
Uno dei tanti villaggi arroccati sui picchi dell’Appennino Abruzzese è diverso dagli altri. Nonostante tutti gli abitanti di Cocullo non basterebbero a riempire la sua piazza, ogni anno la festa dei Serpari attira per un giorno grandi media internazionali e decine di migliaia di persone da tutto il mondo.
Foto e testo di Piero Castellano
È la “Festa dei Serpàri,” famosa per il particolare omaggio degli abitanti al Santo patrono, San Domenico di Sora: la statua del Santo viene rivestita di serpenti vivi, catturati nelle settimane precedenti, e così sfila in processione per le strade del borgo medievale.
È un rituale primordiale che si ripete sempre uguale da almeno mille anni, ma una volta, pochi anni fa, il rito incluse un altro omaggio, di cui pochi colsero il significato.

Quando la statua dell’Abate benedettino uscì dalla chiesa e fu deposta sul sagrato, i serpàri che aspettavano con i loro serpenti tra le mani si voltarono verso una finestra e sollevarono i serpenti verso le due persone affacciate. Poi, tornando al rito, le deposero sulla statua e la cerimonia proseguì.
Solo gli abitanti del paese e le due persone alla finestra, commosse e onorate, poterono comprendere: era il ringraziamento ai due studiosi che hanno contribuito a salvare la Festa di San Domenico e l’identità del villaggio.
La fama e l’interessamento mediatico per la cosiddetta “Festa dei Serpàri” si concentrano sui suoi aspetti più esotici, la cattura e la manipolazione dei serpenti, trascurando un elemento decisivo: a causa della estrema importanza dell’erpetofauna per la biodiversità e l’equilibrio biologico, la cattura e la detenzione di serpenti selvatici sono severamente vietate in Italia, come in tutta Europa. La “Direttiva Habitat,” recepita in Italia dal DPR 357/97, avrebbe sancito la fine della festa dei serpàri.
Ma grazie all’idea di due erpetologi, il rituale di Cocullo è diventato un progetto sperimentale che unisce tradizioni popolari e studi scientifici, trasformando una usanza potenzialmente distruttiva in un evento di conservazione e divulgazione.
Per molti anni, dopo l’entrata in vigore delle leggi di protezione, il rituale venne ancora praticato, grazie a deroghe e a qualche distrazione, in una zona grigia di dubbia legalità, sotto la spada di Damocle dell’applicazione della legge.
Nella primavera del 2006, mentre conduceva uno studio in una riserva naturale della zona, un erpetologo incontrò alcuni serpàri in cerca di animali da catturare per la festa. La loro dimestichezza con i serpenti lo sorprese: “Ero abituato alla repulsione e al disgusto suscitati dai luoghi comuni sui serpenti. Mi sarei aspettato che i serpàri si comportassero da cacciatori,” ricorda il dr. Gianpaolo Montinaro. “Al contrario, la loro conoscenza e il rispetto per gli ofidi mi diedero l’idea di considerare la festa un’opportunità per studiare e proteggere l’erpetofauna locale.”
Gianpaolo ricordò di aver conosciuto ad una conferenza uno studioso romano di fama internazionale. Lo contattò e gli espose l’idea. Il dr. Ernesto Filippi, uno dei massimi esperti in Italia di ecologia e conservazione dei serpenti, si rivelò una persona semplice ed estremamente disponibile. Gianpaolo lo convinse facilmente e insieme prepararono una bozza di progetto. Con la collaborazione del Comune di Cocullo, proposero alle autorità di trasformare la cattura annuale dei serpenti in uno studio scientifico.
La proposta fu approvata e dopo alcuni ritardi dovuti a eventi esterni, compreso il disastroso terremoto del 2009, il monitoraggio dei serpenti catturati per la Festa di San Domenico iniziò ufficialmente nel 2010.
Le condizioni per ottenere la deroga alle leggi di protezione che consenta le catture sono rigorose, ma furono introdotte senza intoppi: “Non ci fu quasi bisogno di alterare il rituale di cattura”, spiega il dr. Montinaro. “Come dalla filastrocca locale, ‘San Giuseppe, la prima serpe’, i serpàri sono autorizzati a catturare serpenti solo tra il 19 marzo e il 30 aprile, e devono annotare su una scheda data, ora e luogo del ritrovamento.”











Gli erpetologi controllano le condizioni in cui vengono tenuti i serpenti prima della festa e si assicurano che i serpàri autorizzati catturino i rettili senza causare sofferenze o stress inutili. È obbligatorio dichiarare la cattura agli erpetologi e rilasciare i serpenti dopo la festa nello stesso luogo in cui sono stati catturati.
Nonostante un’iniziale diffidenza e qualche inevitabile mugugno, le regole sono rispettate: la consapevolezza che il futuro della festa dipende dal successo della conservazione è il migliore incentivo.
“Il nostro primo approccio è stato amichevole e rispettoso: abbiamo chiarito che il nostro ruolo era raccogliere informazioni e quindi anche imparare dai serpàri, non imporre regole dall’alto”, sottolinea Ernesto Filippi.
E così il monitoraggio entrò a far parte dei rituali che precedono la festa: qualche giorno prima della processione, i serpàri portano i loro animali al team scientifico. Una stanza del municipio diventa il quartier generale degli erpetologi. Serpàri di ogni età attendono pazientemente in fila con i serpenti che hanno trovato nelle loro borse di tela, e gli scienziati controllano i rettili uno per uno, aggiungendo alle schede con i dati della cattura informazioni come lunghezza, peso, stato di salute ed eventuali segni particolari.
Il team di erpetologi include un veterinario, il Dr. Pasqualino Piro, che controlla i serpenti per ferite o malattie e li cura se necessario.

Uno dei suoi compiti più importanti è inserire un microchip elettronico sotto la pelle dei serpenti: in questo modo è possibile identificare gli esemplari ricatturati negli anni successivi e monitorarne crescita, stato di salute e spostamenti.
“In quasi la metà dei casi, ogni anno, ci vengono portati animali che erano già stati catturati in passato,” racconta Gianpaolo Montinaro. “Mentre alcuni esemplari vengono catturati praticamente ogni anno, altri sono molto più elusivi e certe volte vengono ricatturati a distanza di 5-6 anni. Nel 2019 ci è stato portato un esemplare marcato nel 2010 quando era già adulto. È ragionevole pensare che si trattasse di un serpente di una quindicina di anni d´età.”
Oltre ai preziosi dati sulla vita e la salute dei serpenti, le ricatture, quasi sempre negli stessi posti, provano che almeno in buona parte dei casi lo stress del periodo in cattività e la partecipazione alla festa influiscono minimamente sulla salute e le abitudini degli ofidi.
“Studi non correlati al nostro monitoraggio hanno rilevato uno spostamento temporale della riproduzione degli animali catturati per la festa, che però non altera la qualità della riproduzione stessa.”
Ogni anno vengono catturati tra i 100 e 130 serpenti, ma nel 2024, dopo un inverno particolarmente freddo e lungo, si superarono i 150 serpenti catturati, monitorati, chippati e rilasciati, in maggioranza cervoni [Elaphe quatuorlineata] usati per la “vestizione” della statua, ma anche altre specie:
“Abbiamo imparato che nell’area di Cocullo ci sono sette specie di serpenti, oltre al cervone. Questi sono il biacco [Hierophis viridiflavus], il saettone [Zamenis longissima], la natrice dal collare [Natrix natrix], la natrice tassellata [Natrix tessellata], il colubro di Riccioli [Coronella girondica], il colubro liscio [Coronella austriaca] e la vipera [Vipera aspis]”, spiega Gianpaolo Montinaro. “In 12 anni, almeno un individuo di ciascuna specie è stato trovato e debitamente portato al nostro team, tranne la vipera, che essendo un serpente velenoso non può essere catturata o esibita.”
Col passare degli anni, la diffidenza iniziale è scomparsa, e gli scienziati hanno lentamente conquistato la fiducia dei serpàri.
“Credo che la pazienza che abbiamo avuto nel comunicare le nostre intenzioni sia stata apprezzata e che il fatto che l´obiettivo comune fosse la conservazione dei serpenti abbia coinvolto l´intera comunità,” riflette Gianpaolo Montinaro. “Ricordando le riunioni del 2007, mi viene in mente il senso di unità dei serpari che avevo di fronte. Vederli aprirsi verso di noi col passare del tempo è un qualcosa di prezioso che porterò sempre con me.”
Quando i due erpetologi, esausti da tre giorni di monitoraggio senza sosta da mattina a sera, si affacciarono alla finestra per assistere alla festa e furono sorpresi dall’omaggio dei serpàri, si commossero entrambi.
“Non ce lo aspettavamo, sapevamo di avere un buon rapporto con loro e con la comunità, ma in quel momento capimmo che il nostro obiettivo, quello di unire le forze per la conservazione sia dei serpenti che della tradizione, era stato raggiunto, e i nostri sforzi compresi.”
La comprensione dei serpari non è stata l’unica soddisfazione per gli studiosi: negli ultimi anni il monitoraggio di Cocullo si è allargato ad altri scienziati e progetti di ricerca.
Nel 2022, con l’erpetologo Daniele Marini, è stata accertata l’assenza di un fungo patogeno, Ophidiomyces ophiodiicola (OOph) che sta devastando altre popolazioni di serpenti. Poi la collaborazione con il professor Jairo Mendoza Roldan del Dipartimento Di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari ha studiato la presenza di parassiti, che purtroppo con inverni sempre più caldi è diventata frequente. E sempre con il professor Mendoza, nel 2024, alcuni cervoni di Cocullo sono stati dotati di chip di localizzazione nell’ambito del Progetto ICARUS (International Cooperation for Animal Research Using Space) del prestigioso Max Planck Institut.
Purtroppo, come spesso succede, alla crescente attenzione scientifica non corrisponde un aumento dei finanziamenti.
“Il progetto sopravvive solo grazie alla generosità del comune di Cocullo”, avverte Gianpaolo Montinaro. “ma stiamo parlando di un villaggio di appena 150 abitanti.” Fortunatamente, uno sponsor tedesco, RIFCON, dona ogni anno terrari che ospitino i serpenti nel migliore dei modi. RIFCON fornisce anche i cruciali microchip, mentre i test veterinari sono offerti dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “Giuseppe Caporale”.
Per il resto, il team scientifico è composto da volontari, ma nonostante il lungo e spesso estenuante lavoro di monitoraggio, l’atmosfera della festa contagia tutti: Ernesto Filippi, che durante il resto dell’anno è un distinto studioso un po’ introverso, solleva il morale con scoppi di irrefrenabile ilarità, mentre Gianpaolo Montinaro, che vive e lavora in Germania, è diventato un devoto appassionato della straordinaria tradizione gastronomica abruzzese: corre voce nel villaggio che si sia fatto installare un frigo portatile in macchina per portarsi a casa le scorte di prodotti tipici che compra a Cocullo, proprio come i tanti Cocullesi figli di emigranti che ritornano ogni anno per la festa.
La protezione dei serpenti e la sopravvivenza della tradizione non avrebbero lo stesso significato senza la conservazione dell’identità del paese, che una volta all’anno si esprime con il culto di San Domenico e il rito dei serpari: l’Italia non sarebbe la stessa senza i suoi piccoli borghi, spesso impoveriti, semispopolati, isolati ma che continuano ostinatamente a esistere, arroccati intorno alle loro tradizioni popolari.
“Centinaia di antichi rituali sopravvivono in Italia come tradizioni locali”, dice Gianpaolo Montinaro, “Speriamo che il nostro lavoro a Cocullo dimostrerà che ogni caso dovrebbe essere accuratamente valutato come un’opportunità per studiare, proteggere e imparare.”