Questo mese parliamo di disoccupazione. Un tema che riprende in qualche modo il numero di novembre 2010, dove si parlava di Contratti atipici e vita precaria. Un anno fa il mercato del lavoro era in una situazione molto critica, anche a causa di contratti troppo flessibili che liberavano da ogni responsabilità le imprese. Oggi, non arrivano neanche i contratti precari, la realtà rasenta la disperazione, soprattutto per quanto riguarda le donne. Una situazione che tenderà, senza nessun dubbio, ad aggravarsi dopo le decisioni di diversi paesi dell’Unione europea: facilitare i licenziamenti per poter far respirare le imprese e le amministrazioni pubbliche, recuperare i debiti e ripartire, forse, tra due anni.
Questo quadro è ancora peggiore sulla sponda sud del Mediterraneo, causato dall’eccezionale aumento della popolazione, fenomeno unico al mondo e nella storia. Il numero di abitanti nei paesi che vanno dal Marocco all’Egitto, nel 2025 è destinata ad aumentare di quasi il doppio. Nel 2007 si contavano 300 milioni di abitanti nell’area MENA (Middle East – North Africa – gli Stati dell’area Nord Africana e del Medio Oriente (Maghreb, Maschrek, Penisola Arabica e fascia sub caucasica), ma secondo le previsioni nel 2025, la popolazione passerà a 524 milioni, mentre l’Europa è destinata a veder diminuire la propria popolazione del 25%. Ci sarà quindi un’emigrazione massiccia verso l’Europa per cercare lavoro.
Nei paesi della sponda sud del Mediterraneo, all’aumento della popolazione, non è seguito un aumento dei posti di lavoro, di sviluppo locale e nazionale, nnc’è stato un adeguamento dei servizi, delle strade, degli ospedali. Per la prima volta le campagne si sono svuotate per andare ad aumentare in modo massiccio la popolazione delle città. Nelle metropoli come Il Cairo si arriverà a contenere la metà dell’intera popolazione egiziana.
In Marocco costruiscono nuove città per ospitare i nuovi cittadini, si cerca di evitare le megalopoli che hanno mille problemi da risolvere, compreso quello fondamentale della disoccupazione. Nelle grandi città la disoccupazione diventa un problema sociale, si rischia continuamente l’esplosione di rivolte. Non solo nelle grandi città: in Tunisia è partito tutto da una piccola cittadina per poi allargarsi a tutto il Paese. La questione iniziale era anche la disoccupazione, e questa volta di persone qualificate, capaci di organizzarsi e creare massa critica.
E’ un problema che in Europa viviamo con una serie di ammortizzatori sociali, i quali non esistono nella sponda sud. Abbiamo ancora un margine di sopportazione, aiutati soprattutto dalle famiglie. Ma quanto durerà questa situazione umiliante? La rabbia e frustrazione che la mancanza di lavoro possono creare nei singoli e nelle masse, interessa ormai tutti i paesi europei. Da fenomeno personale sta diventando un fenomeno sociale, e pochi ne parlano con convinzione, e soprattutto nessuno attua soluzioni alternative.
E’ un problema, anzi il problema principale. Il lavoro da il sostentamento, ma anche dignità alla persona: ognuno di noi si riconosce nel proprio lavoro, anche quando non gli piace completamente. L’essere senza lavoro, dis-occupato, senza occupazione, fa pensare al non-essere, ad una parte mancante della persona. Senza occupazione non si è persone.
Oggi, come ieri, si viene “catalogati” per il mestiere che si fa. Non poter rispondere alla semplice domanda “Che lavoro fai?” a volte diventa una sofferenza: a livello personale e sociale insieme. “Non mi sento realizzato perché non ho lavoro, e allo stesso tempo non mi sento inserito nella società”. Questo è un pensiero costante nella testa dei giovani, e meno giovani.
Per monitorare i poveri e i disoccupati esistono delle formule che lo Stato adotta per stabilire un numero esatto. Questo controllo è molto utile per poter analizzare la situazione, ma anche per la comunicazione politica. Per essere dichiarati disoccupati (e quindi avere diritto al sussidio di disoccupazione), non si devono guadagnare all’anno più di 4.800 euro lordi da libero professionista, e non più di 8000 lordi da dipendente, ma questa cifra deve essere guadagnata in sei mesi. Ci si chiede come si possa vivere con questo budget. E’ ovvio che queste cifre, come quelle fornite dall’Istat per calcolare la soglia di povertà, sono falsate. In questo modo risultano meno disoccupati e meno persone che vivono sotto la soglia di povertà. Il governo di turno non fa mai brutta figura.
Cerchiamo, quando possibile, di vedere l’aspetto positivo della disoccupazione. Ossia darsi un’altra possibilità, ri-creare le condizioni per una nuova vita lavorativa. Il messaggio è quello di non aspettare sempre la soluzione dalle Istituzioni, ma perlomeno avere dalle stesse i diritti fondamentali, quelli acquisiti pagando le tasse.
Buona lettura