All’inizio non si vede. Non si capisce bene quale sia il limite tra fotografia e disegno (ma anche pittura e scultura) quando si osserva per la prima volta un’opera iperrealista. Bisogna avvicinarsi bene e scorgerne ogni singolo tratto di matita, ogni pennellata e ogni solco.
Si comincia a parlare di Iperrealismo alle fine a cavallo tra gli anni 60 e 70, negli Stati Uniti, quando subito dopo la Pop Art e l’esaltazione della cultura popolare si sviluppa una nuova corrente artistica che parte proprio dalla fotografia per catturare il maggior numero di dettagli da riprodurre poi sul supporto grafico, pittorico o sulla materia scultorea. Nomi d’obbligo in ambito pittorico sono Ralph Goings, Chuck Close, Richard Estes. Altri in ambito scultoreo Duane Hanson e John De Andrea.
La pittura caravaggesca ha un grosso ascendente sulla pittura e la scultura iperrealista, per quanto riguarda il tripudio di particolari e lo studio del rapporto tra luce e superfici, ma non è da tralasciare nemmeno l’analogia con il Vedutismo, che sfruttò la camera ottica per catturare il paesaggio e le sue minuziosità.
La resa plastica delle superfici, la cura ossessiva del particolare e i giochi luminosi sono tre elementi fondamentali che “l’iper-artista” porta all’estremo nelle sue opere, cercando le trasparenze dell’acqua e del vetro, i materiali riflettenti come metalli e specchi, e gli elementi che ognuno di noi riesce a osservare a distanze molto ravvicinate: le singole rughe, i granelli di sabbia, le fibre del tessuto.
E’ molto interessante fare riferimento ai grandi nomi del passato: tuttavia mi piace molto pensare anche al rapporto con il presente, l’epoca della tecnologia in cui le quantità infinitesimali di pixel sui nostri maxischermi permettono di riprodurre immagini così nitide e dai colori così vividi da sembrare realmente di fronte ai nostri occhi. Senza pensare al mondo dell’animazione 3D, in cui dietro quei pesantissimi occhialoni possiamo scorgere anche il singolo capello dei protagonisti o le venature delle foglie.
E’ divertente che nonostante tutto questo ci siano giovani generazioni che rimangono affascinate dal processo tradizionale a cui l’arte è legata: un lento e attento sovrapporsi di tratti. Diego Fazio ad esempio è un giovanissimo artista che si allinea a questa scuola di pensiero, sfruttando al massimo uno degli strumenti più elementari per la grafica: la matita. Disegna volti, oggetti, liquidi, insetti. Classe 1989, nasce proprio in quella parte meravigliosa dello Stivale che si tuffa a pesce nel Mar Mediterraneo: la Calabria. Il suo nome d’arte è Diego Koi, che deriva da una grande passione per le Carpe Koi che in Cina sono metafora di coraggio e ambizione, secondo una antica leggenda.
Eh si, perchè ci vuole coraggio a inoltrarsi in questo Iperrealismo, perchè se l’opera non è impeccabile il risultato cambia del tutto. E’ necessario avere una percezione della realtà molto raffinata per cogliere tutti i dettagli che un corpo può nascondere, un enorme talento ed una tecnica perfetta. Su questa stessa linea si propongono diversi artisti, allo stesso modo di bravura sconvolgente: vi potrebbe venire appetito osservando la frutta dei dipinti su tela di Paolo Tagliaferro, forse smetterete di farvi i selfie perchè forse su Facebook sarebbe più figo un ritratto fatto da Emanuele Dascanio e magari sarete curiosi di aprire del tutto quelle scatole che Marica Fasoli lascia aperte solo a metà.
A parte Diego Koi, che appartiene a una generazione poco più tarda, questi artisti sono tutti nati tra la fine degli ’70 e i primi anni ’80, e tra i loro soggetti impazzano i ritratti e le nature morte, che si prestano particolarmente allo studio del dettaglio e delle sfumature cromatiche e chiaroscurali della realtà. E’ molto curiosa la serie “3D” di Marica Fasoli, che sotto sotto porta a riflettere sul concetto di contenuto, concetto che è ripreso anche da Paolo Tagliaferro in una intervista su Disegno e Pittura, cioè l’arte iperrealista per sua natura tende a rappresentare a volte soggetti ripetitivi: per questo l’artista ha deciso di concentrarsi anche su nature morte “alternative” utilizzando i giocattoli per le sue composizioni.
“E’ del poeta il fin la meraviglia…” diceva Giambattista Marino in relazione alla corrente poetica barocca. Io ci aggiungo che secondo me questo fine è anche dell’Iperrealismo, perchè di fronte a queste opere si rimane a bocca aperta. Provare per credere.