La celebrazione della Pasqua ha origini lontane; come altre festività cristiane, deriva da riti pagani antichissimi. Il nome è rivelatore: Pasqua deriva dall’aramaico Pasha (in ebraico Pesàh), passato nelle lingue romanze attraverso il latino Pascha.
Pasha (che significa “passare oltre”) era una celebrazione primaverile semita in cui aveva un ruolo centrale l’immolazione degli agnelli. Un altro rito legato alla Pasha è la Hag hamatzot, di cui il pane azzimo era il simbolo. Le due celebrazioni divennero una sola fino a fondersi, ai tempi di Mosè, con i riti cristiani: il sacrificio dell’agnello, il “passare oltre” degli Ebrei dalla schiavitù in Egitto all’essere liberi, la cena pasquale con il pane azzimo e un uovo. Allo stesso modo la Pasqua cristiana indica il passaggio dalla morte alla resurrezione del figlio di Dio, anche perché, come ci racconta il Vangelo di Marco, la Passione di Cristo avvenne due giorni prima della Pasqua ebraica.
Molti dei riti antichi si sono tramandati fino a noi: il simbolo di fertilità, di rigenerazione, di rinascita primaverile vive ancora attraverso l’esposizione di su nénniri; altrettanto si può dire della simbologia dell’agnello, dell’uovo e del pane non lievitato (il pane dell’eucaristia).
A queste tradizioni se ne sono aggiunte delle altre, una delle più importanti è la teatralizzazione della liturgia.
La teatralizzazione della liturgia: le sacre rappresentazioni in Sardegna
In particolare dal Medioevo, sebbene diffusa fin dalla nascita del cristianesimo, ebbe notevole impulso la teatralizzazione della liturgia. Gli ordini monastici sentivano la necessità di indottrinare il popolo, ormai incapace di comprendere il latino, e il mostrare con la recitazione i momenti fondamentali della storia di Cristo offriva loro l’opportunità di avvicinare i fedeli alla Chiesa.
Un eccesso di libertà nell’interpretazione delle Scritture facilitò la contaminazione della liturgia con nuovi elementi pagani; anche per questo motivo la Chiesa affidò alle Confraternite l’organizzazione delle manifestazioni paraliturgiche.
Grande impulso ebbero le sacre rappresentazioni in età spagnola: in Sardegna e nelle altre regioni mediterranee dominate dagli Spagnoli per lungo tempo, la teatralizzazione assume caratteri particolarmente drammatici e patetici. Ovunque nell’Isola, durante la Settimana Santa, si assiste alle processioni di uomini incappucciati che indossano tuniche di foggia spagnola. Gli abiti, la presenza di fiaccole, i canti, la gestualità rendono l’atmosfera molto suggestiva. Tale tradizione giunse nell’Isola in particolare attraverso i Padri Mercedari, ma anche qui furono le Confraternite a portarla avanti fino ai giorni nostri. Benché si trovino degli elementi comuni in quasi tutte le manifestazioni paraliturgiche della Settimana Santa in area mediterranea, ognuna mantiene le proprie peculiarità. Allo stesso modo, in Sardegna ogni località interpreta, pur seguendo un filo comune, la liturgia secondo le proprie tradizioni.
I momenti della Settimana Santa
La Settimana Santa è scandita dalla rievocazione di alcuni eventi della vita di Cristo; si comincia la Domenica delle Palme, sas Prammas, che ricorda il momento in cui Gesù entrò a Gerusalemme, davanti alle genti in festa che lo accolsero con palme e rami d’olivo.
Lunedì e Martedì Santo sono legati a Sos Misterios, i Misteri dolorosi, in cui si mettono in scena la passione e la morte di Cristo. Queste rappresentazioni sono caratterizzate dalla presenza di alcuni oggetti simbolici quali il calice, la catena, la corona di spine, la frusta, la scala ecc.
Il Giovedì Santo ha inizio il Triduo Pasquale con la rievocazione dell’Ultima Cena (Missa in Coena Domini), la lavanda dei piedi, l’allestimento dei sepolcri, la disperazione di Maria in cerca di suo figlio (su Lavabu, sos Sepurcros, sas Chircas).
Il Venerdì Santo è un momento particolarmente sentito e toccante. È il giorno della Via Crucis, della Processione del Cristo morto e dell’Addolorata, della deposizione di Cristo dalla croce (Iscravamentu). Il Sabato, invece, è il giorno dell’attesa. Si procede alla benedizione dell’acqua e del fuoco, come avveniva per i riti pagani, con successiva accensione del cero pasquale, simbolo del trionfo della luce sulle tenebre.
La Domenica di Pasqua si celebra la Resurrezione di Cristo con il toccante momento dell’incontro (s’Incontru) tra la Vergine e Gesù risorto.
Le sacre rappresentazioni come genere letterario
Nella Sardegna spagnola, le produzioni letterarie erano generalmente espresse nella lingua dei dominatori. Sorte diversa toccò, invece, alle composizioni didascaliche e alle sacre rappresentazioni, rivolte quasi esclusivamente al popolo incolto quale forma di educazione e avvicinamento alla fede, generalmente scritte in sardo.
Fa eccezione la prima sacra rappresentazione di cui si ha notizia in Sardegna, scritta in castigliano: La Passiòn de Christo nuestro Señor di Giovanni Francesco Carmona, messa in scena nella chiesa di San Saturnino a Cagliari il giovedì santo del 1629.
Tra gli autori che scrissero in sardo testi teatrali legati alla liturgia spicca Fra Antonio Maria da Esterzili, vero fondatore della sacra rappresentazione in Sardegna e autore della prima opera letteraria in campidanese. Nato a Esterzili nel 1944/1945, gli elementi biografici del frate giunti fino a noi sono pochissimi giacché fu coinvolto in uno scandalo sessuale e si cancellarono le informazioni che lo riguardavano. Si sa che prese i voti a venticinque anni e che nel 1688, anno in cui scrisse il Libro de comedias, forse per riabilitarsi agli occhi della Chiesa, si trovava nel convento di Sanluri.
Il manoscritto contiene la Conçueta del Nacimiento de Christo, la Comedia de la Passion de nuestro señor Jesu Christo, la Representaçion de la comedia del Desenclavamiento de la Cruz de Jesu Christo nuestro señor, i Versos que se representan el Dia de la Resurrection, e la Comedia grande sobre la Assumption de la virgen Maria señora nuestra a los cięlos più alcuni frammenti. Non traggano in inganno i titoli in spagnolo: i testi delle opere sono in campidanese, con note in castigliano.
Ancora oggi, numerose compagnie teatrali portano in scena le opere di Antonio Maria da Esterzili, soprattutto durante la Settimana Santa.
La liturgia cantata
Un altro elemento importantissimo della liturgia pasquale è rappresentato dai canti. Alcuni si sono conservati in latino (Miserere, Stabat Mater), altri si sono tramandati oralmente da un passato lontano, altri ancora sono di origine colta, ovvero scritti appositamente per le celebrazioni religiose. Nella tradizione orale sono famosi i gosos, o goccius, composizioni religiose popolari di origine molto antica. Tra gli autori che hanno scritto gosos dedicati alla Settimana Santa ricordiamo, nel Settecento, Maurizio Carrus e Bonaventura Licheri; nell’Ottocento, Melchiorre Murenu, Fra Gavino da Ozieri e Giovanni Battista Licheri; nel Novecento, Cosimo Manca.
Tra gli autori citati, merita una particolare menzione Melchiorre Murenu, l’aedo di Macomer, nato nel 1803. La sua opera deriva dalla poesia “a bolu”, ossia orale e improvvisata. È ricordato come l’Omero dei poveri per il suo scagliarsi contro i mali della società, la povertà, la libertà di costumi. Cieco e orfano fin da piccolo, era analfabeta ma, grazie a una memoria portentosa, riuscì ad acculturarsi frequentando la chiesa. Le sue poesie seguono una metrica rigorosa e spaziano dal profano al sacro. Uno dei suoi gosos più famosi è Madre ‘e dolore, cantato ancora oggi durante i riti della Settimana Santa, soprattutto nel Màrghine.
Nel Novecento emerge, invece, la figura di Pietro Allori, compositore infaticabile, nato a Gonnesa nel 1925. Fu Maestro di Cappella presso la cattedrale di Iglesias fino al 1985, anno della sua morte. La forma da lui più usata è quella della corale polifonica, con una presenza notevole di opere composte per la liturgia della Settimana Santa. Ha scritto messe, mottetti e composizioni liturgiche e profane in latino, italiano e sardo.
Benché le opere dedicate alla Settimana Santa non siano scritte in limba, il suo essere sardo emerge con forza nella musica, come ricorda Egidio Saracino nel suo libro La liturgia della memoria nella polifonia di don Pietro Allori:
“[…] non si comprenderebbe la scelta di un linguaggio, quello polifonico, oggi in disuso anche per pregare, se non si tenesse conto per l’Allori delle ragioni del suo essere sardo, del suo appartenere a una terra di gelosie interiori, d’innamoramenti non subitanei ma tenaci, di valori celati, di fuochi sopiti e di coraggi profetici. È dunque musica che si alimenta dei segreti umori appartenenti agli azzurri solatii della terra di Sardegna.
Nella struttura del suo contrappunto, con la linea melodica quasi sempre affidata al canto dei soprani, si riconosce quell’armonizzare arcaico delle voci popolari a tenores. La melodia sembra talvolta echeggiare antiche melopee di questa civiltà impietrita nel tempo. Il colore, a cui le voci miste tendono, è come impastato da improvvise illuminazioni e da altrettante repentine penombre: le stesse penombre raccolte in certa rassegnata nobiltà del più umile canto contadino.”
Anche nelle composizioni colte non si perde, dunque, quello stretto legame con il popolo, con la sua necessità di pregare cantando, col suo sentirsi, soprattutto durante la Settimana Santa, più vicino a Dio.
Fonti
Libro de Comedias – Frate Antonio Maria da EsterziliGiovanni Dore – Gosos e TernurasUnione MarghineSardegna CulturaFranco Stefano Ruiu – I riti della Settimana Santa in SardegnaClaudio Bernardi – La drammaturgia della Settimana Santa in Italia
Foto: Carmen Bilotta