La storia del formaggio ha origini antichissime e questo grande prodotto ha da sempre costituito nel metodo di lavorazione il miglior criterio per concentrare e preservare il grande patrimonio di nutrienti apportati dal latte.
La scoperta casuale del formaggio viene fatta risalire tra gli 8 ed i 10 mila anni fa se non di più, periodo in cui l’allevamento degli ovini era già accertato e durante il quale si suppone che dei cacciatori scoprirono nello stomaco delle loro prede del latte cagliato, facendo diventare la casualità un modello produttivo che sopravvive tutt’oggi a Nuoro col Callu de Crabettu, formaggio ricavato dal latte intero di capra. Dalla produzione dei primi formaggi in Mesopotamia a partire dal III millennio a.C, come testimonia un bassorilievo sumero, che ne descrive le fasi di lavorazione da parte dei sacerdoti e detto “Fregio della Latteria”, a quella del Kefir nel Caucaso che gli studi zoo-antropologici farebbero risalire all’Età del Bronzo, si evince che questo straordinario alimento accompagna da sempre la storia dell’uomo. Anche nell’antico Egitto vi era la consuetudine di produrre e consumare formaggio, soprattutto quello derivato dal latte di capra, ed alcuni anni fa è stata rinvenuta una traccia costituita da un blend di latte bovino, caprino ed ovino all’interno di un’anfora e risalente a circa 3200 anni fa; la scoperta è avvenuta a Saqqara e pare che quella che un tempo fu un’intera forma di formaggio facesse parte del corredo funerario ritrovato nella tomba di Ptahmes, sindaco di Tebe e ufficiale di alto rango durante i regni di Seti I e Ramses II… scoperte rese possibili grazie non solo ad un team italo-egiziano di archeologi ma anche agli studi proteomica.
Insomma le prove che testimoniano il know-how della caseificazione nel mondo antico sono sparse tanto in Europa, quanto in Africa che in Asia e certo non mancano i riferimenti scritti, due su tutti: la Bibbia e l’Odissea per esempio. Proprio nella mitologia greca è Aristeo, figlio di Apollo e Cirene, ad insegnare agli uomini l’apicoltura, la pastorizia e l’arte casearia. Inoltre, già nel IV secolo a.C., è Ippocrate a parlare per primo di proprietà salutistiche del formaggio, alimento consigliatissimo a quei tempi per gli atleti che si cimentavano nelle gare alle Olimpiadi… ed è qui che mi viene in mente che se gli sportivi di quell’epoca si fossero potuti rifocillare abbinando al formaggio una bevanda altrettanto salutare, fresca, gradevolmente acida e ricca di aminoacidi, non si sarebbero lamentati affatto, anzi…
Sapete di quale bevanda sto parlando? Ebbene sì, proprio il Sake…
Se è vero che il fermentato giapponese non litiga mai col cibo, potete stare pur certi che con qualsiasi tipo di formaggio vi presentiate in tavola ci andrà a nozze. Indipendentemente dalla tipologia di latte col quale si produce oppure in base alla consistenza della pasta, piuttosto che dalla sua crosta o stagionatura, il formaggio trova sempre un pairing ideale col sake.
Ma oltre a queste classificazioni ed alla miriade di profumi che il formaggio è in grado di sprigionare, stimolando il nostro olfatto, di cosa dovremmo tener conto per poterlo abbinare al meglio col Nihonshu?
In un gioco di concordanza e contrapposizione teso all’abbinamento più armonico ed equilibrato possibile col sake sono elementi come la grassezza, la tendenza acida, la sapidità, la tendenza amarognola, l’aromaticità, la tendenza dolce, l’intensità e la persistenza a dover essere tenuti in considerazione, senza tralasciare di ricordare che anche l’umami è un fattore determinante in alcuni tipi di formaggio.
La mozzarella di bufala campana, generalmente grassa, succulenta e con un inizio sapido a sottendere la tendenza dolce, si abbina perfettamente ad uno sparkling sake che, con il perlage unito ad una sufficiente acidità, deterge a sufficienza il palato dalla grassezza; ma se volessimo tenere in considerazione la tipica nota lattea, la succosità e la morbidezza della stessa perché non immaginare un junmai con un tagliente gusto salino, la giusta secchezza ed un sufficiente apporto di alcol? E un più accomodante namazake? Ricordiamo che l’alcol ha potere disidratante anche al palato e grazie ad esso ecco che la succulenza del latticino è subito tenuta a bada da questa proprietà del fermentato di cui tener conto, misurandone il giusto apporto; in linea di massima tutti i formaggi che denotano cremosità, quali ad esempio robiola, bocconcini di panna, tomino, fior di latte e squacquerone, possono vedere tale identica caratteristica nei profumi e nella tonda morbidezza di un honjozo, evidenti sentori lattici a livello olfattivo che, uniti ad una piacevole freschezza ed una calibrata e tenue percezione di umami, completano armonicamente il quadro.
Con formaggi a media stagionatura come l’emmenthal, l’asiago ed un buon caciocavallo potremmo sicuramente abbinare sake con un buon apporto di morbidezza e di media struttura, ingentilendo quindi l’eventuale apporto di sapidità di questi formaggi con una tendenza moderatamente dolce, ascrivibile a molti junmai ginjo ad esempio, oppure un tokubetsu junmai non troppo delicato. Nella misura in cui saliamo di struttura ed i profumi stessi del formaggio diventano via via più insistenti e pungenti perché non immaginare di allentare la morsa olfattiva col floreale stesso di un daiginjo di per sé più lunghi in persistenza e piacevolissimi da sorseggiare tanto col grana padano che col bitto, piuttosto che con del monte veronese?
Chiaramente man mano che si sale in struttura e persistenza, elementi che nei formaggi dipendono molto anche dalla stagionatura, provvederemo equamente a salire di livello ed in persistenza aromatica intensa anche col sake, scegliendo di concordare l’umami di un parmigiano reggiano stagionato 36 mesi o di un canestrato di Moliterno con quello di alcuni tipi di genshu, ma non è detto che si debba sovraccaricare sempre il palato perseguendo per forza la via del saporito col saporito, anche un kimoto con piacevoli note lattiche, cerealicole e di buona aromaticità può conferire grandi emozioni.
Infine potremmo immaginare sul pane pistoccu spalmato con del casu marzu, piuttosto che con dei grandi erborinati come il gorgonzola, il roquefort e lo stilton blue cheese, un sake da invecchiamento come alcuni daiginjo koshu oppure un opulento genshu con un sake meter value che vira verso la morbidezza… l’abbinamento in tal caso si farebbe davvero interessante, ma se scegliessimo poi un umeshu il match sarebbe addirittura godurioso ed intrigante.
Insomma osservare che la texture del formaggio vada di pari passo col seimai buai del sake che vi abbiniamo e che le temperature di servizio del formaggio, generalmente tra i 15 ed i 20°, siano altrettanto da tenere in considerazione è importante, ma più importante ancora è divertirsi assaporando l’esperienza di quanto il sake amplifichi il gusto del formaggio stesso e sperimentare nuove esperienze sensoriali.
Per info su percorsi didattici sul sake giapponese: https://firenzesake.com/percorsi/