Nel film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino il protagonista Jep Gambardella, alla domanda “che cosa ti piace di più veramente nella vita?”, rispondeva molto serenamente e senza sentirsi in dovere di conformarsi all’andazzo generale “l’odore delle case dei vecchi“. Sicuramente una frase che non si limita ad introdurre soltanto quella sensibilità che Jep pretende di attribuirsi quale preambolo ad una predestinazione, foriera della sua vocazione per la scrittura, e che supera probabilmente la sua prematura e giovane passione per ciò che è decadente, facendone soltanto un cinico mondano, senza alcuno stimolo alla vita ed a tratti nostalgicamente rassegnato, ma che si apre a diverse interpretazioni e significati.
La sua voce fuori campo, spesso priva di trasporto emotivo ma condita con calibrato cinismo sentimentale, traccia la narrazione omodiegetica che cadenza i vari passaggi della trama del film, una voce che ammette senza frustrazione un certo vuoto esistenziale ed un’incapacità a produrre qualcosa di buono da molto tempo: trasferitosi a Roma da Napoli Jep scivolerà presto nel pelo del bianconiglio a causa del successo del suo libro a soli venticinque anni, pretendendo di diventare poi il re dei mondani, per smaltire forse la sua delusione amorosa.
Le citazioni letterarie e cinematografiche condiscono ampiamente il film e l’attenzione dello spettatore talvolta si perde nel vortice di aforismi che vanno da Louis-Ferdinand Céline a Gustave Flaubert, da Saul Bellow a Marcel Proust, quindi a Fëdor Dostoevskij e Federico Fellini, per poi ridestarsi grazie alle battute ad effetto pronunciate dal personaggio interpretato da Tony Servillo, facendo passare in sordina un dettaglio: un parallelismo tra Jep Gambardella ed il Dino protagonista del libro La Noia di Alberto Moravia, che lo stesso Jep cita ad un certo punto.
Se è pur vero che esistono similitudini tra i due, tali da poter leggere La Grande Bellezza anche in chiave moraviana, ad un certo punto Jep si discosta da Dino e la sua personale noia diventa piuttosto una forma di autodifesa, un’arte raffinata del sopravvivere ad un mal di vivere in forma chiusa, solitaria e discreta, sfruttando proprio quella mondanità a suo uso e consumo, un po’ come quello stoicismo tipico dei vecchi quando vivono i loro mali senza curarsi troppo della stupidità che affligge la razza umana insomma.
Ma la condizione di Jep e quella di una certa fascia di persone anziane lasciate a sé stesse è per certi versi simile, per quanto abbia presupposti, cause ed effetti diversi a partire anche dallo status sociale: si chiama malattia esistenziale. D’altronde, senza sapere cosa possa esserci scritto nel fanta libro L’Apparato Umano non è escluso esso possa racchiudere una sorta di testamento di una gioventù delusa e desiderosa di mettere una pietra sopra all’amore ed agli umani affanni.
Tornando alla frase che allude alla piacevolezza nel sentire il profumo delle abitazioni dei vecchi non si può fare a meno di ipotizzare che in questo presunto testamento ideologico Jep abbia preconfezionato una sorta di antidoto per il mal d’amore, un prontuario sul come diventare immune alle sofferenze ed alle delusioni che scaturiscono proprio dalle relazioni umane… una specie di carta nautica per attraversare in tutta sicurezza le tempestose vie dell’emotività e dei sentimenti attraverso il placido e composto atteggiamento tipico degli anziani: come un ribadire che in fondo la gioventù sia una malattia che guarisce con la vecchiaia.
Perché si diventa vecchi quando si smette di amare. Perché quando si è vecchi si sopportano meglio certi affanni.
Amare l’odore delle case dei vecchi significa amarne l’ordine, la precisione con cui gli oggetti trovano il loro posto impiegando anni prima di entrare in uno schema logico di pensieri, oggetti su cui il tempo deposita una leggera patina, come un manto protettivo e rassicurante sui ricordi belli e brutti di un’intera esistenza; amare l’odore delle case dei vecchi significa amare il dolce ricordo degli anziani stessi, avere una creanza, un rispetto ed un’educazione d’altri tempi per costoro. La stessa presunta delicatezza che Jep avrà avuto per gli anziani da giovane è la delicatezza che egli usa verso sé stesso e gli amici, una tollerante delicatezza per le debolezze, per le piccole bugie indispensabili per sopravvivere a quella mondanità, necessaria a concedersi il lusso di illudersi di trovarsi nel bel mezzo di una seconda eterna giovinezza, piuttosto che sull’orlo del crepuscolo.
Ma non tutti i vecchi hanno la forza di crearsi le giuste illusioni salendo sulla giostra della mondanità e neanche la capacità di osservare sempre indifferenti, quasi irriverentemente e con sdegno, la crudeltà e l’indifferenza stessa della gioventù che li mette al bando dalla società e li emargina da qualsiasi dialogo e confronto; specie di questi tempi tale emarginazione dell’anziano diventa una forma delittuosa di inadempienza della nostra società verso di loro ed il covid-19 ha evidenziato non soltanto quanto l’umanità fosse già caduta in basso prima del suo arrivo nelle nostre vite, ma ha messo in luce che, altro che solidarietà verso il prossimo nei momenti più difficili, l’uomo riesca ancora a dare il peggio di sé e tirare fuori tutto l’egoismo di cui è capace.
“Sta morendo la migliore delle generazioni”, leggo un po’ dappertutto. Ma davvero? Ed occupati come siamo sui social a rincorrere le nostre vuote aspirazioni, impegnati ad eludere ogni forma di responsabilità e coraggio civile, ce ne siamo accorti soltanto adesso?
In questa società del niente rampante, dei falsi miti e degli eroi della disonestà, stiamo tradendo una riconoscenza dovuta verso chi ci ha donato quella libertà e quei diritti che oggigiorno sottostimiamo perché non ne riconosciamo il valore ed il sacrificio occorso per ottenerli e che di conseguenza non sapremmo neanche come difendere, sempre ammesso che abbiamo sale in zucca a sufficienza per capire quanto siano gravemente a rischio.
Ma noi italiani siamo usciti da situazioni ben peggiori… guerre, carestie, sacrifici! Ma chi!? È sempre di loro che si sta parlando, degli anziani non certo di noi, quindi tranquilli, evitiamo di congratularci con noi stessi e mettiamoci comodi, abbuffiamoci pure di programmi tv a pagamento e cibo ordinato a domicilio, alternando alla lamentela il dire che andrà tutto bene, mentre in panciolle non realizziamo che questo bene, che è bene collettivo, non si concretizza da solo e non senza una coscienza vigile ed operosa.
Insomma “sta morendo la migliore delle generazioni” is the new mantra, è la frase spettacolarmente compiuta da usare come un gagliardetto per smidollati, da sfoggiare durante una discussione in un happy hour in privato con gli amici ed appropriato per la circostanza almeno quanto un astemio… come se l’ammissione del fatto, addurre al loro contegno ed alla loro dignità, ci lavi dalle colpe, conferendoci contegno e dignità di riflesso.
Ma non ci sentiamo un poco ridicoli, assenti e privi di attenzione verso di loro, ad ammettere che si accontentavano di quel poco che avevano mentre noi non ci si accontenta mai di niente, lamentandoci del soverchio anche quando le cose andavano meglio che adesso?
Non ci vergogniamo a ribadire indignati che stanno morendo da soli, spaventati e senza un addio, quando invece erano già atterriti dal nostro assenteismo, dalla nostra mancanza di tempo, imprestato a cose futili, e dalla nostra mancanza di affetto prima di questa dannata situazione?
Siamo noi col nostro atteggiamento a negare il diritto alla terza età in condizioni dignitose e da questo punto di vista l’Italia ha dimostrato ancora una volta di non essere un paese per vecchi.
Perché si diventa vecchi quando ci si sente di essere quasi un peso e si muore, senza disturbare, quando si smette di essere amati.
Figli indegni della Civiltà Mediterranea che ha sempre praticato il culto per gli anziani, attribuendo loro in passato un ruolo fondamentale nella società, siamo passivi dinanzi alla deflagrazione più completa di tutto quello che loro hanno creato e non abbiamo mai saputo instaurare la dottrina dell’invecchiamento attivo, né migliorare le condizioni di vita dell’anziano tanto nell’ambito pubblico che familiare; assenteisti ed aridi siamo testimoni istupiditi della perdita di tutto ciò per cui hanno combattuto: i pericoli di attuazione del MES dietro l’angolo, usurpazione della sovranità popolare e monetaria, scippo di ettari del Monte Bianco e di miglia quadrate di acque territoriali, il sequestro dei pescatori in Libia, l’avvelenamento del clima e dell’ambiente, però… anche loro, più vecchi e più stanchi, se ne sarebbero stata con le mani in mano?
Tutti in coro diciamo “sta morendo la migliore generazione” … ed appresso moriranno pure le altre, noi compresi e senza uno scopo per cui valga la pena vivere e lottare, e più ripetiamo che sono loro i migliori e più sottolineiamo le nostre mancanze, le nostre grandi meschinità e le nostre tremende ipocrisie, rei di essere gli artefici di questo mondo ormai andato a puttane!
La verità è che sta morendo la parte migliore che quella grande generazione di donne e di uomini ha seminato dentro di noi, non soltanto perché non le abbiamo dato il giusto peso, il giusto affetto e la giusta considerazione in questa società effimera, ma semplicemente perché non abbiamo avuto il coraggio di prendere dal loro esempio. Muoiono per disagio e per imbarazzo e prenderne passivamente atto non laverà le nostre coscienze.
Nel dialogo del film che mette finalmente in stridente contrasto il protagonista con la superficiale e bugiarda mondanità, con il crollo dei valori incarnato da Stefania, la scrittrice radical chic, potremmo parafrasare: ma quando mai in voi si è manifestato un sano rispetto e un’amorevole considerazione per gli anziani? Tra invidia o ribrezzo Jep Gambardella non avrebbe alcun dubbio su cosa provare per noi, poiché non amare l’odore delle case dei vecchi è come negare le gioie che i nonni ci hanno procurato, allevando nipoti ingrati e riconoscere di non avere pietà filiale.