La leggenda del santo bevitore
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Strana storia quella di Joseph Roth, una storiella piccola, leggerla sembra quasi un intermezzo stropicciato fra grandi storie. E’ lieve e sa di una poesia un po’ ruvida. Il protagonista, Andreas Kartak è uno che di occasioni perdute ne sa qualcosa. Lo troviamo presente e un po’ altalenante nella prima pagina. Non è un tipo particolare. Bevitore, senza dimora, lo si potrebbe confondere con mille altri suoi compagni di sventura. L’attenzione si focalizza su di lui e di lui conosciamo meglio i pensieri quando apparentemente per caso un uomo distinto per estinguere un voto ad una santa decide di regalargli duecento franchi. Il primo problema che Andreas si pone è quello di come poter rendere questi soldi. Si definisce un uomo d’onore e mai potrebbe accettarli senza l’assicurazione di poterli rendere. La condizione è che appena il barbone riabbia in mano la somma la offra in dono a Santa Teresa di Lisieux, in una chiesa di Parigi.

E’ qui che inizia la storia di tante occasioni perse. Sì perché pare che questa fortuna capitatagli sia anche l’inizio di una spirale che porterà con sé altre sorprese ma anche tanti piccoli dolori. Andreas pare rinfrancato dalla fortuna di aver trovato un modo per vivere, seppure per qualche giorno, dignitosamente, e questa sua ‘rinascita’ lo porta ad essere sfiorato da altre occasioni. La prima delle quali gli rimette in mano altri duecento franchi dopo che lui aveva sperperato i primi. Da qui la decisione di portarli subito alla Santa, ma come previsto dal lettore la volontà è debole se le occasioni di bere e di spendere sono così vicine, così allettanti. Andreas perde l’occasione per rendere i soldi perché arriva tardi in chiesa e piuttosto che aspettare nuovamente la messa alla fine della quale può lasciare i soldi al prete, decide di entrare in una trattoria.

Questa scena dell’arrivo in ritardo e della sua sosta a bere si ripete più volte. Mancando l’occasione di rendere i soldi e in qualche modo di redimersi, Andreas incontra una girandola di personaggi. Molti appartengono al suo passato, la donna per cui ha ucciso ed è finito in prigione, un suo amico d’infanzia diventato un famoso sportivo, qualcuno che gli offre lavoro, altri che lo derubano senza che lui se ne accorga. In ogni persona c’è la possibilità che qualcosa di buono avvenga, amore, amicizia, soldi. E puntualmente avviene tutto, lasciando credere che il protrarsi del suo debito sia premiato con altri soldi, altre esperienze.

E’ un po’ controverso il significato che Roth vuole dare alla storia. Una sorta di fede nei miracoli e una fiducia nelle occasioni. Guardare sempre la giornata che inizia come possibile portatrice di qualcosa di buono, di offerte inaspettate, amicizie recuperate. Amori che paiono impossibili e che si palesano quando meno ci si aspetta. Probabilmente è questo ciò che colpisce nel racconto. L’estrema fiducia nel domani, nella Possibilità. E più il personaggio tenta di estinguere il debito più fallisce, perdendo l’occasione per farlo. Ma da questo non arrivano terribili danni, bensì altre possibilità di guadagno, di condivisione. Non aver reso i soldi lo ha messo di fronte alla possibilità di guardare in faccia la sua realtà, di capire chi valeva la pena frequentare, chi lasciarsi alle spalle. Aver tenuto per sé i soldi lo ha reso più forte e più sicuro e da questo atteggiamento la visione del mondo è cambiata.

Senza svelare il finale del racconto si può dire che le occasioni non prese non sempre portano sconfitta. Non è la condizione di uomo che “ce l’ha fatta” a rendere una persona migliore ma è il continuo tentare, la volontà di credere di potercela fare, anche fallendo, anche cadendo. Rialzarsi dalle giornate nere, affacciarsi al mondo, la mattina, sapendo che se ieri abbiamo fallito oggi è un nuovo giorno e ci tentiamo comunque. Da qui i miracoli possono accadere. Può accadere che un uomo dedito all’alcool scopra la tenerezza, che un cuore reso sordo dalla vita di strada, riconosca il bene dal male. Che l’onore non abbia casa pulita e abiti nuovi, ma possa risiedere anche laddove nessuno osa sperare esista.

La figura di Andreas durante il racconto pare iniziare a brillare di luce propria, il suo percorso personale lo distingue dagli altri, lo rende unico. E se anche per la società non è niente di più che un barbone, noi ne conosciamo la sostanza e la differenza con tutti gli altri. Non è un caso che la sua storia comprenda un omicidio, l’autore ci vuole far partire dal più profondo dei delitti, da quello che è il nero più nero per portarci ad avere una visione più ampia trasformando il protagonista se non in un santo in senso stretto, in una persona che ha vissuto sbagliando e cercando di riparare agli errori commessi. Non è un caso che la sua ascesa inizi proprio con l’occasione di dover rendere i soldi. Pur non riuscendoci il suo scopo diventa qualcosa di buono, qualcosa per cui valga la pena vivere perché per attuarlo sa che tutto potrebbe accadere e che una forza potente come quella divina può essere dalla sua parte. Non è riuscire nell’intento che ci migliora, ma avere davanti a noi la possibilità di un’occasione, la fiducia di uno sconosciuto che ci prospetta una trasformazione positiva.

Inutile dire che il personaggio è una sorta di alter ego dello scrittore. Stesse origini, stesso deleterio vizio che lo lega all’alcool. Una lucida visione del genere umano. Non è a caso che nell’edizione del racconto in mio possesso venga affiancato un disegno autografo dell’autore che lo ritrae vicino a un paio di bicchieri con la didascalia scritta di suo pugno: Ecco ciò che sono, cattivo, sbronzo, ma in gamba.

Tentare, sempre. Considerare che se qualche incrocio si perde (o ci si perde in esso) non significa fallire, ma avere la possibilità di ritentare. Prendere ciò che di buono ci regala la vita e quando non ci si riesce avere fiducia nel futuro, nelle altre possibilità. Guardare il mondo come se stesse schiudendo sempre qualcosa di buono per noi, restando pronti e non fermandoci mai.

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