Era l’anno del Signore 1630 e Venezia lottava contro la peste. Perchè oltre a spezie e sete, le navi che raggiungevano la Serenissima trasportavano anche i ratti, portatori del morbo.
La città era isolata, e i pochi sopravvissuti lottavano anche contro la fame, perché nessuno dei paesi confinanti osava superare il cordone di isolamento. Ai veneziani vennero in aiuto solo i Dalmati. Una loro nave trasportava carne di montone castrato, salato, affumicato e seccato, con aggiunta di chiodi di garofano e spezie, affinché nei lunghi viaggi per mare non si deteriorasse o diventasse preda dei topi famelici. Nelle stive si trovavano anche grandi quantitativi di verze, e queste furono le uniche provviste di cui i veneziani disposero per resistere alla peste e alla fame. La necessità e l’ingegno, insieme allo spirito di sopravvivenza, riuscirono a trasformare questi due ingredienti in un cibo gustoso, e i veneziani, debellato finalmente il morbo con l’aiuto della Madonna da loro invocata, promisero di non dimenticare, per tutte le generazioni a venire.
Alla Madonna, che aveva ridato loro la salute, promisero solennemente di erigere una grande chiesa e di festeggiarla ogni anno con una grande festa. Per ricordare i mesi di fame, in cui solo castrato di montone e verze li avevano sostentati, decisero di ritualizzarne il consumo nel giorno che commemora da allora in poi la loro miracolosa salvezza.
L’architetto Baldassare Longhena impiegò vari decenni per la costruzione del santuario, imponente e magnifico, che il doge dell’epoca inaugurò il 21 novembre, giorno che commemora la presentazione di Maria bambina al tempio. Da allora la festa della Maria della Salute è, insieme alla festa del Redentore, celebrata il terzo fine settimana di luglio, una delle feste più tipicamente veneziane e tra le più sentite tra la popolazione. Giovani e vecchi, credenti e scettici, tutti trovano il tempo per fare omaggio alla loro protettrice.
Già dal giorno prima e fino al giorno dopo, viene eretto un ponte mobile che poggia su zattere, e che collega Santa Maria della Salute con Santa Maria del Giglio attraversando Canal Grande, per permettere, in aggiunta al servizio traghetti che viene intensificato, un più rapido accesso dei fedeli. E fedeli lo sono un po’ tutti. Mentre mi trovavo sul vaporetto che mi conduceva alla chiesa, tutti pigiati l’uno contro l’altro, non ho potuto evitare di ascoltare la conversazione al cellulare di un veneziano, che diceva tra l’altro:” Te sé. Prima dò un saludin a la Madona, e po’ vado a lavorar”.
Davanti alla chiesa banchetti eretti fin dalla sera prima vendono candele votive da accendere in chiesa, per chiedere un favore, un’attenzione, un intervento benevolo. La Madonna della Salute è potente e lo ha dimostrato più di una volta. Quest’anno purtroppo pioveva a dirotto, già dalla sera prima piazza San Marco era allagata e le pedane per camminare nonostante l’acqua alta erano già allestite, si prevedeva un innalzamento del livello dell’acqua di 120 cm. Ma ci vuole ben altro per fermare i veneziani e a frotte, in massa, sono venuti anche quest’anno a fare un salutino alla Madonna, la loro salvatrice.
La Castradina
E poiché ogni festa va celebrata anche a tavola, circa una settimana prima i macellai di Venezia espongono cartelli dove si annuncia la vendita del castrato di montone. Dopo di che le possibilità sono solo due: o la si prepara in casa o la si mangia fuori, nei locali tipici, come “Ai Assassini, o al” Vecio Fritolin”, per citarne solo due, ma in realtà la Castradina è presente un po’ ovunque nella carta del giorno. Se invece si consuma in casa, bisogna iniziare con la preparazione già qualche giorno prima, perché la carne va dissalata. Si tratta di una zuppa con carne o di un piatto di carne brodoso, la consistenza la decidete voi. È scelta personale anche la grandezza dei pezzi di carne, possono essere quadrati grandi come nel gulasch o sfilacciature di carne, e anche la quantità di verze può variare. Ma se volete rimanere fedeli alla ricetta originaria, ricordatevi che quelli non erano tempi per scialare, e probabilmente era più una zuppa brodosa con tanta verdura e poca carne, per conservare il più a lungo le provviste e resistere alla fame in quei lunghi diciotto mesi.
Qui di seguito la ricetta come viene tramandata nella cucina veneziana.
Lavare e bollire la carne di castrato salato, affumicato e seccato al sole per tre volte, cambiando l’acqua della bollitura ogni volta e conservando l’acqua dell’ultima bollitura. Soffriggere una cipolla nel burro e appassire le verze tagliate a striscioline sottili, cucinarle per circa 40 minuti, poi aggiungerle alla carne con il brodo e terminare la cottura. Aggiustare di sale, pepe e aromatizzare con timo.
Io ho provato la versione classica di Mara Martin, proprietaria e gran cuoca della Trattoria da Fiore, nella dependance condotta dal figlio Damiano, al Refolo. All’Oriental Bar del Metropole, invece, ho gustato la proposta dalla cucina di Corrado Fasolato, in una versione leggermente reinterpretata, che aveva pezzi di carne a fette più grandi, su un tortino di verze e triangolini di polenta bianca abbrustolita. Il brodo, denso e gustosissimo, veniva aggiunto all’ultimo momento.
La devozione dei veneziani ha conservato attraverso una ricetta il ricordo dell’evento storico, la gratitudine popolare ha salvato una tessera di cultura gastronomica dal dimenticatoio e dalla globalizzazione. Se la Castradina per i veneziani possiede un grande valore simbolico e non consumarla sembrerebbe come per gli italiani non avere il panettone a Natale, resta comunque un piatto della cucina povera, semplice, invernale, saporito e gustoso. E in una città umida come Venezia molto corroborante. E li farà stare sicuramente in buona salute.