La lotta greco-romana, una disciplina la cui origine si perde nelle origini dell’uomo, è oggi una disciplina sportiva che vede come obiettivo le Olimpiadi. Di derivazione tutta mediterranea la lotta vede competere le nazioni più forti al mondo in duelli sottesi tra prove di forza, arti marziali ed equilibrio psicofisico.
La lotta greca, brutale e spietata, che affiancò la corsa nelle competizioni olimpiche dal 708 a. C. divenne la disciplina principale dei Giochi. L’antica Roma ne eliminò gli aspetti più crudi a favore di un approccio orientato alla formazione psicofisica dei cittadini e dei soldati.
Uno sport che, inserito nelle Olimpiadi moderne dal Barone De Coubertin, conta ancora oggi migliaia di atleti nel mondo, pochissimi in Italia, ma di classe infinita tanto da raggiungere la meta più ambita: il trionfo olimpico. Le palestre di lotta in Italia vedono gli atleti iscritti in diminuzione, una controtendenza, rispetto al boom del fitness.
Andrea Minguzzi, classe 1982 in forza alle Fiamme Oro, lottatore fin dalla più tenera età è stato oro olimpico a Pechino nel 2008. Un eroe moderno, come il mitico Milone dell’antichità, che è riuscito nell’ “impresa della vita”. Una vita di sacrifici in nome dello sport più puro, col sogno più grande coronato dall’alloro più prezioso. Andrea racconta la sua esperienza e traccia un quadro della situazione italiana di questa storica disciplina.
Come hai iniziato a praticare la lotta?
Da piccolissimo perché mio padre era allenatore di lotta nella periferia di Imola. Ho iniziato a 5-6 anni e le prime gare a 7.
Come vedevi gli altri bambini e ragazzi che praticavano sport ritenuti più popolari come il calcio?
In casa mia si è sempre fatta la lotta, per me era uno sport popolare sin da piccolo. Fare la lotta era normale. In quei tempi c’era Maenza che vinceva le Olimpiadi, la lotta aveva visibilità. In Italia la lotta si fa in Romagna. Mi sono accorto da grande che non era molto popolare in Italia.
Se non fosse stato tuo padre a indirizzarti avresti sognato un altro sport?
Forse si, mia madre giocava a pallavolo in serie B e doveva andare in A quando sono nato io. La lotta non si fa in Italia, se non fosse stato per mio padre forse non l’avrei conosciuta.
Cosa vuol dire in Italia praticare uno sport poco popolare. Che situazione vivono gli sport come il tuo?
Non ci sono soldi, ci sono pochi fondi. Quando anche uno diventa campione non ci sono budget come per il nuoto o il calcio. La lotta non è come l’atletica che puoi praticarla da solo e in Italia i lottatori sono pochi. Se vuoi salire di livello devi andare all’estero ad allenarti.
Nella tua disciplina il fine è quello olimpico, pensi che la lotta possa avere sbocchi nel mercato del fitness come incentivo per ripopolare le palestre dove si pratica questo sport?
Magari non la lotta intesa come olimpica, forse con qualche modifica. Se mi viene l’idea giusta divento ricco. A parte gli scherzi la lotta potrebbe essere utile nell’età giovanile per l’apprendimento motorio.
Cosa tiene in vita oggi la lotta? Quale la motivazione dei pochi che ci credono e la praticano?
La lotta in Italia non si fa, ma nel mondo si fa tantissimo. In America e Russia si pratica tantissimo. La lotta nel mondo ha moltissimi iscritti. La cosa che la tiene in vita è l’Olimpiade e tutto ciò che ruota intorno all’Olimpiade stessa. In tanti paesi i ministeri investono nella lotta giovanile in quanto sport olimpico. Nella lotta non c’è nessuna gara, neanche il mondiale, che abbia lo stesso valore dell’Olimpiade che è la gara che conta, il sogno della vita.
Che differenze con altri sporta da combattimento o con le arti marziali? Quale filosofia ti guida e ti ispira?
La lotta è una borderline con le arti marziali. E’ uno sport da combattimento dove devi prendere il controllo dell’avversario, ma non vai a ledere il suo corpo cercando il KO o usando leve. La lotta è uno sport di controlli, devi controllare l’avversario e bloccarlo a terra. La lotta è lo spirito antico delle Olimpiadi, un po’ come la maratona, è tra gli sport cardine della storia dell’uomo. E’ un’entità antica con poco marketing, l’atleta non cerca di mettersi in evidenza.
Cosa vuol dire partecipare alle Olimpiadi? Cosa vuol dire vincerle?
E’ la gara per eccellenza. E’ difficile parteciparvi. 20-30 anni fa bastava che andasse la tua nazione, oggi la selezione è durissima. Molti hanno vinto il mondiale, ma non si sono qualificati. L’Italia porta 1 o 2 atleti tra lotta libera e lotta greco-romana.
Vincere l’Olimpiade è il massimo che uno può fare, è il sogno di una vita sportiva.
L’emozione della vittoria è descrivibile? Ripensi a quella vittoria? Ti ha cambiato la vita?
La vita è cambiata perché è successo qualcosa di importante. E’ un’emozione forte che ti cambia la vita, ma non dal punto di vista economico. E’ il sogno che avevo da quando ero bambino e l’ho realizzato. E’ una cosa che gli altri non hanno fatto.
Quale il sacrificio più grande?
L’atleta conduce una vita di sacrifici. Negli sport da combattimento il calo peso, star fuori casa, l’allenarsi tutto l’anno fuori. Però quando fai una cosa che ti piace i sacrifici li fai volentieri.
Hai un segreto nell’alimentazione? Un tuo peccato di gola?
Seguo la dieta mediterranea. Il mangiare nostro è sano e sono tutti alimenti giusti. Il difficile è quando andiamo ad allenarci all’estero proprio per il mangiare. Mangio tanto e salato. Il mio peccato è la pasta.
Come vedi il tuo futuro da quando hai deposto le scarpette?
Il brutto dello sport è che mentre in altri lavori inizi pian piano e poi fai carriera, nello sport fai carriera subito, ma finisce molto presto. Uno si deve reinventare. Adesso sto finendo l’università e concludo un altro capitolo della mia vita. Ho avuto un figlio l’anno scorso e ne aspetto un altro.
Indirizzerai i tuoi bambini alla lotta?
Li farò giocare a calcio sicuramente. Scherzo… gli farò fare quello che vogliono.
Un messaggio ai lottatori di domani nella vita e nello sport
Seguire le proprie passioni e farlo al massimo. La lotta presuppone sacrificio, ma se lo fai perché la ami il sacrificio non si sente neanche.