Un gruppo di parole
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I Latini riassumevano in un breve frase la funzione dell’arte oratoria: fidem facere et animos impellere, ossia convincere razionalmente e persuadere emotivamente, commuovere. Per ottenere questo effetto, la retorica si basava su precise regole volte a individuare gli strumenti comunicativi più adatti alla persuasione dell’uditorio: argomenti ben strutturati, prove a favore delle proprie tesi e grande capacità di captare lo stato d’animo degli ascoltatori al fine di suscitare in essi emozione e coinvolgimento.

L’abilità oratoria è, ancora oggi, l’elemento principale della persuasione, ma sono cambiati in modo drastico le modalità comunicative e gli strumenti utilizzati per la diffusione del messaggio politico.

In Italia, il primo grande esempio del potere suasivo delle parole è rappresentato dalla propaganda fascista, supportata anche da personaggi di spicco nel panorama letterario e artistico dell’epoca come Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti. Il massiccio utilizzo di slogan, l’aggettivazione enfatica, le domande retoriche davanti alle folle oceaniche a cui il duce usava rivolgersi sono solo alcuni degli artifizi della retorica mussoliniana. A essi si accompagnava un’attenta modulazione della voce, una gestualità talvolta plateale, l’utilizzo di miti e simboli del passato e, non ultimo, un preciso studio delle scenografie che dovevano fare da sfondo ai proclami del dittatore.

La storia ci insegna che nei regimi totalitari l’immedesimazione delle masse nella figura del capo è elemento fondamentale per il mantenimento del potere. Ma osservando con attenzione l’evoluzione delle vicende politiche italiane, anche in democrazia, più che il senso di appartenenza a una determinata ideologia è la figura accentratrice dei leader di partito a fare da spartiacque nelle competizioni elettorali, soprattutto in virtù delle loro capacità oratorie. Fino agli anni Ottanta, personaggi come De Gasperi, Togliatti, Moro, Nenni, Berlinguer e via dicendo, hanno catalizzato l’attenzione degli elettori ognuno con uno stile comunicativo personale, talvolta enfatico, altre volte asciutto e disadorno, ma non standardizzato. In anni più recenti si è invece assistito a una nuova e progressiva spettacolarizzazione della politica, soprattutto grazie al massiccio utilizzo del media televisivo, in cui diventa talvolta difficile individuare differenze sostanziali nel linguaggio politichese. Questa standardizzazione comunicativa si evidenzia nell’impoverimento del lessico utilizzato; i leader politici prediligono un vocabolario ristretto, che normalmente non supera le quattrocento parole diverse, per raggiungere le persone di qualsiasi estrazione sociale e culturale. In un Paese come l’Italia, in cui si legge poco e si è particolarmente affezionati a programmi diseducativi in cui le regole grammaticali non hanno un grande valore, è quasi inevitabile giungere alla scarnificazione del linguaggio a cui stiamo assistendo. In questo processo di impoverimento culturale e politico, il mezzo televisivo ha un’importanza fondamentale; esso contribuisce non tanto alla diffusione delle ideologie dei vari schieramenti, quanto a quello che è stato definito da Paolo Mancini nel suo Manuale di comunicazione pubblica, come la “personalizzazione della politica”: la televisione favorisce «la costruzione di persone, cioè di maschere teatrali con cui gli spettatori possano identificarsi e immedesimarsi. […] La personalizzazione della politica non dipende solo dalla possibilità di accesso diretto alla comunicazione di massa da parte dei politici e dei candidati, ma è legata alle stesse logiche espositive della televisione che privilegia le singole persone, le figure umane, le storie ed i racconti ad esse collegate, le emozioni che le accompagnano. È più difficile rappresentare in televisione istituzioni complesse e spesso impersonali, come i partiti. Più facile è dare spazio ai loro leader».

Un esempio importante di comunicazione politica è quello del discorso fondativo. Quando si fonda un partito e un potenziale nuovo leader si propone come colui che cambierà le sorti di una nazione, è fondamentale la conquista immediata del pubblico elettore. Per ottenere questo risultato, è possibile attuare due strategie opposte: quello che è stato definito dal semiologo Algirdas Julien Greimas “mascheramento oggettivante” consiste nell’utilizzo di un linguaggio impersonale in cui l’oratore si nasconde dietro ai fatti narrati e non appare mai in prima persona. La strategia alternativa è invece il cosiddetto “mascheramento soggettivante” che consiste nel far leva sull’autorità dell’oratore per convincere l’uditorio che le tesi esposte siano vere senza ombra di dubbio. In questo caso, chi parla utilizza se stesso come modello, si esprime in prima persona e si rivolge direttamente al suo pubblico. L’esempio emblematico di questa seconda strategia lo si ritrova nel discorso che Silvio Berlusconi pronunciò il 26 gennaio 1994. Utilizzò un linguaggio semplice e diretto, per un totale di circa milletrecento parole, coadiuvato da una scenografia altrettanto poco elaborata ma d’effetto: un ambiente domestico con una foto della famiglia bene in vista in grado di colpire emotivamente il suo pubblico.

L’aver permesso alla gente di entrare a casa sua, seppure attraverso l’occhio di una telecamera, ha in qualche modo rivoluzionato il rapporto tra un potenziale leader e i suoi altrettanto potenziali elettori. Ha umanizzato la figura del politico, facendolo apparire come una persona qualunque, un vicino di casa, un amico, un confidente.

Contestualmente, la competizione politica è stata approcciata come un prodotto commerciale che pertanto deve seguire precise regole di marketing: si procede all’analisi del mercato, rappresentato in questo caso dal bacino elettorale, e alla successiva elaborazione della strategia da porre in essere per ottenere il miglior risultato possibile. Le strategie comunicative vengono poi differenziate in base al pubblico a cui ci si vuole rivolgere: nessun partito politico può infatti sottovalutare il cosiddetto marais, ossia gli elettori che hanno scarso interesse per la politica. A costoro sarà necessario rivolgersi in modo differente per catturarne l’attenzione e sperare di conquistarne il voto.

La tendenza di questi ultimi anni, segnati da una profonda crisi economica, è quella di parlare alla pancia degli elettori, utilizzando non tanto un linguaggio semplificato, quanto attingendo a un lessico volgare, da taverna. La prima forza politica a introdurre parole scurrili per giungere in modo diretto agli elettori è stata la Lega Nord. Il celodurismo bossiano, unito a una gestualità poco elegante, è diventato simbolo di una rivoluzione che è partita dal basso dando voce a un malcontento istintivo, non preconfezionato, per perdersi infine anch’essa negli agi di palazzo. L’ultima frontiera del turpiloquio è oggi rappresentato dal Movimento Cinque Stelle e in particolare dal suo leader, Beppe Grillo. Lo sfogo di intere generazioni di esasperati passa quindi attraverso una mediocrità espressiva che non favorisce, a parere di chi scrive, la crescita intellettuale e morale dei cittadini. La protesta è legittima, ma la lingua italiana è talmente ricca di vocaboli affilati e pungenti da non essere giustificabile in alcun modo l’imbarbarimento lessicale a cui assistiamo. Imbarbarimento che non dipende esclusivamente dall’utilizzo di una terminologia volgare, ma anche, troppo spesso, dall’incapacità di formulare un discorso corretto dal punto di vista sintattico e grammaticale.

Sono lontani i tempi del bello stile, che seppur riferito alla letteratura, era certamente più affine a un Paese che vanta una tradizione culturale, artistica e linguistica senza pari e che merita, come i suoi cittadini, il rispetto incondizionato di chi si è volontariamente assunto la responsabilità di rappresentarlo. A costoro spetta l’arduo compito di risollevare le sorti del Paese; lastricare la strada della crescita con la buona educazione e con un linguaggio appropriato potrebbe essere un buon inizio.

Fonti:
Maria Squarcione, Il linguaggio politico italiano: verso la Terza Repubblica e oltre. Contributi per una storia del linguaggio politico nell’Italia del 2000.
Luis Costa Bonino, Manuale di marketing politico.
www.treccani.it

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