L’orizzonte non è un confine, ma l’inizio per guardare oltre…
Mettersi in cammino, poi di nuovo, lasciando la strada certa, quella battuta da chi ci ha preceduto e cercare la propria.
Esistono nuovi sentieri, non sono certo quelli in cui il percorso si semplifica: si tratta di quelli costellati di segnali ancora non codificati, ma che pulsano nella nostra interiorità in attesa di essere tradotti, come il tracciato di battiti che inspiegabilmente ci vengono a cercare nel cuore della notte, per farci ridestare, per aiutare a comprenderci e a farci ritrovare.
Una sorta di bussola interiore che ci dà una tale sveglia e che punta verso l’unica direzione possibile ed una sola certezza in mezzo a tante incognite: il cammino non è il dove ed il quando esso ha principio e fine ma è l’adesso in perenne bilico e mutazione tra passato e futuro, un passo avanti all’altro.
Ebbene la destinazione dove Roberto Cipresso indirizza i suoi passi, non già una meta definitiva, conduce verso le Origini del Vino e le Radici della Viticultura, senza zavorra, senza condizionamenti e senza nostalgia per forme di passato e di tradizioni non più applicabili, per quanto più comode e facilmente percorribili: non ci sono scuse né rimpianti, si guarda avanti e si opera con testa, cuore e anima… la prua puntata sulla propria visione.
Su questa carta nautica, personale e concettuale, istintiva ed assolutamente razionale al contempo, Roberto Cipresso traccia la sua linea, una linea che avvolge tutto l’orbe terracqueo e che abbraccia magicamente il mondo del Vino: è il 43° parallelo.
Mesopotamia ed Oregon, con nel mezzo la Croazia, il Cuore dell’Italia, la punta della Corsica, la Francia Meridionale e mete spirituali come Medjugorje, Assisi, Santiago De Compostela e Lourdes, mete oniriche quasi.
Luoghi, non-luoghi e strade da reinventare.
La Quadratura del Cerchio, oggi evoluta in Cipresso 43 e che con l’edizione del 2017 di viaggi ne ha compiuti ben 20, inscrive nel suo perimetro non una semplice area vitivinicola con una tessitura che sa di geografia, geologia, altitudine, latitudine, orografia e clima, ma descrive un tratto orbitale contenente misticismo e teologia, la teologia operosa e creativa di un nuovo punto di partenza per il pensiero enologico: il terroir diffuso, conditio sine qua non per ottenere il Vino d’Autore, unico, irripetibile.
La Quadratura del Cerchio del ’95 è un componimento di Schioppettino, Refosco, Montepulciano e Sangiovese. Ma non facciamoci soverchiare da dettagli e tecnicismi tanto più che questo grande vino, vino che emoziona e che sa di luoghi lontani, si presenta come un bellissimo arazzo dove non compare traccia alcuna di cucitura nell’assemblaggio, a riprova che nel concept di Parallelo 43 non ci sono confini, linee di demarcazione, men che meno tra i vitigni impiegati che qui, piuttosto, trovano un’identità univoca, inedita e mai raccontata prima.
Chiedetemi piuttosto se è vero che un vino etico, armonioso e straordinario possa essere capace di accendere il sorriso e… datevene pure conto guardando la foto.
Questo primo viaggio è una lossodromia che si srotola come un tappeto ancora incredibilmente rosso granato, dai bordi aranciati e che segue, nella sua vivida luce, la curvatura del calice che ne asseconda la danza briosa al cui passaggio lascia archi strettissimi e lacrime la cui gioia non ha fretta di ricongiungersi al tutto.
Ecco cosa è accaduto nel ventre della bottiglia e che ritorna alla luce 26 anni dopo.
Aveva proprio una gran voglia di essere aperto, di schiudersi sin da subito, respirando come dopo una lunga apnea, foriero di un messaggio che è tutto meno che uggioso ed introverso; olfattivamente è subito baam: china e ribes nero, succo di melograno e tamarindo squarciano il fine velo di pomodoro essiccato, della nota ematica e di un pot-pourri di ginepro, chiodi di garofano e viola, poi alla scorza d’arancia, alla posa di caffè, al tabacco Kentucky non del tutto essiccato, al balsamico della sapa, affatto mieloso, che cede quasi subito il passo alla nota salmastra dello iodio.
E poi il naso a correr dietro a tutti questi riconoscimenti che si palesano nuovamente come le onde di un oceano rosso che vanno e che vengono, senza turbare la quiete di emozioni che sorgono spontaneamente, esattamente come il librarsi delle molecole odorose, affatto desiderose di giocare a nascondino, come capita esattamente e soltanto per i vini compiuti e che sanno per quale scopo vengono creati e stappati, come in questo caso.
Al sorso, come per le note odorose che per intanto si sviluppano e si amplificano sempre più, tutto è subitaneo, diretto: un velluto liquido con trama tannica, appena palpabile, si dissolve nella succosa freschezza dai richiami agrumati, ove il tamarindo resta tale e la scorza d’arancia volge in bergamotto e pompelmo rosa, come pure il tabacco alla via diretta, in precedenza, adesso vira in tè nero al gusto-olfatto, per una chiusura che ha umami e sapidità al tempo stesso, di lunga persistenza. A calice asciutto naso e memoria tornano sulle loro orme per essere sorpresi non tanto dalla scatola di sigari, bensì dal profumo dell’asfalto cocente dopo la battente pioggia estiva e da un erbaceo mediterraneo disarmante.
Ascoltando quell’attimo di panico in Woodyn’ You di John Coltrane, preludio di un richiamo al rinnovamento, sulle cui note fluttua il sogno di espressività che solo gli spiriti liberi sanno realizzare, facendosi strada in mezzo alle umane convenzioni per creare nuovi sogni, gioia e bellezza.