Articolo di Marco Bettelli
Con “Gotico”, in ambito musicale, si allude al genere nato a cavallo degli anni ’70 e ’80 in area anglosassone, ma ben presto diffusosi in tutta Europa (soprattutto centrale e scandinava), anche in Italia (su tutti Litfiba e Diaframma, su cui tornerò). Tuttavia, il termine identifica un vero e proprio “modus vivendi”, non solo esteriormente col tipico abbigliamento d’ordinanza, indossato ai concerti e in ogni contesto di vita, ma possiamo definirlo uno stato d’animo, che non influenza solo i compositori, ma gli stessi ascoltatori (soprattutto tra gli ” insospettabili”, quelli cioè non riconoscibili da tale look).
E non si pensi che questa passione sia dovuta esclusivamente a fattori climatici o psicologici, come di primo acchito si potrebbe pensare. Difatti, pur essendo, come già detto, più diffuso in certe aree geografiche, il genere gotico (con tutte le sue sfumature: dark, gothic-rock, gothic metal, new wave, elettronica, neopsichedelia; con buona pace della critica musicale, non sempre concorde sulla categorie di appartenenza) è ampiamente amato e conosciuto in America centrale e Sud America. Basti solo pensare all’accoglienza trionfale tributata anni addietro dalla stampa peruviana, (non solo quella specializzata), durante uno dei tour degli olandesi Clan of Xymox. E basta scorrere le pagine sul web dei fan club argentini degli Zeraphine, gruppo alternative rock tedesco, per averne ulteriore conferma, nonostante i loro concerti si svolgano prevalentemente in paesi di lingua tedesca. I capostipiti di questa musica sono unanimemente considerati i Cure e, in subordine, i Sisters of Mercy, entrambi ancora attivi. Meritano una citazione doverosa gli inglesi Paradise Lost (emblematico il titolo del loro secondo album, “Gothic”) – i quali hanno via via sperimentato diversi generi, sconfinando persino nella pura elettronica con “Host”, del 1999 (con buona pace dei fan) – e, soprattutto, i Cult: i primi due lavori, “Dreamtime” e “Love”, della metà degli anni ’80, sono dei capolavori assoluti. Il secondo, pietra miliare del rock con almeno 2,5 milioni di copie vendute, è stato pure riproposto, nel tour del 2009 in terra nordamericana ed europea.
E pure a casa nostra, proprio in questo periodo, si sta svolgendo il Trilogia tour dei Litfiba (risolti i dissapori tra il carismatico vocalist Pelù e il chitarrista Ghigo Renzulli, dopo la reunion dello scorso anno), dove vengono suonati i brani dei primi tre dischi (sonorità “alternative”, alle quali i vecchi fan sono più affezionati). Non a caso le canzoni che contengono (segnalo le atmosfere di “Istanbul” contenuta in “Desaparecido”) riflettono l’esperienza post-punk e new wawe anglosassone vissuta e stravissuta in prima persona da Ghigo.
Non posso, a questo punto, non citare, i loro amici-nemici Diaframma, capitanati dal vocalist e bassista Federico Fiumani, anima e corpo di una band che ha visto l’apice nel 1984, con l’album d’esordio “Siberia” (nel brano “Amsterdam” assistiamo al duetto proprio con Pelù).
In tema di riproposizioni, anche la cantante-attrice Angela Baraldi (protagonista di “Quo vadis, baby?”, di Salvatores), accompagnata dalle chitarre di Steve Dal Col e Giorgio Canali, ha voluto, anche recentemente, fare un omaggio all’indimenticato leader dei Joy Division, Ian Curtis, scomparso prematuramente per sua volontà quand’era all’apice del successo. La sua voce calda ed intrisa di lugubri emozioni era, e rimane, ineguagliabile, frutto di un’esistenza tormentata e di classe cristallina. Raro e puro talento, considerata la giovane età, che fa ritenere il povero Ian molto più vecchio ed esperto di quello che, in realtà, era.
Etichettati un po’ troppo frettolosamente come i nuovi Joy Division (giudizio forse influenzato dalla comune nazione di provenienza, l’Inghilterra), i White Lies debuttano col botto nel 2009 con “To lose my life”, ma deludono le aspettative col successivo “Ritual”. Sonorità in tema fanno da sfondo anche a vari lavori dei portoghesi Moonspell.
Infine, voglio menzionare un altro genio musicale, Sven Friedrich, fondatore degli Zeraphine, che debuttano con Kalte Sonne nel 2002, interamente in tedesco e unanimente considerato uno dei migliori esordi del genere gotico. Il genio eclettico di questo compositore, vocalist e strumentista ha nel 2008 partorito il progetto Solar Fake (ma qui siamo ormai sconfinati nel campo dell’elettronica). Anche Sven ha dato via ad una reunion della sua vecchia creatura, i Dreadful Shadows, dalle sonorità ancora più gotiche rispetto agli Zeraphine, i quali purtroppo mostrano un suono più commerciale nei loro ultimi, meno riusciti, album (aiutati in questo dai pezzi composti per lo più in inglese). D’altronde, anche nell’abbondante repertorio dei Cure si trovano molte tracce di saccheggio nel Pop. La particolarità di tutte queste band sta proprio in questo: all’interno di un album si possono ascoltare melodie con sfumature differenti da brano a brano, fino a dubitare persino della loro goticità.
Dopo un ascolto globale, comunque, nella maggior parte dei casi, non c’è alcun dubbio nel rilasciare la patente di musica gotica (o presunta tale). E per chi ancora nutrisse dei dubbi dopo un ascolto non propriamente soddisfacente ed in linea con la “tradizione”, non rimane che attendere il prossimo tour nostalgico…