La pandemia del Covid-19 ha modificato anche l’uso della lingua italiana, nei media come nelle conversazioni quotidiane. Secondo Daniele Baglioni professore di Linguistica italiana all’Università Ca’ Foscari Venezia: “La lingua cambia lentamente, speriamo di poter dimenticare presto le parole dell’emergenza sanitaria”
L’entusiasmo non sarà più tanto ‘contagioso’, ma dimenticheremo i ‘congiunti’. La pandemia del Covid-19 ha modificato anche l’uso della lingua italiana, nei media come nelle conversazioni quotidiane. Ma quanto di questo cambiamento lascerà un segno anche al termine dell’emergenza sanitaria?
“La lingua cambia molto lentamente – spiega Daniele Baglioni, professore di Linguistica italiana all’Università Ca’ Foscari Venezia – Le modifiche comportate dall’epidemia viaggiano con l’epidemia. Possiamo quindi augurarci che molte delle parole che usiamo in questi giorni spariscano o diventino un lontano ricordo”.
Congiunti
“I ‘congiunti’ sono stati tra le cose più divertenti dal punto di vista lessicale, perché è un termine deliberatamente vago, usato nel celebre decreto proprio perché si prestava a un’interpretazione non univoca: se si fosse usato ‘famigliari’ oppure ‘parenti’ si sarebbero automaticamente esclusi quelli che poi sono stati recuperati come affetti stabili”.
Contagio, virus e virale
“Parole come ‘contagio’, ‘virus’ e ‘virale’, e anche ‘pandemia’ molto spesso prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria venivano usate prevalentemente con significato figurato. – spiega Baglioni – Ricordo un’intervista in cui Ezio Bosso, non molto tempo fa, diceva «Il nostro entusiasmo diventa un contagio». Addirittura, si augurava «una pandemia di voglia di fare». Oggi usi simili sarebbero tabù, sicuramente malvisti. Prova ne è che ai primi di marzo di quest’anno veniva pubblicata una pubblicità delle stazioni sciistiche di Bormio e Livigno – che nelle intenzioni era assolutamente innocente –, il cui testo recitava «Vivi la montagna a pieni polmoni: c’è una zona bianca dove stare bene è contagioso». Questa pubblicità ha suscitato subito indignazione da parte dei lettori, proprio perché si riteneva non fosse proponibile in un periodo in cui l’emergenza coronavirus era appena scoppiata”.
Il governo del ‘tu’
“Nella lingua delle istituzioni abbiamo visto tendenze che non esistono da oggi, ma che forse si sono acuite”, rileva Baglioni. Da un lato c’è il recupero di termini desueti, come congiunti e assembramento, che fanno effetto ‘antico’ e sono state scelte perché non si prestavano a identificazioni con referenti ben noti al destinatario del messaggio. “Quando si è parlato di assembramento al posto di affollamento, folla, riunione, lo si è fatto per indicare una concentrazione di persone anche non intenzionale e perché il numero di persone che produce assembramento è indefinito. Queste parole desuete sono state scelte, quindi, perché si prestavano a una risemantizzazione”, spiega.
Dall’altro abbiamo una comunicazione istituzionale che ha ammiccato molto alla comunicazione pubblicitaria e a quella sui social. “Il primo decreto era stato nominato ‘Io resto a casa’, diventato subito dopo uno slogan e un hashtag. – ricorda Daniele Baglioni – Ed effettivamente è stata una scelta di immediatezza comunicativa che però ha molto appiattito i piani della comunicazione. E con l’avvio della fase 2 mi ha molto sorpreso che il Presidente del Consiglio, che è per formazione molto rispettoso degli aspetti della comunicazione istituzionale, affinché il suo messaggio arrivasse nella maniera più veloce e meno fraintendibile possibile, si è rivolto alla cittadinanza usando il tu: ‘Se ami l’Italia, mantieni le distanze’. Questo è qualcosa di inedito, che non ci si aspetterebbe da un discorso istituzionale, in cui l’aspetto informativo dovrebbe prevalere su quello persuasivo”.
Inglese quanto basta
Il docente cafoscarino non vede un’influenza eccessiva dell’inglese nella lingua della pandemia. Parole molto usate come lockdown, smartworking, home working, home schooling “erano preesistenti e fanno riferimento a pratiche e protocolli che sono stati sviluppati soprattutto in ambiente angloamericano”. Non stupisce, quindi, il loro prestito: “Un conto è dire lockdown, un conto serrata, come pure è stato proposto, usando parole che fanno pensare a momenti storici diversi”.
Almeno in un caso, invece, l’italiano ha prevalso sull’originale inglese. È il caso del ‘distanziamento sociale’, in cui ha prevalso l’adattamento. “Non mi sembra che ci possiamo lamentare di una eccessiva influenza dell’inglese – conclude Baglioni – Va anche considerato che le istituzioni in quei momenti d’emergenza avevano di meglio da fare che non cercare traducenti adeguati per ciascun termine inglese”.
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