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Articolo di Daniela Zini

Alamut, il Vecchio della Montagna, la Setta degli Assassini… aleggiano nelle nostre menti, sprigionando un’aura solforosa di romanticismo esotico, soprattutto, da quando Amin Maalouf – molto più a suo agio nel romanzo che nella storia – e Vladimir Bartol si sono impadroniti della vita del Vecchio della Montagna, Hassan Ibn Sabbah, per farne il punto centrale di due romanzi di una rara qualità: Samarkand e Alamut.
Il termine Assassini compare, per la prima volta, nelle cronache dei Crociati per designare gli affiliati di una setta musulmana, guidata da un misterioso Vecchio della Montagna, i cui costumi e le cui credenze li rendono “abominevoli sia ai buoni cristiani sia ai buoni musulmani”.
È il rapporto di un emissario, in Egitto, dell’Imperatore Barbarossa, recante la data del 1175, che ne fa, per la prima volta, menzione:

“(…) esiste una certa razza di saraceni che, nel loro dialetto, si chiamano Heyssessini, e in romano, Segnors de Montana. Questi uomini vivono senza leggi; mangiano carne di maiale, inosservanti alla legge dei saraceni, e dispongono di tutte le donne, senza distinzione, comprese le proprie madri e le proprie sorelle. Vivono sulle montagne e sono, di fatto, invincibili perché trincerati in castelli ben fortificati. (…) Hanno un Maestro che terrorizza, enormemente, tutti i Principi saraceni vicini o lontani, come pure i vicini Signori cristiani, perché è solito ucciderli in modo stupefacente. (…) in questi palazzi, fa venire, fin dalla loro infanzia, molti figli di contadini. Fa loro apprendere diverse lingue, quali la latina, la greca, la romana, la saracina e molte altre ancora.
(…) si insegna ai giovani a obbedire a ogni ordine e parola del Signore della loro terra, che darà loro le gioie del paradiso perché ha potere su tutti gli dei viventi. (…) Il Principe dà allora a ognuno di loro un pugnale d’oro e li manda a uccidere qualche Principe di sua scelta.”

Più tardi, il cronista Guglielmo di Tiro menziona la setta in poche righe:

“Il legame di sottomissione e di obbedienza che unisce questi individui al loro capo è così forte che non vi è compito così arduo, difficile o pericoloso che ciascuno di loro non accetti di adempiere con il più grande zelo quando il questi lo ordini. (…) La nostra gente come i saraceni li chiama Assassini; l’origine di questo nome è sconosciuta.”

Secondo minuziose ricerche effettuate da Bernard Lewis, è, nel 1192, che la setta punisce la sua prima vittima cristiana: Corrado di Monferrato, Principe di Gerusalemme. L’assassinio ha grande eco nella comunità cristiana di Oriente, portando l’attenzione di molti cronisti su questa strana e pericolosa setta di fanatici.
Il cronista Arnold di Lubecca riferisce le voci di alcuni testimoni:

“Quel vecchio, con la sua magia, ha, talmente ottenebrato le menti degli uomini del suo paese che non venerano né adorano altro Dio al di fuori di lui. Li adesca, in modo strano, con tali aspettative e con la promessa di tali piaceri, in una gioia eterna, che preferiscono morire piuttosto che vivere. Molti di loro sono anche pronti, a un suo ordine o a un suo semplice gesto, a gettarsi dall’alto di una muraglia e a morire di una morte atroce, fracassandosi il cranio. I più fortunati sono coloro che versano sangue umano e che, in contropartita, trovano loro stessi la morte. (…) (Il vecchio) fa vedere loro, con la sua magia, certi sogni fantastici, pieni di delizie e di piaceri, piuttosto con una impostura, e promette loro il possesso eterno di tali beni come ricompensa a tali azioni.”

Queste tre testimonianze rivelano un aspetto importante del mito degli Assassini: quello che colpisce l’immaginazione dei cristiani delle Crociate è il carattere fanatico del loro metodo più che l’assassinio in sé!
Si noti che il rapporto all’Imperatore Barbarossa è più ricco di informazioni rispetto alle altre testimonianze, che sembrano, unicamente, registrare la dimensione fanatica degli Assassini. Il testo, infatti, li accusa di rapporti incestuosi con le proprie madri o/e le proprie sorelle: è un’accusa che si trova in molti processi per stregoneria e dell’Inquisizione.
Questa testimonianza è attendibile o riflette una volontà dell’autore e, dunque del potere imperiale del Sacro Impero – di demonizzare questa setta, utilizzando un lessico, abitualmente, riservato agli eretici?
Comunque sia, molto più tardi, un prete di nome Brocardus (ancora un cittadino del Sacro Impero Romano Germanico!) redige un trattato per il Re di Francia Filippo IV, nell’intento di illuminarlo sull’impresa crociata che intende intraprendere. Grande viaggiatore, il prete mette in guardia il sovrano da molti pericoli, quali:

“(…) i maledetti Assassini che si debbono evitare. Vendono se stessi, hanno sete di sangue umano, uccidono innocenti dietro compenso e non si preoccupano né della vita né della salvezza dell’anima. Come demoni, si trasformano in Angeli di Luce, assumendo gesti, abiti, lingue, costumi e azioni di diversi popoli e nazioni; così, coperti di pelli di pecora, subiscono la morte appena sono riconosciuti.”

Si osservi come l’avvertenza del prete Brocardus al Re di Francia risenta di una influenza inquisitoria. Si è visto, infatti, nel rapporto a Barbarossa, che gli Assassini apprendevano usi e costumi dei loro nemici per meglio infiltrarsi e sorprenderli. In bocca a Brocardus, questo “talento” si trasforma in una stregoneria con l’indubbio scopo di assimilarli agli eretici.
Appena più tardi, il fiorentino Govanni Villani racconta di un cospiratore che aveva mandato al suo peggiore nemico “i suoi assassini venuti dalle montagne dell’Oriente”.
Guglielmo di Tiro riferisce di un incontro tra Templari e Assassini. Per ottenere l’alleanza dei Cavalieri del Tempio, il Vecchio della Montagna non aveva esitato a sacrificare i suoi uomini …

Il veneziano Marco Polo, che avrebbe attraversato la Persia, intorno al 1273, dà una testimonianza abbastanza precisa dei costumi degli uomini di Alamut, tuttavia, la controversia che circonda il personaggio di Marco Polo vieta di prenderlo in considerazione come le fonti citate; tuttavia, anche se Marco Polo non avesse effettuato il suo famoso viaggio, fosse stato, semplicemente, imprigionato in Oriente e avesse compilato le testimonianze dei suoi compagni di sventura, non si potrebbe non essere sconvolti dalla veridicità della descrizione che fa della setta:

“Lo Veglio è chiamato in loro lingua Aloodin. Egli avea fatto fare tra due montagne in una valle lo piú bello giardino e ‘l piú grande del mondo. Quivi avea tutti frutti (e) li piú begli palagi del mondo, tutti dipinti ad oro, a bestie, a uccelli; quivi era condotti: per tale venía acqua a per tale mèle e per tale vino; quivi era donzelli e donzelle, li piú begli del mondo, che meglio sapeano cantare e sonare e ballare. E facea lo Veglio credere a costoro che quello era lo paradiso.
(…) E quando lo Veglio vuole fare uccidere alcuna persona, fa tòrre quello che sia lo piú vigoroso, e fagli uccidire cui egli vuole. E coloro lo fanno volontieri, per ritornare al paradiso; se scampano, ritornano a loro signore; se è preso, vuole morire, credendo ritornare al paradiso.”

Se l’interesse per questa setta dissidente conosce un regain, è perché i media, dall’attentato omicida del World Trade Center, si concentrano a trovare un parallelo tra i metodi impiegati dalla setta dell’XI secolo e quelli utilizzati da al-Qaida!
Certo, esistono evidenti somiglianze tra le due entità in questione; l’origine sociale dei due leaders, a esempio, i metodi di combattimento…
Tuttavia, si potrebbero, anche, elencare, altrettante diversità: nazionalismo persiano per gli Assassini, internazionalismo nel reclutamento da parte di Ben Laden; santuarizzazione del potere in un solo luogo, Alamut, per gli Assassini, lunga itineranza per al-Qaeda; assassinio politico da parte di Alamut, assassinio di massa per Ben Laden…
Possiamo, infine, domandarci se i metodi utilizzati dai terroristi non siano tutti gli stessi: segnare gli spiriti, colpendo, vigliaccamente, innocenti sotto gli occhi di tutti!

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