Reggia di Barumini
Share

Un tesoro archeologico e naturalistico di valore inestimabile, che descrive con monumenti e con immagini pittoresche le vicende di un Paese e non solo e dà linfa alla memoria. Una risorsa, tanto culturale quanto economica, incompresa, non curata, addirittura calpestata. L’Italia, la nazione che vanta il più alto numero di siti (49) inclusi dall’UNESCO nella lista dei patrimoni dell’umanità, si dimena quotidianamente tra dibattiti di ogni tipo e quando la notte cala il buio anche sulle Cinque Terre, sul Colosseo, su Pompei e sulla Valle dei Templi continua a pensare alle colpe della classe politica, trova molteplici alibi per tacitare la coscienza e dorme sulla propria apatia. Mancano i soldi per valorizzare i resti del passato e i doni del creato. Manca la volontà di rispettarli.

Manca, troppo spesso, un’identità vera e forte e si tende a perseguire l’interesse del momento, personale ed effimero, e non il bene comune, che deve voltarsi indietro per gettare le basi di un domani migliore.
L’indifferenza non ha colori e non ha fissa dimora e nessuna regione sembra distinguersi particolarmente in positivo. L’esempio della Sardegna può illustrare in sintesi la triste superficialità tricolore. Dal nord al sud dell’isola le pietre di circa 6 mila nuraghi, un tempo forse oltre 15 mila, mostrano a chi lo sa cogliere un dolore profondo. Non il dolore legato allo scorrere dei millenni, ma quello dovuto all’incuria di quanti avrebbero dovuto tutelarle. Tutelarle in virtù della loro storia e per la Storia perché i nuraghi, comunque condannati a custodire per l’eternità non pochi misteri, sarebbero stati semplici abitazioni, luoghi di culto, fortezze attrezzate sia per la vigilanza sia per la difesa e addirittura osservatori astronomici. Tutelarle in virtù della loro bellezza perché i nuraghi hanno caratteristiche estetiche e di ubicazione uniche nel mondo. Tutelarle per regalare paesaggi armoniosi a se stessi e a chi nella terra che le ospita arriva per un qualsiasi motivo. Eppure non si è fatto quasi niente, trascurando uno degli strumenti migliori di cui la Sardegna dispone per far decollare concretamente il turismo, da sempre scarsamente strutturato e altalenante, basato soltanto su alcuni punti di forza e privo di coordinamento.

Non hanno colto l’occasione le classi politiche che si sono avvicendate alla guida della Regione. Adesso la carenza di fondi appare cronica, ma prima, quando era abbastanza frequente la realizzazione di cattedrali nel deserto, si è preferito guardare per lo più in altre direzioni. Allora neppure le amministrazioni comunali, salvo poche importanti eccezioni, hanno ritenuto necessario espropriare i terreni che custodiscono le vestigia degli avi e attuare interventi di salvaguardia, un po’ perché il concetto di priorità era piuttosto limitato e un po’ perché la competenza in ambito culturale era scarsa o nulla.

Non hanno colto l’occasione neppure i primi fruitori di quelle opere maestose, i proprietari dei terreni sui quali sono state edificate, gli agricoltori e i pastori, che nella stragrande maggioranza dei casi hanno fatto scempio delle costruzioni lasciate dal popolo dei nur. E hanno ignorato a lungo l’arte degli antichi progenitori, arrivando di tanto in tanto a creare mura sgraziate persino sulle cosiddette tombe dei giganti. Hanno lasciato agire indisturbati i ladri, prima arcaici e pronti a scavare a mani nude o con attrezzi rudimentali e poi tecnologizzati e dotati pure di metal detector, che hanno portato via reperti di vario genere, destinati al mercato nero o a fare bella mostra in casa di chissà chi. Hanno lavorato la terra frantumando ogni cosa e solo raramente hanno consegnato alle autorità il materiale rinvenuto.

Oggi qualcuno si sta destando dal torpore e ha compreso che dalla cultura si può anche mangiare, ma la strada appare in salita perché molti siti sono stati irrimediabilmente persi e perché tutto si complica se è vero che i nostri anni stanno vivendo la crisi peggiore dopo quella del 1929. Ciò che rimane, comunque, ha resistito almeno in parte all’azione nefasta dell’uomo, degli agenti atmosferici e dell’età e merita attenzione. Occorre fare sistema e gestire in maniera integrata le diverse risorse, soprattutto laddove, proprio come in Sardegna, le caratteristiche orografiche accentuano le distanze e l’insularità tende più che altrove a schematizzare i flussi turistici. Intanto a Cagliari la Regione prosegue nella sua attività di catalogazione dei beni archeologici, architettonici, storico-artistici, demoantropologici e archeoindustriali. Non è tanto, ma è un lavoro lodevole e indispensabile se si considera che secondo i dati diffusi dal CNR «dai due terzi alla quasi totalità dei giacimenti archeologici presenti sul territorio nazionale non sono censiti».

Innumerevoli, dunque, sono le opportunità alle quali gli italiani hanno detto no. D’altronde il persistente malessere dell’Italia ne è anche la conseguenza. Qualcosa, però, si può ancora fare. Ci sono politici preparati, illuminati, onesti. Ci sono persone, nei vari ambiti della società, che hanno capacità e voglia di agire. Ed è a loro che bisogna dare fiducia per ripartire. La cultura non è un surplus, la cultura è la base di ogni attività umana, muove l’economia, produce civiltà.

1 thought on “La Sardegna e i nuraghi, ossia la cultura come occasione per il futuro

Leave a comment.