Il suo colore naturale è il giallo e viene prodotta a Orgosolo da centinaia di anni. Una specie di baco da seta, denominata razza Orgosolo, che, importata in Sardegna dai Gesuiti nella prima metà del sedicesimo secolo, trova casa nel paese barbaricino dove a prendersene cura sono le sue donne.
“La mia famiglia tramanda la tradizione da circa 200 anni”, racconta Maria Corda, classe 1961, che oggi gestisce il laboratorio- museo Tramas de Seda, “per tenere viva un’arte che fa parte della storia e cultura della nostra isola”. Con la seta le donne confezionavano il copricapo da sposa del costume orgolese, detto, in lingua sarda, Su Lionzu. Una peculiarità dell’identità isolana. “Sono l’unica in Europa a occuparmi di tutta la filiera, dall’allevamento dei bachi da seta alla tessitura”. Confeziona il suo primo ricamo per l’abito tradizionale a nove anni.
Dopo essersi occupata della conservazione e trasmissione di quest’ arte con passione e orgoglio di famiglia, decide di dedicarvisi a tempo pieno e realizzare una fattoria didattica. “Sono quelle maestrie che dobbiamo custodire per preservare la nostra identità e che la Regione Sardegna dovrebbe sostenere. D’altronde non sono necessari grandi investimenti in denaro per consentire alle scuole di visitarla”.
Il 25 aprile, per la festa di San Marco, si usava far benedire su semene bachi (in lingua sarda), le uova del baco da seta, nella chiesa campestre del santo. Le donne mettevano su semene fra i seni per proteggerlo. Si credeva che la benedizione fosse andata a buon fine perché le uova si schiudevano qualche giorno dopo.
L’allevamento dei bachi da seta e la tessitura di Su Lionzu costituivano un lavoro vero e proprio. Le donne orgolesi fino alla prima metà del secolo scorso, facevano ancora tutto da sé: allevavano i bachi da seta per la produzione della fibra e preparavano l’ordito che poi consegnavano alla famiglia di Maria per la tessitura. “Nonna nel 1936 con l’aiuto di due sorelle confezionò novantasei copricapi”.
La tessitura tradizionale richiede cura, pazienza e molto tempo. “Produco il copricapo come veniva fatto 200 anni fa. Non è un capo che può stare nel mercato”. Ma non importa, perchè è far conoscere quest’arte tramite la divulgazione e promozione culturale nelle scuole e nei circuiti turistici il suo obiettivo. Con la seta crea anche gioielli in stile col costume paesano che poi vende ai turisti. Per la festa della domenica delle Palme confeziona e vende i portafortuna tipici del paese, detti sa Lezzeta. In passato era il portafortuna dei poveri che si faceva con gli avanzi della stoffa: un sacchetto che conteneva le erbe benedette e che si faceva indossare ai neonati o appendere alla culla. Lei lo crea con gli scampoli di stoffa del fazzoletto dell’abito tradizionale che tiene raccolti i capelli della sposa, poi lo riempie di elicriso, lavanda e santorina, raccolte nei campi dopo la benedizione, rifinisce il tutto con ricami della sua seta. “E’ un altro modo per preservare la memoria di un’antica usanza”.
Su Lionzu è largo trenta centimetri e lungo un metro e mezzo, è giallo come lo zafferano con cui viene tinteggiato e ha i bordi neri. “Ma l’ordito mantiene il suo colore naturale. Durante la tessitura inseriamo anche tre fili di seta verde, azzurra e rossa che acquistiamo”.
L’allevamento dei bachi da seta inizia i primi di maggio in coincidenza con il germogliare degli alberi di gelso e si svolge in casa. Le larve vengono deposte dentro delle piccole casse di legno e per 45 o 50 giorni si nutrono di foglie di gelso. Trascorso un mese e poco più il bruco smette di mangiare ed emette una bava che a contatto con l’aria diventa filo, la seta, inizia così a costruire il suo bozzolo. A quel punto la bachicultrice gli crea l’habitat naturale, fatto di arbusti e foglie, affinché possa trovare il suo spazio. Quando i bruchi hanno fatto il bozzolo, ne preleva dieci coppie per l’accoppiamento (il bozzolo femmina è di forma rotonda, quello maschio allungata) e le sistema in un’altra cassetta. Dopo una decina di giorni nascono le farfalle che depongono su semene bachi, le uova che, tenute al fresco, vanno in letargo fino alla primavera successiva.
Dai bozzoli si estrae la seta, ma perché ciò avvenga è necessario arrestare il ciclo vitale della crisalide che si trova dentro il bozzolo per mantenerne l’integrità. “Mia nonna li metteva dentro il forno caldo dopo aver cotto il pane. Io li lascio una notte in frizer”. Poi a mano e lentamente si tira fuori il filo, se ne forma una matassa e poi la si suddivide in tanti rotoli. Occorre molto lavoro, tempo e materia prima per arrivare al prodotto finale. “Solo per l’ordito impieghiamo un centinaio di bozzoli. Su Lionzu è l’unico capo di un costume tradizionale interamente prodotto sul posto”.
Il lavoro al telaio a mano è lento e delicato: per mettere su l’ordito occorrono almeno otto donne e tre per fare la tessitura. La seta è una fibra delicata che si annoda facilmente e non sono pochi gli imprevisti. “Quando va tutto liscio si riesce a tessere venti centimetri di stoffa al giorno. Per mettere a telaio quattro copricapi ci vuole almeno un anno”.
La lentezza è dunque una caratteristica del lavoro al ricamo e della tessitura a mano. Maria ne rileva il grande valore didattico qualora, come le è capitato in passato, venissero proposti e svolti dei laboratori ad hoc nelle scuole. “E’ un’attività che induce a fermarsi per pensare e riflettere, insegna ad avere pazienza e saper aspettare”.