Ispra
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di Melania Barone

Nel mondo del precariato costantemente in aumento, quel che più ci colpisce è il precariato dei dipendenti di istituti di ricerca ambientale. L’ISPRA è uno di questi. Nel 2009 ha calcato le pagine dei giornali per la protesta condotta dai ricercatori dell’istituto, stabilitisi sul tetto della sede a rischio chiusura. Ma come è possibile concepire la chiusura di un istituto sovvenzionato dallo stato per condurre studi con il fine di garantire la sicurezza del paese? Come reagiremo alla costante precarietà geologica del nostro territorio?

L’ISPRA (Istituto Sanitario per la Ricerca Ambientale) è una perla nel mondo della ricerca pubblica. É quella che analizza il rischio sanitario-ambientale che “è attualmente lo strumento più avanzato di supporto alle decisioni nella gestione dei siti contaminati che consente di valutare, in via quantitativa, i rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali”. É quanto si legge sul sito del Governo. Ma come è possibile allora concepire la chiusura di questi istituti di ricerca?

L’ISPRA è un gioiello della nostra ricerca, ma ha rischiato la chiusura nel 2009 a causa delle riforme del Governo. Il pericolo era gettare nella disoccupazione 430 precari che non rischiavano di essere integrati dopo la soppressione dell’ISPRA che sarebbe stata accorpata ad altri tre importanti istituti di ricerca. Dopo decine di giorni su un tetto, i precari hanno accettato di tornare nuovamente a fare i precari. Una conquista per loro!

Infatti il motto di Tremonti è di “fare Economia” e, sebbene in molti casi sia lodevole questo presupposto, in un periodo di crisi economica rischia di lasciare parecchie vittime.

Il problema ambientale infatti si ripropone anche nel 2010 con la famosa Finanziaria, diventata fantasiosamente Legge di Stabilità. La filosofia nelle leggi partorite dal Parlamento aleggia solo nei nomi, mentre nei contenuti emerge un labirinto di tecnicismi di cui troppi ormai diffidano.

I primi a diffidare sono i Ministri stanchi di fare la fila davanti alle porte del Ministero del Tesoro che, a furia di stringere le cinghie, ha reso inutilizzabili perfino i fondi stanziati. Da mille parti arriva la voce: “ci sono dei fondi predisposti di cui è impossibile usufruire”. Il Ministro dell’Ambiente ha chiesto conto del miliardo stanziato dal Cipe un anno fa per far fronte ai dissesti idrogeologici, ma ancora bloccato. “Siamo di fronte a continue emergenze nazionali e io non posso usare quei soldi”. La Prestigiacomo è infuriata data la precarietà della condizione del suo Ministero in bilico tra le emergenze e le necessità. Ma Tremonti con naturalezza e tranquillità risponde: “Te lo spiego fuori”. Una risposta davvero poco piacevole se la Prestigiacomo esplode istantaneamente gridando: “Non fare il cretino, non ci trattare da scolaretti”. Questo non è un racconto di fantasia, è accaduto realmente il 5 Novembre ed ha comportato le minacce di dimissioni del Ministro dell’Economia Tremonti rimasto sulla poltrona grazie alla mediazione di Silvio Berlusconi.

É il risultato di un’Italia troppo precaria, ma il primo precariato parte dal Governo: non c’è nessuna garanzia in questo stato, nessuna soluzione realmente a vantaggio del cittadino o del lavoratore. Una situazione che rischia di accrescere il malessere sociale.

Oggi però l’Italia ha due emergenze che primeggiano e necessitano di una risposta immediata e concreta: l’emergenza rifiuti in Campania e l’emergenza alluvioni a Salerno e in Veneto. Ma la risposta del Governo è stata più precaria che mai: 300 milioni stanziati in Veneto contro i 500 milioni di danni. E chi valuterà l’ulteriore rischio idrogeologico del paese? Ricercatori resi precari da un governo più precario di loro?

In Italia abbiamo bisogno più di ogni altro paese di stabilità lavorativa e ancor più di stabilità nel mondo della ricerca ambientale ma, per raggiungere questo obiettivo, necessitiamo di una stabilità politica e di onestà intellettuale.

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