– “Ci manca solo che perdo il lavoro”
– “Capirai che perdita”
– “Ma se c’è la fila per un posto in fabbrica”
Sono forse queste le battute che restano più impresse dopo la visione di “Jimmy della Collina”, adattamento cinematografico del romanzo per ragazzi di Massimo Carlotto, per la regia di Enrico Pau.
Jimmy è un ragazzo quasi diciottenne che vive a Sarroch, paese a qualche chilometro da Cagliari, la cui intera economia gira intorno al grande colosso petrolchimico che detta la quotidianità delle vite degli abitanti del paese.
Avere un posto in fabbrica è la massima aspirazione qui, l’unica reale prospettiva per Jimmy, vissuta come una vera e propria condanna.
La ribellione dei suoi diciassette anni lo porterà a fare scelte sbagliate per inseguire i propri sogni di evasione da una realtà grigia che non consente alternative. E in un battito di ciglia si ritroverà rinchiuso nel carcere minorile, a scontare una pena detentiva per rapina.
La storia di Jimmy, come è stato scritto in diversi articoli che hanno recensito il film di Pau, è una storia caratterizzata da un profondo realismo. Jimmy ancora oggi, dopo sei anni dall’uscita del film, potrebbe essere uno dei tanti ragazzi che vivono a Sarroch, paesi limitrofi e Cagliari.
Le vite di questi ragazzi corrono in bilico sul crinale di un destino che li porterà, se sono fortunati, a lavorare in fabbrica, altrimenti li costringerà a partire “in Continente”, come si dice in Sardegna.
Per chi non prosegue gli studi esistono veramente poche alternative a questo bivio e c’è chi, probabilmente a ragione, pensa che il grande colosso petrolchimico sia la sola salvezza di un territorio con poche speranze.
Unico polmone economico, unica risorsa da cui dipendono le vite di migliaia di individui e famiglie, il cui destino è strettamente legato a quello della fabbrica.
Una dipendenza profonda che rischia di trasformarsi in allarme sociale quando, per convenienze squisitamente economiche, i grandi colossi decidono di portare la loro catena produttiva altrove, lasciando in eredità un territorio selvaggiamente abusato e migliaia di persone al palo.
Questo non accade a Sarroch, ma sta succedendo in un territorio ancora più povero, il Sulcis – Iglesiente, esattamente in queste ore, dopo che l’Alcoa, multinazionale dell’alluminio, ha annunciato la chiusura degli impianti.
É questa la prospettiva che si delinea nel futuro di Jimmy e di tanti altri ragazzi come lui. Ma la differenza sta nel suo desiderio di fuga, che si concretizza in un tentativo maldestro e pericoloso che lo farà finire nei guai con la giustizia.
Per fortuna sul suo cammino incontra don Ettore Cannavera, che gli consente di uscire dal carcere e scontare la propria pena negli spazi più accoglienti della comunità La Collina, struttura realmente esistente che offre ai giovani una alternativa alla pena detentiva in carcere.
La Collina è un’altra piccola finestra di realismo che il romanzo, e a sua volta il film, aprono sul mondo dei ragazzi. La comunità di don Ettore Cannavera è una iniziativa unica nel suo genere in Italia, nasce dall’esperienza di don Ettore come cappellano nel carcere minorile di Quartucciu e dalla sua volontà di fornire ai giovani che scontano una pena un’alternativa alla detenzione.
La Collina spezza la logica assistenziale sottesa alla vita carceraria e offre ai giovani adulti che ne sono ospiti una nuova opportunità fondata sul lavoro, sulla responsabilità e sulla condivisione. I ragazzi lavorano quotidianamente, prevalentemente all’esterno della comunità, e parte del loro stipendio è messo in comune per partecipare alle spese della vita di tutti i giorni. Provvedono alla preparazione dei pasti, alla pulizia degli spazi e della propria biancheria, imparando a vivere e a provvedere a se stessi nella prospettiva di una nuova vita al termine della pena.
L’intuizione di don Ettore è semplice: rieducare i ragazzi alla legalità e responsabilizzarli per essere pronti ad affrontare il mondo esterno.
Poche semplici, ma grandi cose che il carcere sempre più spesso non riesce a realizzare.