Vorrei essere una pietra, di quelle antiche per davvero. Una pietra di Karalis, figlia del maestrale. Sarei allora spettatrice privilegiata dell’evolversi lento di una città che non ha mai avuto fretta d’andare, fretta di crescere, fretta di cambiare.
Merito del sole, colpa del vento, vantaggio del mare che affoga la sua costa. Cagliari è per chi la vive una opulenta e florida madre data per scontata, per chi la scopre un tripudio di colori prima, di odori poi, di storie senza tempo al fine.
Fossi una pietra, di quelle antiche e giallastre figlie di Karalis, avrei avuto fronde di capperi a carezzarmi fioriti la fronte calcarea, mare sugli occhi e nel cuore, e avrei potuto osservare il sopraggiungere di quel traghetto che nel gennaio del 1921 trascinava dalla Sicilia, pesante e svogliato come un vecchio brontolone, Lawrance David Herbert e sua moglie Frieda che avrebbe poi ereditato nel suo diario di viaggio l’emblematico nome di Ape Regina.
E’ confortante sapere che alcune cose non cambiano, regala un senso d’appartenenza più forte sapere che quel che vedi oggi era inspiegabilmente simile ieri e che con molta probabilità si presenterà noiosamente uguale domani. Cagliari è così: immutata.
Lawrance la trovò abbronzata d’un pallido sole invernale e lo sorprese tanto nella concezione e nelle forme che ebbe la sensazione che qui finisse il mondo, e solo Cagliari ci fosse oltre la città di Cagliari.
“E improvvisamente ecco Cagliari: una città nuda che si alza ripida, ripida, dorata, accatastata nuda verso il cielo dalla pianura all’inizio della profonda baia senza forme. È strana e piuttosto sorprendente, per nulla somigliante all’Italia. La città si ammucchia verso l’alto, quasi in miniatura, e mi fa pensare a Gerusalemme: senza alberi, senza riparo, che si erge spoglia e fiera, remota come se fosse indietro nella storia. Ci si chiede come abbia fatto ad arrivare là. Sembra la Spagna, o Malta: non l’Italia. È una città ripida e solitaria, senza alberi, come in una miniatura antica. E al tempo stesso simile a un gioiello, un inaspettato gioiello d’ambra a rosetta nudo nel cuore della vasta rientranza.”
Il potere evocativo delle sue descrizioni, tutte impilate pesantemente le une sulle altre in quel “Mare e Sardegna”1 rendono il suo diario di viaggio strumento ideale per navigare seppure solo con l’immaginazione per le vie della Città del Sole, tramite eccellente per riscoprire una città che già si conosce, eppure mai troppo bene.
La visitò frettolosamente in una sola giornata ospite dell’albergo Scala di Ferro di cui resta oggi il ricordo e qualcosa di più. Sfigurato dai lavori di ristrutturazione, l’albergo, uno fra i più importanti esempi neogotici del capoluogo sardo, è divenuto sede della prefettura cittadina.2
Abbandonati i bagagli frettolosamente, un poco come fanno oggi i viaggiatori con poco tempo a disposizione, si tuffò contro la città. Emerse ai bastioni, belli e ancora sorprendenti.
“Cagliari è molto ripida. A metà c’è uno strano posto chiamato i bastioni, un ampio spazio pianeggiante simile a una piazza d’armi con alberi, curiosamente sospeso sopra la città, e dal quale parte un piano inclinato, simile a un ampio viadotto di traverso sopra alla strada a chiocciola che si inerpica verso l’alto. Sopra ai bastioni la città continua a salire ripida verso la Cattedrale e la fortezza. Quello che è singolare è che questa terrazza o bastione sia così ampia, come un grande campo di gioco, tanto da essere quasi desolata, e non si riesce a capire come faccia a stare sospesa a mezz’aria. Giù in basso c’è il piccolo cerchio del porto.”
Avrà affannato per raggiungere il bastione sospeso a mezz’aria, ripagato poi dallo spettacolo di un mare stirato come lenzuolo dal vento spigoloso di gennaio, spruzzato d’un blu camaleontico che ruba quel che può al cielo. I bastioni, nuovi di zecca, erano stati inaugurati nel 1901, costruiti sulle antiche mura cittadine in stile classicheggiante, tutto calcare bianco e giallo, inconfondibile firma dalla cadenza cagliaritana.
La Cattedrale, osservata di fuggita è raggiunta presto tagliando per le strette e buie stradine di Cagliari, anch’esse identiche a ieri, non mutate nemmeno di una virgola.
“Oh strette, buie, umide strade che salgono verso la Cattedrale, simili a fessure. Per un pelo schivo un enorme secchio di sciacquatura che precipita giù dal cielo. Un ragazzino che stava giocando per la strada, la cui schivata non è così netta, guarda in su con quell’ingenuo, impersonale stupore con cui i bambini osservano una stella o un lampione.”
Chi ha già visto il cuore di Cagliari sorriderà, ben sapendo che è rischio non troppo raro quello di essere centrato dall’acqua che precipita giù dal cielo, gli altri lo annoteranno mentalmente. E’ il fascino di quelle viuzze, strette e antiche a distrarre. Alcune sembra conducano, scure come sono, direttamente all’inferno e invece si aprono contro un frammento di cielo di un azzurro accecante, così come sa essere a Cagliari. La Cattedrale si incontra per caso e stupisce tutti, anche i cagliaritani.
“Una volta la Cattedrale deve essere stata una bella fortezza pagana in pietra. Ora è passata, così per dire, attraverso la tritatrice del tempo, e ha essudato Barocco e attorcigliamenti, un po’ come gli orribili baldacchini di San Pietro, a Roma. Tuttavia è ancora senza pretese e misteriosa, con una grande folla un po’ stracciona che si trascina sul lastricato verso l’altare maggiore. Ci si sente come se si potesse accoccolarsi in un angolo a giocare a biglie e mangiare pane e formaggio e sentirsi a casa: una sensazione confortevole, antica, religiosa.”
E’ un vero peccato che Lawrence l’abbia veduta priva di facciata. Rimase così violentata e abbandonata per un lungo periodo che si interruppe nel 1933 quando venne vestita della facciata neoromanica di cui oggi da mostra come si fa con un vestito nuovo. Nei primi del Novecento venne interamente smantellata alla ricerca della sua antica facciata romanica. Che brutta delusione fu per Dionigi Scano, sopraintendete ai monumenti di allora, scoprire che sotto la facciata barocca c’era assolutamente il nulla.
Quella che Lawrance chiamava Fortezza noi oggi chiamiamo Castello, incredibilmente affascinante, arroccato sulla punta di quel colle calcareo che da ospizio a Cagliari.
“La sommità di Cagliari è la fortezza: la vecchia porta, i vecchi bastioni di bella arenaria giallastra a nido d’ape. Il muro di cinta sale su con un’ampia curvatura, spagnolo, splendido e vertiginoso.”
Si domina Cagliari dal suo Castello, un tempo casa dei cagliaritani a bene, oggi cuore della vita notturna, della movida culturale, riparo per chi ama ricordare il passato, confonderlo con il presente. A Karalis è possibile farlo.
Raggiungere Via Roma da Castello è un poco come precipitare dall’Olimpo, rotolar giù da una vetta e approdare a due passi dal mare. Da Via Roma il mare non solo si vede ma lo si può assaggiare, odorare, vivere. Si affaccia sul porto e resta a tutt’oggi anello nevralgico cittadino.
“La grande strada lungo il mare è la via Roma. I caffè sono su un lato e dall’altra parte della strada i folti ciuffi di alberi che si frappongono tra il mare e noi. Tra questi folti ciuffi di alberi del lungomare il piccolo tram a vapore, come un trenino, sobbalza fino a fermarsi, dopo aver girato dietro la città.
La via Roma è tutta la Cagliari mondana. Compresi i caffè con i loro tavolini all’aperto da una parte della strada e la sponda alberata dall’altra, è molto larga, e la sera contiene tutta la città.”
E’ mutata davvero poco; i caffè ci sono ancora insieme con gli alberi e con il tram che si è pitturato d’arancio divenendo bus e la sera Via Roma è ancora capace di contenere tutta la città.
La mattina successiva, prima della partenza il viaggiatore e la moglie lo dedicano al mercato, quello del Largo Carlo Felice, oggi solo ricordo. Gli occhi di Lawrance e dell’Ape Regina sono tutti colpiti dall’abbondanza e dal colore, dalle donne fiere e dagli uomini che sono detti un po’ a sorpresa “maschi” razza che già nel 1921 appariva allo scrittore in via d’estinzione.
“Andiamo avanti? Ci sono due modi per lasciare Cagliari diretti a nord: la ferrovia dello Stato che percorre la parte occidentale dell’isola e la linea secondaria a scartamento ridotto che penetra il centro.”
Quale avreste scelto voi? Lawrance imboccò la linea secondaria, mosso dal tempo che incalzava, mosso da quella necessità assoluta di muoversi.
1 David Herbert Lawrance, Mare e Sardegna, ILISSO, 2000