Lo scibile nautico è così vasto che nessun navigante per quanto esperto e competente può esimersi dal reputarsi un ignorante, o meglio, una sorta di eterno studente, un professionista in continua evoluzione…di conseguenza è partendo da tale convinzione che dovrebbe scattare nel marittimo quella molla, il “movens”, che lo spinga a ripetere, approfondire e appassionarsi con sempre maggiore intensità a tutto ciò che pertiene la conoscenza dell’andar per Mare attraverso una continuità di studio e pratica delle molteplici discipline ad essa correlate. Se ciò vuole la deontologia del navigante non è lecito dunque chiedersi quali doti professionali, culturali ed umane debbano possedere gli insegnanti ed i funzionari preposti a tutte quelle istituzioni che insegnano e disciplinano la materia, che hanno delle gravi responsabilità in quanto formatori e legiferano su questa fiera categoria?
Per fare chiarezza Mediterranea si è rivolta al prof. Angelo Vecchia Formisano.
Studente presso l’Istituto Tecnico Nautico “Nino Bixio” di Piano di Sorrento ed ivi diplomato nel 1965, consegue la Laurea in Discipline Nautiche nel 1975 presso l’Istituto Universitario Navale di Napoli (oggi Università Parthenope) intervallando lo studio a periodi di navigazione e di lavoro sulla terraferma e vantando, durante i corsi, lezioni da docenti del calibro di Giuseppe Simeon, in Navigazione e Navigazione Aerea, e Gaetano Latmiral, luminare di Teoria e Tecnica delle Onde Elettromagnetiche. Nato a Sant’Angelo all’Esca (Avellino) il professor Angelo Vecchia Formisano, classe del ’46, è un precursore dei tempi e tutt’oggi un innovatore, un acuto osservatore di tutti quei fenomeni e mutamenti dei settori implicati nell’attività di formazione e gestione dei trasporti marittimi. Persona erudita capace di riunire in sé competenze difficilmente raggiungibili da un’unica” postazione fissa” se non attraverso quella sete di sapere che lo ha portato a fare un’esperienza di studio/lavoro negli States, ad affrontare la vita dura del ponte di comando, le responsabilità derivanti dal ruolo di professore per circa 40 anni presso gli Istituti Nautici della Campania, presso l’Accademia della Marina Mercantile di Genova (sezione staccata di Torre del Greco e con funzioni di coordinatore didattico di tale sezione) ed in diversi centri di addestramento per le certificazioni S.T.C.W. ‘78/’95/2010 (Standard Training Certification & Watchkeeping for Seafarers), oltre alla redazione di una produzione didattico-letteraria che va dalla stabilità alla manovrabilità delle navi, dai testi in materia di trasporto marittimo e logistica a quelli di comunicazioni in tale ambito. E’ stato fondatore, e per circa un decennio, direttore del centro di addestramento CERNET di Torre del Greco; un esempio virtuoso e poliedrico di uomo che ha saputo dare adito alle proprie aspirazioni, dando voce non solo alla narrazione dei suoi viaggi ma soprattutto al racconto dei colleghi e dei vecchi naviganti di tutto il Mondo, mondo di cui è sempre stato interprete ed interlocutore per poter condividere il dono di questa unica grande memoria collettiva che è la Marineria, carpirne i segreti e tramandarli sia ai giovani studenti pronti ad affrontare gli esami per il conseguimento dei titoli professionali marittimi che a tutti coloro che tutt’oggi ne richiedono il qualificato consiglio.
Cosa ha spinto il giovane Angelo Vecchia Formisano ad optare per gli studi nautici e quindi a prendere la via del Mare? Vorrebbe condividere altresì dei ricordi legati al suo percorso formativo, magari qualche aneddoto di vita marinara?
Le letture ed i film ambientati sul mare e sulle navi assieme alla spettacolarità degli scenari naturali mi hanno sempre affascinato fin da piccolo. “Moby Dick”, “Capitani Coraggiosi”, “Il Pirata Barbanera”, solo per citarne alcuni, mi facevano sentire il profumo del mare e del cordame, l’eccitazione per l’avventura e la scoperta. E così ho sempre pensato che solo i naviganti avessero la possibilità di “scoprire” terre e popoli lontani e ammirare dal vivo la bellezza di un paesaggio marino in una splendida giornata di sole o la natura selvaggia e incontaminata che fa da cornice ai grandi fiumi come l’Orinoco e il Rio delle Amazzoni.
Sui ricordi di vita marinara ne sintetizzo uno che non dimenticherò mai: era il mese di dicembre del lontano 1965 e con una vecchia nave si era alla fonda nella rada di Varna con due ancore per fronteggiare una tormenta in arrivo nella zona, la temperatura dell’aria era di 15° sotto zero; dopo 5 giorni di rada ci fu dato l’ordine di entrare in porto, purtroppo però non potemmo salpare perché, causa un servizio di guardia poco attento, si erano formate sott’acqua un numero imprecisato di volte alle catene (in seguito scoprimmo che erano sette!). Solo chi ha avuto analoga esperienza può capire il dramma. Un sistema immediato per liberare la nave dalle catene sarebbe stato quello di sganciarle entrambe dai rispettivi pozzi e filarle in mare ma il comandante non se la sentì di rimanere senz’ancore, e a ragion veduta. Pertanto con l’uso di bighi, verricelli, paranchi e cavi d’acciaio si cercò di tirare le catene attorcigliate dall’esterno by-passando le cubie in modo da portare sulla prora una parte di esse che comprendesse almeno un maniglione. Ci riuscimmo dopo una settimana! Con quella temperatura non si poteva lavorare con continuità, le mani si bloccavano per il freddo nonostante i guanti, per cui ogni 5 minuti si andava in macchina, nel locale caldaie, per riscaldarle. Quando si riuscì a portare un maniglione sulla prora, fu dato a me allora 2° ufficiale, l’incarico di togliere il cavicchio dal maniglione stesso e sganciare una catena; ma il lavoro si rivelò più difficile e lungo del previsto, lavoravo in condizioni ambientali pessime e in mezzo ad una rete di cavi d’acciaio in forza. Ad un certo punto, causa un groppo improvviso di vento, si spezzarono uno alla volta, e in pochi secondi, tutti i cavi che mi circondavano. Un cavo d’acciaio ben cazzato che si spezza diventa una frusta violenta capace di tagliare in due una persona! Alla prima rottura sentii un botto e un sibilo tremendi e rimasi quasi paralizzato; il comandante e il resto dell’equipaggio, che dal ponte di comando guardavano verso prora il mio operato, si girarono dalla parte opposta per non essere spettatori della prevedibile e orribile scena. Incredibile, i cavi non mi sfiorarono nemmeno! I marinai sanno quanto è duro e pericoloso il lavoro sul mare e affidano alla Madonna le loro vite e le loro speranze.
La Marineria Italiana così come l’ha conosciuta e così com’è oggi, gli uomini che al tempo solcavano i Mari… è possibile fare un confronto tra ieri ed oggi?
C’è poco in comune fra i marinai di ieri e di oggi. Sono cambiate le navi, le attrezzature, gli strumenti, le normative e sono cambiati anche gli uomini, per quanto lo spirito di adattamento e di sacrificio rimane inalterato. Si è passati dalle navi “merce varia” tipo “Liberty” e “Victory”, alle navi specializzate (ro-ro, portacontenitori, rinfusiere, …), da attrezzature come bighi o picchi di carico, con i loro sistemi funicolari (amantigli, ostini, spagnole e pescanti) alle più semplici e agevoli gru, dalle coperture dei boccaporti costituite da “galeotte” (bagli mobili), “pannò” (o quartieri) e teloni incerati ai sistemi elettroidraulici “Mac-Gregor”. La manovra dei bighi e delle coperture dei boccaporti richiedeva dunque una grande perizia sia da parte dei marinai che degli stessi ufficiali; le impiombature di cavi vegetali e metallici erano all’ordine del giorno, nostromi e marinai avevano mani d’acciaio, lavoravano spesso in situazioni e condizioni estremamente pericolose. Oggigiorno si sono fatti enormi passi avanti in materia di sicurezza sul lavoro ma, ahimè, i “casualties” non mancano. Le alette, una volta esterne al ponte di comando e quasi del tutto scoperte, ora, su molte navi, sono incluse nei ponti. Il codice morse e i vecchi ricetrasmettitori in MF/HF sono stati sostituiti dalle moderne apparecchiature satellitari che consentono comunicazioni sicure per iscritto, in fonia, via fax, telex e e-mail a qualsiasi distanza dalla costa. Si è passati dalle macchine alternative a quelle con motore diesel e successivamente all’automazione, “una rivoluzione quasi paragonabile al passaggio dalla vela al motore”.
E poi, non si osservano più gli astri per il controllo della posizione, i ponti di comando sono dotati di autopiloti di rotta adattivi, GPS (Global Positioning Sysyem), radar ad elaborazione automatica dei dati cinematici, AIS (Automatic Identification System) e carte elettroniche che molto probabilmente sostituiranno le tradizionali carte nautiche come già avvenuto per molte compagnie di crociera.
Tutto questo ha cambiato profondamente la forma mentis del navigante. Ormai è tutto computerizzato. I marinai di una volta si affidavano innanzitutto ai loro cinque sensi: con l’olfatto riuscivano a percepire e distinguere i diversi profumi delle terre, dei mari e dei venti, mentre con l’udito, i macchinisti percepivano le minime variazioni dei rumori in macchina e da essi capivano il buon funzionamento dei motori o addirittura la natura e l’allocazione di un difetto. Oggi, nel chiuso dei ponti di comando e delle centrali operative, ci si affida prevalentemente agli strumenti. I vantaggi sono tanti, ma attenzione al rovescio della medaglia: si sta perdendo il senso marino, non si sa più “interrogare il cielo”, c’è il pericolo che la fiducia cieca posta sugli strumenti porti a non tener conto dei loro errori e delle loro limitazioni.
Infine, mi sia consentito uno sfogo. Chi come me ha navigato prima degli anni ‘70 può dire che veramente ha girato e visitato il mondo perché le navi spesso sostavano in rada 3-4 giorni e la permanenza nei porti ne durava almeno altrettanti; ciò consentiva a tutti i membri dell’equipaggio, a turno, di scendere a terra e visitare i più importanti siti delle città, allacciare relazione con le persone del luogo e conoscere usi e costumi dei popoli della terra. Spesso ci si spingeva anche oltre le città portuali. Ricordo che mentre la nave scaricava grano nel porto di Alessandria d’Egitto un gruppetto dei nostri andò a visitare il Cairo e le Piramidi. Tutto questo ripagava in parte il marinaio delle sofferenze nel mare agitato e dei momenti di melanconia per la lontananza dagli affetti familiari. Oggi non c’è più questa possibilità, la sosta delle navi in porto si è ridotta in ore, tutto deve scorrere velocemente, anche la nostra vita quotidiana! A chi giova tutta questa fretta?
Tra le innumerevoli attività da lei effettuate giova rammentare quella che la vede autore di numerose pubblicazioni di carattere tecnico, come il famoso “Captain’s Handbook”, di indiscussa utilità per studenti e naviganti, e testi scolastici (La Manovra delle Navi, Teoria e Tecnica delle Navi, Teoria della nave e Sinistri Marittimi, Maritime Communications, Trasporti e Logistica). Da dove è sorta l’esigenza di dover redigere tali testi e perché?
Alla base c’è soprattutto la passione per lo studio e per la conoscenza in generale, a questo si aggiunge, nel mio caso particolare, l’interesse per tutte le cose che riguardano lo scibile nautico, compresi l’elettronica, le comunicazioni, il Diritto della Navigazione, le normative internazionali, l’inglese marittimo, le macchine. Questi interessi furono alimentati in prevalenza dalle considerazioni fatte durante un lungo imbarco effettuato nel ’66, da 2° ufficiale, su una vecchia nave da carico di circa 100 metri e di stazza lorda appena inferiore alle 1600 tonnellate: mi fu data in gestione la stazione radio perché per tale stazza non era previsto il marconista, traducevo i GENCON (contratti di trasporto e di noleggio) al comandante, nei porti esteri sostenevo (in pratica facevo da interprete) lo stesso comandante nel disbrigo delle pratiche con le Autorità e in tutte le controversie che sorgevano coi caricatori, noleggiatori e ricevitori, davo una mano in macchina (alternativa!) quando si verificavano pericolose avarie (e furono molte). In quell’occasione imparai tanto e capii che per essere un buon marinaio dovevo imparare sempre di più. Nella scrittura e pubblicazione dei testi da lei citati ha comunque giocato un ruolo fondamentale anche la mia indole, che anche da insegnante è stata sempre orientata, dopo l’analisi di un argomento o di un problema, alla ricerca e alla divulgazione di una sintesi pratica degli stessi, come pure l’esigenza di trattare argomenti che vengono spesso trascurati, come la manovra e la costruzione della nave, conservare e tramandare la tradizionale terminologia nautica, resa da me disponibile anche in inglese, e di dare agli ufficiali della Marina Mercantile Italiana uno strumento di consultazione per la preparazione degli esami professionali e per la pratica di bordo. Ci sono voluti anni di ricerche e di sacrifici, ma sono stato ripagato dalle numerose dimostrazioni di stima da parte di ufficiali e colleghi.
Dal 1623, anno della fondazione del primo Istituto Nautico d’Italia presso il Collegio di San Giuseppe a Chiaia, ne è passata di acqua sotto i ponti eppure sembra che oggi manchi la volontà di preservare la tradizione e la cultura di questa istituzione scolastica, che per secoli ha formato il personale navigante che ha condotto la Marineria Italiana a solcare, con ingegno ed in tutta sicurezza, i Mari del mondo. Lasciato in una condizione precaria sia in termini di innovazione del programma che di ammodernamento delle strutture e dei laboratori, minato da decreti che ne hanno mortificato il prestigio e ridottone il monte ore di insegnamento, verso quale destino si sta dunque avviando il Nautico?
Devo subito precisare che ormai tutti gli istituti ex Nautici, sfruttando i fondi regionali/europei, hanno, chi più chi meno, laboratori attrezzati con simulatori all’avanguardia. Per quanto concerne i programmi sono stati gli stessi docenti ad adeguarli ai tempi poiché già nelle indicazioni ministeriali degli anni ’60 era previsto l’aggiornamento automatico col progredire della scienza e della tecnologia. Piuttosto c’è da dire che a partire dagli anni ’80, con i progetti che si sono avvicendati nei Nautici, le discipline professionali hanno subito un ridimensionamento a vantaggio di altre discipline e ci sono state variazioni di queste ultime, il tutto con l’obiettivo di produrre una maggiore spendibilità del diploma a terra e conferire una preparazione professionale agli allievi a bordo più adeguata ai tempi, lingua Inglese compresa. Ma i risultati non sono stati quelli attesi. Tutt’altro! I diplomati nautici, in particolare i “capitani”, continuano ad incontrare enormi difficoltà per una degna occupazione a terra, e i naviganti, capitani e macchinisti, mostrano carenze nelle discipline professionali e ancor più nella lingua inglese durante le prove per gli esami di Ufficiale di Navigazione (che, detto per inciso, vengono condotti ancora in maniera troppo scolastica e teorica). E’ giustificata, quindi, ogni perplessità quando si parla di progetti o riforme.
Il destino degli ex nautici è stato già deciso e attualmente si chiamano Istituti Tecnici per il Trasporto e la Logistica (ITTL). Io non sono un nostalgico del passato, mi piace l’innovazione. Con i tempi che cambiano (globalizzazione, mass media, internet, ecc.), con le disposizioni della Convenzione IMO, la STCW e con le direttive CE era naturale e inevitabile che qualcosa dovesse cambiare anche nell’istruzione nautica. La STCW in particolare, con l’introduzione dei tanti corsi di addestramento, svolti ognuno con una parte pratica e una parte teorica, ha praticamente spostato la formazione e parte dell’istruzione in strutture esterne alla scuola e in una fase post-diploma. Sono nati così i centri di addestramento, alcuni dei quali sono anche Istituti TTL paritari, che hanno strutture e attrezzature che in qualche caso superano il milione di euro e un corpo istruttori formato non solo da docenti, ma anche da comandanti anziani che portano, con la loro qualificata esperienza, un contributo essenziale alla formazione dei giovani ufficiali; quello che più conta inoltre è la gestione economica, molto più snella e se c’è da comprare un’attrezzatura aggiornata lo si fa subito! Le istituzioni pubbliche non possono garantire ciò. In sostanza, anche se la scuola ha il compito di fare istruzione e non formazione, la STCW ha svuotato in parte la funzione dell’ormai ex-Nautico come centro unico del sapere nautico. Tuttavia esso rimane sempre e comunque, anche con la nuova riforma e il nuovo nome, la principale istituzione che, nel mentre istruisce ed educa, altresì tramanda, valorizza e promuove la cultura nautica e la passione per il mare nella fase adolescenziale dei giovani.
Non sarebbe d’uopo proseguire con l’insegnamento delle discipline marittime secondo un piano quinquennale così come si è sempre fatto ed eventualmente istituire un percorso di laurea breve per gli studenti che volessero proseguire verso carriere diverse da quella del navigante? Le competenze necessarie alla navigazione e quelle da maturarsi nel settore dei Trasporti e della Logistica potrebbero essere ripartite secondo un “iter studiorum” così inteso, invece sembra che il Ministero della Pubblica Istruzione abbia deciso tutt’altro… ce ne parli per favore.
Tutte le riforme della Pubblica Amministrazione sono sempre compromessi fra esigenze contrastanti. L’esigenza primaria è quella di adeguarsi ai tempi presenti e al futuro previsto, ma essa è fortemente condizionata, fra l’altro, dalla spesa pubblica e dall’eventuale perdita dei posti di lavoro. La critica spesso non considera questi due importantissimi aspetti. La riforma che ha trasformato i Nautici in ITTL ha inteso spostare l’istruzione nautica verso la logistica dei trasporti, con la speranza che i diplomati possano trovare inserimento professionale a terra in tale settore. Per quanto detto nella risposta precedente le perplessità non mancano.
Comunque, l’idea non è proprio peregrina, anche in virtù del fatto che ci sono altri canali post-diploma attraverso i quali si può conseguire il titolo di allievo o in cui il diplomato ITTL può approfondire le tematiche nautiche. Secondo il mio modesto parere, è proprio su questi canali che si dovrebbe fondare una critica e fare chiarezza: ITTL, IPAM, Università, corso di allineamento di 500 ore e poi ITS (Istituto Tecnico Superiore), Accademie, Fondazioni… insomma una montagna per partorire un topolino, cioè l’allievo ufficiale! Sul corso di 500 ore, per esempio, è d’obbligo una domanda: “perché non c’è un corso di allineamento per trasformarsi in perito elettrotecnico, perito chimico, ecc.? Perché in questi settori si è conservata l’esclusività del diploma e nel settore mare no?”. Il corso di allineamento non ha dato, come forse il MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) si aspettava, altre opportunità di lavoro ai giovani né ha dato risposta agli armatori, i quali cercano comandanti e primi ufficiali, non certo allievi, che sono addirittura esclusi dalla tabella di armamento. Inoltre, si sono messi sullo stesso piano un laureato universitario, un allievo che ha frequentato l’ITTL, un allievo dell’IPAM e un allievo proveniente da altri indirizzi scolastici tenuti al corso di allineamento della durata di 500 ore, senza alcun distinguo!
Infine, riguardo alla trasformazione dei Nautici in ITTL, è lecita un’altra domanda: “che fine farà la Logistica dopo il diploma?” Questo nessuno lo sa! E’ auspicabile che essa, per avere un ruolo concreto nelle possibilità d’inserimento dei giovani a terra e non diventare un’illusione come lo è stata qualche disciplina dei precedenti progetti, sia approfondita a livello professionale proprio nei succitati ITS, o nelle Accademie, o negli Atenei con corsi mirati, scollandola dall’istruzione nautica nella fase post-diploma.
Non sono certo in pochi a sostenere che la Marineria Italiana sia morta. Ma qual è il suo reale stato di salute e da cosa dipende secondo lei? Nell’ambiente marittimo è un dato di fatto tangibile ed oggettivo rilevato da diverso tempo ormai e, pare, se ne stiano accorgendo anche alcuni ufficiali ai vertici delle Direzioni Marittime. Sembra nessuno faccia dunque fatica ad ammettere quanto segue: la Marineria Italiana ha bisogno di un suo Dicastero. Ne conviene? E come si potrebbe in quest’epoca di decadenza politica e di austerity favorire la rinascita del Ministero della Marina Mercantile?
Rispondere alla sua prima domanda non è semplice perché il termine “Marineria” evoca navi, armatori, equipaggi, porti, autorità nazionali preposte, organismi internazionali e normative nazionali e internazionali. Pertanto bisognerebbe analizzare, uno alla volta, tutti questi punti. Uno degli argomenti che fa sempre discutere riguarda l’iscrizione delle navi. Quelle che una volta inalberavano la bandiera italiana erano iscritte nelle matricole, erano di proprietà italiana, avevano equipaggi totalmente italiani, vi dovevano imbarcare obbligatoriamente gli allievi ufficiali e coprivano un ruolo importante nello scenario mondiale. Fra gli anni ’80 e ‘90 le società Italia e Lloyd Triestino furono smantellate e altri armatori, per competere con la concorrenza straniera, registrarono le loro navi effettuanti viaggi internazionali in Paesi che consentivano di pagare meno tasse e imbarcare equipaggi stranieri. Le matricole italiane si svuotarono, l’Italia perse peso nel settore a livello internazionale e l’occupazione subì un calo evidente. Il Ministero Italiano, con l’avallo dei sindacati, visto che altri Paesi europei si erano già mossi in tal senso, istituì il Registro Internazionale (legge 30 del febbraio ’98) e la cosiddetta “Tonnage Tax”, due strumenti che offrirono, e tuttora offrono, vantaggi economici agli armatori. Il risultato è stato il ripopolamento della flotta di bandiera italiana, ma diverse navi, pur inalberando la nostra bandiera, sono di proprietà straniera, gli equipaggi non sono più esclusivamente italiani, anzi, sono generalmente stranieri con una quota parte comunitaria e gli allievi ufficiali non sono più obbligatori. La preoccupazione dei marittimi italiani, specie quelli della bassa forza, sulle loro prospettive di lavoro resta giustificata, ma contestata dai sindacati, i quali ribadiscono che senza il Registro Internazionale sarebbe stato peggio. Le vecchie matricole, con le loro regole restrittive, non potevano reggere la concorrenza dei Registri /bandiere di convenienza che crescono come funghi. A parte i tradizionali Registri di Panama e Liberia, oggi troviamo anche Registri delle isole Marshall, Togo, Sierra Leone, Isole Cook, Belize, Kiribati, Moldavia, ecc., con equipaggi di tutte le origini le cui competenze, ancorché certificate, sarebbero tutte da verificare. “Questa non è più competizione”, scrive il comandante Decio Lucano sul suo Foglio Telematico, “è una bagarre, un insulto al diritto e alle convenzioni internazionali”.
E a proposito di convenzioni internazionali c’è un proliferare inaudito di norme che, a tutti i livelli, invece di rendere le cose più semplici le complicano, invece di ridurre lo stress l’aumentano. Si parla tanto di safety, ma i sinistri marittimi e gli infortuni sul lavoro a bordo continuano ad accadere, anche quelli mortali non mancano e nessuno ne parla perché i lavoratori, spesso extracomunitari, non fanno audience! Si gira intorno ai problemi, ma nessuno ha intenzione di risolverli. Lo sanno tutti che determinati tipi di lance sono “di non salvataggio”, che 4 o 5 mila passeggeri su una nave sono ingestibili in caso di emergenza grave, che gli equipaggi sono esigui e quelli delle navi che toccano porti a ripetizione sono stremati da eccessive ore di lavoro, compresi i comandanti, perché non hanno il tempo per riposare, in barba alle norme sulle ore di lavoro e di riposo! Le norme si dovrebbero scrivere a bordo, con la nave in una tempesta o per una settimana in un mare lungo, o in porto dove si deve pensare alle formalità, al decreto 28, al RINA, ai PSC, alla caricazione /discarica, alle provviste, alla security, all’armatore, al noleggiatore, … Le norme scritte stando seduti su comode poltrone in stabili uffici non valgono, anche se a scriverle fosse un comandante di lunga esperienza, perché l’uomo di mare, per necessità, ha sviluppato il dono di dimenticare subito le tribolazioni sofferte.
Una nota positiva riguarda l’età media delle navi. Una volta gli armatori italiani compravano navi alienate dai Paesi del Nord Europa mantenendole in attività fin oltre i 40 anni, non tenendo conto del fattore di obsolescenza. Oggigiorno, e a maggior ragione nel futuro, una nave comincia a diventare anti-economica già a 25 anni di età e a 30 conviene venderla o demolirla piuttosto che spendere soldi per adeguarla ad una normativa internazionale sulla sicurezza e sulla protezione ambientale sempre più stringente. Gli armatori italiani sono stati fra i primi a capirlo, infatti oggi la flotta italiana è una delle più giovani del mondo con il 75% delle navi di età inferiore ai 10 anni. La marineria Italiana vanta imprenditori dinamici e capaci, con un solido know-how che si tramanda di padre in figlio. Si pensi che attualmente siamo fra i primi al mondo nel settore delle ro-ro e fra i primi in Europa nel settore crocieristico sia come numero di navi e cantieristica che come affluenza d’imbarchi di crocieristi nei nostri porti, che sovente rappresentano anche le loro mete predilette.
Le carenze, invece, si riscontrano nelle infrastrutture, in particolare quelle logistiche e ciò danneggia non poco il livello occupazionale. Si pensi che il totale dei TEU (twenty-foot Equivalent Unit, ossia contenitore da 20 piedi) movimentati in un anno in tutti i porti italiani non raggiunge i TEU movimentati dal solo porto di Rotterdam! I flussi di merci estere provenienti dal Far East via mare e destinati ai mercati italiani e del centro Europa, che attraverso il canale di Suez entrano nel Mediterraneo, invece di approdare nei porti italiani (per l’Italia transita solo il 6,3% di tali flussi), dirigono, attraverso lo stretto di Gibilterra, verso i porti del “Northern Range” (Anversa, Rotterdam, Amburgo, ecc.), preferendo più giorni certi di navigazione ai tempi incerti negli scali italiani. Si spera che da quest’anno, con la definitiva implementazione della Piattaforma Logistica Nazionale UIRNET, le cose migliorino.
Lei mi chiede come si potrebbe favorire la rinascita del Ministero della Marina Mercantile. Non lo so, il problema è politico. Certo è che l’attuale MIT deve occuparsi di troppe cose e per giunta super-impegnative, ossia delle infrastrutture e dei trasporti di tre settori: mare, terra e aria. Mare e terra non possono far parte dello stesso Ministero perché, a parte le problematiche notevolmente diverse, ognuno di tali settori richiede energie enormi. Per il settore mare, il solo Corpo delle Capitanerie di Porto, attraverso il COGECAP e gli uffici periferici (Direzioni Marittime, Capitanerie di porto, ecc.), deve controllare un mondo complesso e mastodontico: circa 7500 km di demanio marittimo più il mare adiacente, in termini di sicurezza, immigrazione, inquinamento, pesca, sinistri e soccorso in mare; i porti grandi e piccoli, tutte le navi italiane (“Flag State Control”) e straniere (“Port State Control”), compresi il naviglio minore, le navi da pesca e da diporto; per i marittimi devono provvedere alle iscrizioni alla Gente di Mare con le prove di nuoto e voga, agli imbarchi e sbarchi, alla tenuta delle loro matricole, a presiedere gli esami per le certificazioni STCW, a organizzare e presiedere gli esami per le abilitazioni professionali, ecc. Solo chi è del settore può capire il lavoro immane che c’è dietro a tutto questo! Con questa vastità e diversità di attività, competenze, attribuzioni e controlli che devono peraltro essere conformi ad una giungla di norme nazionali, internazionali ed europee, sarebbe vivamente auspicabile, come dice lei, un Ministero ad hoc, che con strutture, mezzi ed uomini adeguati e con energie mirate al settore, studiasse, coordinasse e prestasse maggiore attenzione alle relative problematiche e alle esigenze di tutti gli operatori, armatori e marittimi in particolare.
Difficile enumerare tutte le criticità, ma è sotto gli occhi di tutti che le alcune cose non funzionano come dovrebbero. Cito solo qualche semplice caso: per rilasciare a un marittimo un estratto di matricola o un certificato IMO, o per registrare la navigazione estera, capita ancora che s’impieghi un tempo inaccettabile; in certe Direzioni Marittime “super-affollate” un candidato all’esame di Ufficiale di Navigazione o di Primo Ufficiale può perdere fino a 5 o 6 mesi fra la prova scritta d’Inglese e le altre prove, con conseguenti danni economici per la sua famiglia! Può anche capitare, in qualche porto, che non si riesce a risolvere in tempi stretti le divergenze che nascono fra la nave e la locale Autorità Marittima sull’applicazione pratica di norme relative alla tabella di armamento, alla MLC, o altro. La situazione si sblocca solo attraverso lunghi e faticosi giri di telefonate ed estenuanti consulenze che servono a chiarire da quale parte vi sia la giusta interpretazione. Resta evidente che la situazione diventa drammatica se un tale problema nasce di sabato o di domenica sera; in tal caso la nave può rimanere bloccata in porto anche per alcune ore, con evidenti danni economici per l’armatore (basti pensare agli orari che saltano delle navi di linea, alle clausole del “cancello”, alla perdita del turno in un convoglio, ecc.). Eppure le cose vanno avanti come se tutto fosse normale!
A mio modesto parere le cause di questo andazzo non sono imputabili soltanto ad un ufficio piuttosto che ad un altro, bensì alla mancanza di personale e alla mancanza di un Ministero ad hoc che dovrebbe maggiormente preoccuparsi d’individuare le criticità, modificare vecchi decreti e non aggiungerne altri! Bisogna snellire le procedure, emanare con continuità note esplicative di decreti e convenzioni, istituire un punto di riferimento permanente H24 per la soluzione immediata di problemi e casi particolari.
Con umanità, doti ed esperienza di ufficiale su navi mercantili, di docente fermamente appassionato, che ha fatto parte di importanti Commissioni della Pubblica Istruzione e della Marina Mercantile, la sua persona, più unica che rara, riassume una miriade di competenze introvabili e al tempo stesso necessarie per riuscire a tradurre la complessa figura del navigante di professione e sintetizzare la pesante macchina burocratica che dovrebbe inseguire con giroscopica precisione i mutamenti dello shipping, l’adeguamento dell’insegnamento, incluse l’applicazione e l’introduzione delle leggi che regolano questo mondo. Ma come fare ad imprimere alle persone deputate al funzionamento di questi ingranaggi quella marcia in più che l’insegnamento, l’andare per Mare e la vita d’ufficio (da cui solitamente il Mare lo si vede solo dalla finestra) praticati separatamente non possono loro conferire? Esiste un pacchetto “Formisano’s know-how” per tutti?
La marcia in più e il know-how di cui lei parla, che dovrebbero portare efficienza ed efficacia nel settore marittimo, e che dovrebbero risolvere le problematiche indicate in precedenza, si conseguono con l’integrazione e il coordinamento di tutte le energie in gioco. Servono da parte di tutti i componenti del sistema, pubblici e privati, interesse e impegno globali sullo scibile nautico, il sacrificio, la disponibilità all’incontro e allo scambio delle idee senza ipocrisie o paure, senza interessi personali e preconcetti. Gli incontri, che pur si fanno al Ministero, non dovrebbero essere di tipo quasi privato, ma istituzionalizzati in almeno un convegno annuale, della durata di due o tre giorni e svolto con la più larga partecipazione possibile dei soggetti interessati e informati dei fatti. Il coordinatore dovrebbe essere il Ministero da lei precedentemente auspicato. Nel convegno ognuno indicherebbe i problemi riscontrati al cui termine dovrebbe essere sancito l’impegno a conseguire dei risultati specifici da parte del Ministero stando alle soluzioni proposte; lo stesso Ministero dovrebbe altresì dar conto al convegno successivo dei target raggiunti. Questa tecnica è applicata in Gran Bretagna e negli Stati Uniti persino su cose molto meno importanti.
Ma il Mare può essere ancora una fonte di speranza per i molti giovani che decidono tutt’oggi di intraprendere la carriera marittima? Un consiglio e un incoraggiamento a coloro che hanno ancora il coraggio di sognare ed osare ed un monito per la categoria dei marittimi, spesso vittima di sé stessa…
Il mare è e sarà sempre una fonte di ricchezza e di speranza per i giovani. Se da diversi anni gli istituti ex-nautici hanno ripreso a crescere, se in questi anni di crisi economica e finanziaria molti diplomati di altri istituti hanno conseguito il diploma nautico o frequentato il corso di allineamento di 500 ore, ci sarà pure un motivo. La realtà è che il lavoro a terra scarseggia, mentre in mare la richiesta si mantiene costante. Ciò perché, nonostante l’inarrestabile espansione delle flotte aeree e la capillare diffusione del trasporto stradale più dell’80% del traffico merci mondiale si svolge per mare, le navi da crociera segnano un trend positivo da diversi anni, e poi ci sono tante altre navi che spesso non si considerano, ma che comunque assicurano lavoro a tanta gente: rimorchiatori, navi appoggio, posacavi, navi da pesca, pesca-turismo e tutte le navi da diporto. Certo, di tanto in tanto ci saranno dei periodi di saturazione, ma essi non sono generalmente di lunga durata. Tuttavia, bisogna dire che i giovani dei Paesi evoluti come il nostro troveranno occupazione solo nelle mansioni di livello superiore e che nel nostro Paese il reclutamento degli allievi ufficiali da parte degli armatori italiani passa ormai essenzialmente attraverso le Accademie e Fondazioni di cui si è detto in precedenza, nelle quali si accede solo dimostrando di possedere adeguate conoscenze scolastiche. I pochi e buoni consigli che si possono dare ai giovani, di carattere generale, sono ovvi: fare tesoro dei consigli delle persone anziane, essere convinti di quello che si fa e farlo con impegno, passione, tenacia, insomma, non scoraggiarsi mai e non rimandare al domani quello che si può fare oggi.
Ho speso 35 anni della mia vita di cui 25 da Direttore di macchina.Conosco il professore da piccolo giocavamo insieme poi non l’ho visto più.Mi farebbe piacere incontrarlo anche se adesso vivo a MIlano
Grazie Prof.Penso che bisognerebbe ammettere il macro errore fatto con la riforma,nel destituire L’ISTITUTO NAUTICO AD UN RUOLO NON SUO E CHE POCO A CHE FARE COL MARE.Sarebbe stato opportuno aggregare una sezione x periti logistici,senza deupaperareI NAUTICI.UN ISTITUTO NAUTICO DOVREBBE PREPARARE GLI ALUNNI AD AFFRONTARE LA VITA SUL MARE IN MANIERA PROFESSIONALE ED ETICA,senza fare costosi corsi esterni dalla dubbia validita’,non rimborsabili ai fini IRPEF,e con maggior aggravio sulle famiglie.Diciamoci che si e’ voluto favorire il Privato e leLOBBY ARMATORIALI che non vogliono GLI ITALIANI!si e’ ripetuto l?errore che fece a suo tempo il sen.CARTA abolendo gli allievi,il che e’ tutto dire!Avrei voluto un intervento piu’ consono alla coltura pubblica(Nautici) e non a quella privata.Purtroppo i programmi vengono fatti da gente senza conoscenza specifica e che molte volte sanno appena che cosa e’ una nave!I rappresentanti Italiani all?IMO dovrebbero essere sostituiti da APPARTENENTI ALLA GENTE DI MARE E CHE NAVIGANO/GATO ED ALEMO CON UN ESPERIENZA DECENNALE,ONDE EVITARE QUANTO E’ SUCCESSO X STCW 2010(HANNO DIMENTICATO CHE ITN EERA UN CORSO COMPLETO
DI 5 ANNI,UNO DEI POCHI E FORSE UNICO AL MONDO.ALTRA OCCASIONE PERSA!
Grazie al prof. Romano e al sig. Giuliano per la loro testimonianza e l’apprezzamento verso il prof. Vecchia Formisano.
Sonostato un Suo Allievo ed ancora oggi mi ritengo tale.Saggia e Brava persona
Il Prof. Formisano ?
Poliedrico
Un “lavoratore delle conoscenze del mare”
Una grande risorsa umana nell’ambito della sua professionalità
Vuoti da aprire e non da riempire è stato sempre il suo Modus Operandi
Una bella persona il prof. Formisano, e bravissimo Gaetano Cataldo a costruire l’intervista!
Conplimenti
Grazie Luca…..complimenti al prof. Formisano per la vita dedicata al Mare e ai Marittimi