Col termine salume si intende “insieme di cose salate” così si potrebbe tradurre l’etimo latino da cui deriva salumen, composto da “sale” ed “ume”.
Per quanto la conservazione della carne, per essiccazione al sole o in prossimità del fuoco, fosse una pratica nota sin dal Paleolitico bisognerà attendere almeno fino al V secolo a.C. prima di poter parlare di salumi veri e propri. Invero la tecnica di conservazione della carne nel budello era nota tanto nell’antico Egitto quanto in Grecia. Infatti sia le iscrizioni nella tomba di Ramsete III, risalente al 1166 a.C. che i riferimenti nell’Odissea piuttosto che nelle commedie di Aristofane, vedasi la “lucanica”, dimostrano che in tutto questo arco temporale gli insaccati fossero già noti, per quanto ancora in uno stadio primordiale.
Le virtù del salume non si limitavano soltanto alla sfera gustativa in quanto già Ippocrate, tra i padri della medicina, ne raccomandava il consumo rispetto alla carne tal quale poiché assai più digeribile. È dai ritrovamenti degli scavi di Forcello nel mantovano, risalenti al V secolo a.C., che evinciamo quanto la produzione ed il consumo dei salumi si fosse consolidata: i resti di ossa suine riesumate in maggior numero senza femori e tibie è un chiaro indizio dell’uso che si faceva degli arti inferiori per preparare i prosciutti… insomma un’epoca importante quella etrusco-romana poiché è a partire da questo periodo che gli allevamenti di maiali, precedentemente cacciati, cominciano a diffondersi, come pure la consuetudine del commercio delle loro carni. Da Catone il Censore col suo De Rustica alle Satire di Orazio, piuttosto che a quelle di Giovenale, le citazioni sui metodi di salagione e conservazione e quelle che testimoniano si vedano presenti ai banchetti più opulenti delle feste certo non mancano.
Insomma della storia che ha portato l’alimentazione umana dal cinghiale euroasiatico al maiale, sino alla sua domesticazione, ci sarebbe davvero tanto da raccontare e con le invasioni barbariche il suino diventa risorsa essenziale ed i porcili diffusissimi. È, infatti, da quando si trovava allo stato brado in tutta Europa che il suino, avendo carni che ben si prestano alla salatura, affumicatura ed essiccatura, consentiva di accumulare scorte di cibo gustose e commestibili per lunghi periodi… si pensi al fatto che prosciutti e pancette diventarono vere e proprie monete di scambio durante tali invasioni.
Per poter parlare di arte salumiera vera e propria bisognerà attendere la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo ove vedremo lo sviluppo delle corporazioni per regolamentare le pratiche e tutelare i salumi, la diversificazione regionale, ciascuna con le proprie tradizioni gastronomiche, fino ad arrivare via via verso il Rinascimento con le tavole raffiguranti salumi, insaccati e scene ad essi legati; sarà poi verso l’800 il periodo in cui assisteremo alla nascita dei primi autentici salumifici e dunque della figura del norcino.
Ebbene, come possiamo constatare da questo breve percorso storico sui salumi, si può evincere che molto, decisamente tantissimo tempo prima che termini anglofoni come “snack” e “breakfast” diventassero di uso comune nella nostra lingua, e venissero addentate certe stramberie, i panini col salame, col prosciutto e con la mortadella erano diventati già da un bel pezzo un’istituzione celebrata a colazione, a pranzo oppure durante spuntino mattutino o pomeridiano da tutti gli italiani: un vero e proprio cult che oggigiorno mette d’accordo i nostri connazionali di ogni generazione, a prescindere dalla posizione sociale, dalla professione o dalla latitudine di provenienza.
Anche il sake, inconfutabilmente bevanda colta ed elegante per le origini e rifermenti storico-culturali, possiede un’anima pop come quella dei salumi, capace di flettersi ed adattarsi a spuntini informali piuttosto che a taglieri pregiati per squisitissimi abbinamenti.
Prima di andare alla ricerca dell’armonia del gusto o di fare ragionamenti più complessi, senza lasciare che ci influenzino troppo, proprio per la natura del salume stesso di assumere consistenze e note sensoriali diversissime a seconda dei casi, bisogna specificare che carni suine, bovine ed equine, caprine ed ovine, danno vita assieme alle carni di selvaggina da piuma o da pelo ad un ventaglio di salumi incredibilmente vasto che poi va a differenziarsi ulteriormente a seconda di “texture”, percentuale di grassezza, tendenzadolce e speziatura, sapidità ed aromaticità, persistenza gusto-olfattiva, i tempi e le modalità di stagionatura e l’impiego gastronomico, per non parlare poi dell’alimentazione del bestiame e dell’effetto pedoclimatico dei luoghi di produzione. Inoltre sarebbe bene fare un’importante suddivisione tra salumi derivanti da pezzi anatomici interi e quelli preparati con carne tritata che vedono la seguente classificazione: quelli interi possono essere stagionati o meno, affumicati o meno e quindi crudi oppure cotti, mentre quelli tritati e generalmente insaccati possono essere freschi o stagionati, fermentati o meno, affumicati oppure no.
Il gioco degli abbinamenti per la ricerca dell’armonia tra il sake ed i salumi è sempre quello della concordanza e contrapposizione anche se bisognerà tenere conto che sono più gli elementi da concordare e che trovano naturalmente una reciproca sintonia che quelli da contrapporre: non dimentichiamo che il sake cede sempre il passo alla pietanza a cui lo si vuole far accompagnare.
Pertanto la stagionatura e la speziatura di un salume, caratteristiche che generalmente ne accrescono la complessità e la persistenza gusto olfattiva, richiederanno nel sake un compagno con altrettante caratteristiche, magari con un buon affinamento, che abbia una consistenza all’altezza e che ne assecondi la masticabilità; d’altro canto la grassezza, la succulenza indotta e la tendenza dolce delle eccellenze della salumeria vorranno un nihonshu che abbia rispettivamente una buona acidità, un sufficiente grado alcolico e secchezza, quindi sapidità, se non addirittura un piacevole sfondo umami.
Dunque i salumi si presentano in una moltitudine di forme, colori e profumi e troveranno nell’ampia famiglia dei sake artigianali di pregio innumerevoli possibilità di pairing.
Se un buon prosciutto cotto di Parma ed il lardo di Colonnata hanno in comune una certa delicatezza e tendenza dolce, è altrettanto vero che il secondo avrà dalla sua anche una piacevole grassezza con lieve speziatura, quindi in entrambi i casi potremmo ovviare sia ad un mite e sapido junmai ginjo che ad un junmai da antologia: nel primo caso il junmai ginjo potrà avere un gradiente di Sake Meter Value compreso tra il +3 ed il +5, mentre nel secondo potremmo alzare il tiro e puntare ad un junmai sake altrettanto delicato ma con un buon apporto di acidità ed un tocco aromatico, sicuramente più indicato a rimuovere la patina di grassezza del salume toscano. Il Lardo d’Arnad della Valle d’Aosta invece, totalmente diverso dal suo cugino toscano, necessita di altrettanta delicatezza, acidità ed aromaticità ma semplicemente per smorzare la sua irruenta e tipicissima sapidità: un junmai ginjo saprà dare ristoro al palato e prepararlo per un nuovo assaggio di questo particolare salume. La presenza di aminoacidi liberi, lisina e tirosina, in un prosciutto crudo di Modena di buona stagionatura, sono gli elementi che conferiscono la tanto amata tendenza dolce di questo salume che vede in un tokubetsu junmai un validissimo sake di accompagnamento, piuttosto che far ricadere la scelta su uno sparkling sake elegante ed equilibrato con buone note cerealicole, perfetto persino col salame di oca di Mortara e la cecina di León.
E col salame? Un momento però… si fa presto a dire salame, prendiamone due a caso come il salame felino ed il salame di varzi: il primo dal gusto prelibato e più semplice con un honjozo, ed il secondo, più speziato e complesso, con un daiginjo sake, d’altronde perfetto anche con lo speck altoatesino; con la finocchiona, il prosciutto cotto di pecora e con la soppressata di Gioi ci sono degli ottimi motivi per abbinarci un calice di tokubetsu honjozo. Infine, col prosciutto iberico bellota ed il culatello di Zibello, il violino di capra ed il prosciutto di Sauris, piuttosto che i grandi salumi di selvaggina come cervo o cinghiale, un sake koshu equilibrato, complesso e con un buon affinamento nei taru, piuttosto che una versione di genshu con piacevoli note tostate e di affumicato darebbero un validissimo contributo ad un tagliere di tale raffinata selezione.
Adesso mescolate bene tutti i suggerimenti che avete letto, prendete in considerazione anche il gioco di temperature con cui servire il sake e provatene di diverse tipologie, raccomandando al vostro salumiere di fiducia di avere sempre un tokkuri di buon nihonshu in serbo per voi, perché le regole che valgono davvero sono sempre le stesse: assaggiate sperimentando nuovi sapori, improvvisate senza perdere di vista il divertimento a tavola e abbinate tutto ciò che più vi aggrada per assecondare il vostro estro creativo ed il vostro gusto.
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