincere grandiosi battaglie come quella vinta appunto dall’India contro la colonizzazione britannica; nel 2008, durante una carovana internazionale di osservazione e solidarietà in favore delle comunità zapatiste nell’area meridionale del Messico, finalizzata a scongiurare aggressioni militari ai villaggi e alle coltivazioni di mais e caffè in Chiapas, come avveniva da mesi, ha incontrato personalmente il subcomandante Marcos, ex portavoce dell’EZLN ritiratosi volontariamente nel maggio del 2014. Tale esperienza, come tante altre dal profilo umanitario, lo hanno profondamente segnato e forte nel suo ricordo di allora l’ammirazione di un popolo che da sfruttato ha saputo sollevarsi riscattando la vita ed il futuro dei propri bambini, riconquistando la propria dignità e realizzando una forma nuova di autogoverno che così ama riassumere: qui il Popolo comanda e il governo obbedisce.
Una dignità ed un fierezza di appartenenza che dovrebbe ispirare tutti!
Con animo pacato ma risoluto Luigi Gallo ha dato ascolto alla giustificata frustrazione dei Marittimi d’Italia, restando loro vicino in diverse fasi e preparandosi a farlo nuovamente attraverso i suoi collaboratori più stretti e con tutti i mezzi a sua disposizione durante la prossima manifestazione del 17 Marzo a Roma, cooperando con gli attori più virtuosi della Categoria per poter mettere fine a tutto questo. Queste le sue parole:
Marittimi. Cosa rende questa Categoria invisibile alle istituzioni e agli occhi dell’opinione pubblica?
Ci sono tanti fattori: tanto per cominciare I marittimi non hanno diritto al voto quando sono sulla nave; per i marittimi non c’è un referente politico, che sia un ministro o un sottosegretario del governo, e i dirigenti del ministero dei trasporti fino ad oggi hanno coperto un vuoto in modo estremamente drammatico per la categoria; sulla terraferma non ci sono iniziative rivolte alla partecipazione e alla reintegrazione nel tessuto sociale per i naviganti che, per tali mancanze e per l’assenza di un’associazione di categoria, vive lunghi mesi soltanto l’ambiente nave e per un breve periodo il nucleo familiare, escluso dal resto del mondo. Infine ritengo che la categoria per troppo tempo abbia vissuto sulle glorie del passato, non abbia saputo mantenere alcuni dei diritti conquistati a fatica dalle precedenti generazioni e non è stata capace di chiedere unita ciò che legittimamente le spetta; inoltre, non sono pochi i casi in cui dei marittimi hanno preferito battere la semplice via dell’interesse personale, rivolgendosi a politici o potentati locali, piuttosto che cercare soluzioni sinceramente a beneficio collettivo.
L’incidenza dello shipping è fondamentale per il nostro p.i.l., vista la carenza di determinate materie prime. I dati sulle importazioni e la peculiarità dell’Italia di avere un’economia basata sull’industria di trasformazione dei prodotti lo confermano. Lo stato ha da sempre favorito le società di armamento con vantaggi ed agevolazioni, eppure tutto questo si è tradotto in un nulla di fatto rispetto alle opportunità che il Marittimo Italiano avrebbe dovuto conseguire rispetto all’indotto occupazionale anzi, dietro la minaccia di delocalizzazione da parte di tali società, i sindacati hanno preferito fare più gli interessi di queste ultime che salvaguardare quelli dei lavoratori del mare. Cosa ne pensa a riguardo?
Che tutto quello che dice è nei fatti! Nel 2014 ho depositato una mozione in Parlamento che offre delle soluzioni; va creato da subito l’osservatorio del mercato del lavoro marittimo previsto dalla legge 30 del 1998; vanno promossi i princìpi di equità di impiego e di eliminazione delle discriminazioni come stabilito dalla convenzione OIL MCL 2006 con l’introduzione per i marittimi di un salario minimo obbligatorio, non inferiore al costo medio della manodopera dei marittimi comunitari, controbilanciando i costi reali del lavoro qualificato con un aumento dei benefici fiscali per le compagnie che assumono ed in regime di continuità. Bisogna introdurre dei sistemi di merito per i raccomandatari e per tutte quelle figure coinvolte nella ricerca del personale che privilegiano gli ingaggi dei marittimi nazionali, scelti con criteri equi, in base all’esperienza, alle competenze e alle certificazioni in possesso e che dovrebbero giustificare, oltre ai ben noti sacrifici e ritmi usuranti, una più dignitosa rivalutazione salariale dei lavoratori del mare in ciascuna voce e spettanza; conferire quindi incentivi per modelli di recruiting fondati sulla qualità, sulla professionalità ed il valore degli equipaggi e non sul numero di personale a basso costo che questi intermediari riescono a procurare nell’ambito delle marinerie extracomunitarie. Sono misure che spezzerebbero la strana alleanza di ferro tra alcuni sindacati ed armatori a danno dei marittimi e che dovrebbero aggiungersi ad una politica del lavoro che favorisca di nuovo le assunzioni delle categorie iniziali, le meno tutelate.
MLC 2006. Non c’erano già solidi istituti legali e sindacali sufficienti a difendere gli interessi della Gente di Mare?
Vede la grandezza dell’operato di sindacati e leggi che si muovono in tutela della Gente di Mare? Io sento solo cittadini delusi dai sindacalisti, arrabbiati con i burocrati e che si sentono sotto ricatto tutti i giorni. Questa non è una vita dignitosa ed è per questo che i lavoratori del mare stanno iniziando ad organizzarsi anche oltre le appartenenze territoriali. Uniti a livello nazionale si possono ottenere senz’altro dei risultati che vanno ben oltre certe tutele che si sono dimostrate blande o facilmente eludibili in determinati punti.
C’è qualche associazione di rilievo nel panorama nazionale che lei ammira particolarmente per via di attività svolte in favore del Marittimo?
Ammiro tutti quei lavoratori che hanno deciso di alzare la testa, di informarsi, di studiare nei minimi dettagli i loro problemi; ammiro tutti quei lavoratori che non si affidano al politico di turno, che non si piegano ai ricatti, che non accettano e non chiedono elemosina ma rivendicano diritti con forte senso di giustizia, dignità e fierezza. Girando l’Italia ho conosciuto cittadini lavoratori che cercano di fare rete e sostenere il riscatto della categoria a Gaeta, a Viareggio, a Meta di Sorrento, a Genova, a Pozzallo, oltre che nella mia Torre del Greco.
Il mio invito è quello di mantenere costantemente questo spirito e di unirsi in questa battaglia legittima sia fuori che dentro le associazioni di categoria.
Articolo 318 del Codice della Navigazione. Una legge fortemente infranta, perché?
L’articolo 318 afferma che l’equipaggio delle navi nazionali armate nei porti della Repubblica deve essere interamente composto da cittadini italiani o di altri Paesi appartenenti all’Unione Europea ma il trucco è nella frase successiva della stessa legge che permette ai sindacati più rappresentativi di violare (la legge dice derogare) un principio sacrosanto. Di deroga in deroga gli italiani a bordo sono stati sostituiti dai marittimi extracomunitari sottopagati. Un vecchio sistema per rendere i ricchi sempre più ricchi, utilizzare i poveri di una nazione contro altri poveri di un’altra nazione. Un vecchio sistema mercantile che ha fatto la ricchezza ad esempio di alcune aziende del tè ai tempi del colonialismo britannico.
Perché i nostri titoli del Diporto vengono boicottati a livello internazionale? Si parlava tanto del “Certificate of Equivalent Competency” ma per intanto pare che i titoli inglesi emessi dall’MCA siano più competitivi e fortemente richiesti persino dalla yachting industry italiana. E adesso?
Io leggo una incapacità o una volontà politica/burocratica del sistema governativo Italia di essere competitivi in questo settore con il resto del mondo. Si fa tutto in ritardo nonostante decine di interrogazioni e sollecitazioni del sottoscritto sia al ministero che in Parlamento. C’è un mercato della formazione in Italia che mi insospettisce non poco. Sembra che si è più interessati al bene degli enti formatori che ai lavoratori stessi e all’effettiva qualità della formazione, soprattutto se si fa tutto di corsa, all’ultimo minuto e in emergenza. Una formazione di qualità si potrebbe realizzare direttamente negli istituti professionali statali e con formazione a bordo senza obbligare i lavoratori a restare fermi mesi a terra senza stipendio.
Decreto legislativo del 7 Luglio 2011, numero 136, altra annosa vicenda. Potrebbe darci dei chiarimenti?
Il decreto legislativo n.136 del 7 luglio 2011 ha introdotto la conversione dei titoli professionali acquisiti con il diploma in semplici abilitazioni, prevedendo anche il declassamento per coloro che nei cinque anni di validità del certificato di abilitazione non svolgono le funzioni per le quali il certificato è stato rilasciato. Il declassamento ha come conseguenza che il marittimo deve riprendere gli studi per poter riottenere la qualifica conseguita con il diploma. Anche tale norma non risulta essere in linea né con quanto scritto nella Costituzione Italiana né con le direttive Europee in materia né con la convenzione STCW. Per questo nella mia mozione depositata in Parlamento già nel 2014 chiedo che vengano ripristinati i Titoli Professionali e le relative equipollenze nonché il progetto Orione negli Istituti Nautici, attraverso l’aggiornamento dei programmi scolastici per ciò che concerne i correttivi riguardanti gli standard e le convenzioni internazionali con l’implementazione dei programmi di insegnamento della lingua inglese. E’ una strada che altri paesi europei hanno perseguito già da moltissimo tempo mentre siamo stati scippati persino del titolo di Capitano di Lungo Corso, appannaggio esclusivo che solo la tradizione marinaresca italiana poteva estrinsecare.
Eppure, con buona pace di chi troppo ha lucrato e continua a lucrare sul marittimo, nel 1999 i corsi professionali venivano rimborsati…
Gli istituti professionali statali devono tornare ad essere centrali nella formazione dei marittimi, anche per il lifelong learning, la formazione continua per gli adulti. Bisogna tagliare le gambe agli speculatori privati e alle sacche di politici e burocrati che lucrano sulla formazione. L’ex-deputato del PD Genovese è condannato ad 11 anni per associazione a delinquere e per aver drenato risorse per 60 milioni di euro alla formazione professionale regionale.
Come giudica il decadimento del ruolo dell’Istituto Nautico nel corso degli anni tanto da ridurne la qualità dell’insegnamento, delle ore di studio e del suo ruolo più autentico e fondamentale. Eppure questa palestra dello scibile marinaro ha dato alla luce generazioni di validissimi naviganti. Non le pare che questo dia vantaggio a certe sedicenti accademie che nel mentre in Italia si appropriano dell’identità di questo Istituto formano gli equipaggi concorrenti a Manila col benestare di Confitarma, Cogecap e Comitato Scientifico della Ipsema?
Credo di avere anticipato il mio pensiero in proposito nei punti precedenti ma ribadisco con forza che bisogna restituire centralità all’istruzione pubblica. L’istruzione terziaria che non viene svolta presso le università deve a mio avviso essere assorbita e realizzata da poli tecnici-professionali con governance pubblica. Se ci sono professionalità e strumenti nelle accademie vanno messe a servizio dell’istituzione pubblica senza che questa venga depauperata a vantaggio delle prime. Ogni volta che si privatizza un settore di formazione si tolgono diritti e si possono svolgere operazioni sleali che inseguono interessi non coincidenti con il bene dei cittadini italiani.
Il Ministero dei Trasporti, il decadimento della politica e l’austerity… un clima difficile. Troppe competenze accorpate e l’Europa che non ci è certo di aiuto. Non sente, a questo punto, la mancanza del vecchio dicastero della Marina Mercantile?
Manca assolutamente una figura politica di riferimento. A mio avviso basterebbe un sottosegretario con una delega forte sul tema che, coadiuvato da una taskforce, accorpi tutte le competenze necessarie. I cittadini devono sapere chi è l’effettivo esecutore e responsabile delle politiche del mare e non possiamo più permetterci di lasciare uno sconfinato potere in mano ad enti e burocrati incompetenti senza che non diano essi stessi dimostrazione di essere in possesso dei requisiti necessari per espletare i compiti loro assegnati
.Il Ministero dei Trasporti non ha ancora bene inteso il ruolo cruciale del trasporto intermodale. Troppi armatori preferiscono far navigare le proprie flotte per 3 giorni o più verso il Nord Europa piuttosto che scegliere approdi nazionali. Come mai?
I motivi sono tanti. I tre più importanti riguardano le carenze infrastrutturali, i costi più alti nel nostro paese e i problemi connessi all’assenza di una vera politica mirata sulla logistica. Dov’è la rete di collegamento tra ferrovia e porti ad esempio? Ci vogliono politiche strategiche di medio e lungo termine che i partiti non attuano o non hanno capacità di attuare perché concentrati soltanto su se stessi, sul mantenimento della poltrona e sui loro affari.
Il passato e il presente della Marineria… un suo personale punto di vista, per cortesia. A proposito, le autorità parlavano fino a qualche tempo fa di solo 40 mila marittimi. Com’è possibile se nella sola Campania tra Napoli, Torre del Greco e Salerno le matricole attive saranno ben oltre 100 mila? Non sarebbe il caso di indire un censimento di categoria?
La Marineria di ieri aveva primati che ci riconoscevano tutto il mondo. Non dimentichiamo la nostra storia gloriosa di esploratori, navigatori e scienziati esperti del settore. Forse proprio per questo interessi d’oltralpe hanno deciso di indebolire cercando di annientare un settore in cui abbiamo sempre primeggiato. Sui numeri dei marittimi dico che allo stato attuale non è ancora stata istituita un’anagrafe nazionale della Gente di Mare informatizzata (si parla tanto del SIGEMAR, ovvero del Sistema Informativo della Gente di Mare, che in pratica non ha trovato ancora attuazione) ed efficiente come già richiesto nel decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 2006, n. 231 ed è proprio quello che ho chiesto nell’ultima interrogazione al Ministero dei Trasporti. Sarebbe così semplice avere tutto su un pc.
Com’è andata la scorsa manifestazione a Roma? Quali risvolti futuri si profilano all’orizzonte?
Sono arrivate le solite risposte vaghe, è stato promesso un rimborso e qualche esonero. Il dramma è ancora tutto in piedi e lo ascolto nelle voci rotte dei lavoratori marittimi che sento quasi quotidianamente a telefono. Il M5S chiede la totale deducibilità delle spese sostenute dalla Gente di Mare per la propria formazione, in conformità ai requisiti richiesti dalla STCW e la modifica di tutte le inequivocabili storture presenti in questi corsi.
Quali sono a suo avviso le priorità da risolvere nell’immediato per la Marineria Mercantile, del Diporto e della Pesca e cosa si può sperare di ottenere nell’immediato futuro?
Vorrei parlare di temi che accomunano la Marina Mercantile, del Diporto e della Pesca. Nell’immediato bisogna dare una certezza a tutti i lavoratori che rischiano di restare senza lavoro a furia di fare cori su corsi, spendendo cifre astronomiche sotto ricatto burocratico-normativo semplicemente per continuare a fare un lavoro che esercitano da anni grazie a competenze già acquisite. Bisogna snellire le procedure burocratiche chiaramente anche nel rispetto dell’ambiente e riportare il costo dei carburanti ad una soglia di normalità. Bisogna agire con strategia nel settore altrimenti ogni intervento avrà un respiro corto; per questo presto il M5S presenterà la sua visione dei trasporti per risolvere il problema delle carenze infrastrutturali che incide soprattutto sulla Marina Mercantile, lavorando ai collegamenti che mancano tra i porti e la rete ferroviaria e risolvendo i tanti problemi logistici e costi più alti che ci rendono meno competitivi di altri paesi.
Quali scenari si prospettano per la manifestazione del 17 Marzo a Roma?
I sindacati confederali sono in forte ritardo e non ho condiviso le dichiarazioni di qualche sindacalista che afferma che l’allarme sui rinnovi ed adeguamento dei certificati è esaurito. Certo qualsiasi forma di pressione per migliorare le condizione dei lavoratori marittimi italiani è ben accetta ed il riconoscimento del lavoro usurante è tra le rivendicazioni della mozione del M5S anche se purtroppo non mi aspetto grossi risultati da questa prima manifestazione.
Bisognerà continuare a manifestare.
Qual è l’auspicio che vorrebbe dare alla Categoria… un incoraggiamento? L’auspicio per la categoria è di avere un governo italiano che faccia finalmente gli interessi dei suoi settori strategici come lo è il mare. E’ da diversi anni che non vedevo i lavoratori del mare combattere per i propri diritti e la novità è che fanno finalmente rete come dicevo. Bisogna continuare così ed affrontare sempre di più il tema come vertenza nazionale. Il M5S sarà al loro fianco.
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