Il contributo fornito dai viaggiatori del passato alla definizione geografica terrestre ha rappresentato un punto di riferimento epocale per lo sviluppo degli orizzonti conoscitivi riguardante il lontano ignoto, quel misterioso anello mancante cui la peregrinazione ed il racconto hanno dato un’immagine visiva, poi un nome, infine un segno lineare impresso in maniera indelebile su un foglio di carta. L’ideazione di una possibile nuova scoperta o il desiderio di ripercorrere una direzione non del tutto completata, il suo raggiungimento, e i correlati neologismi codificati hanno costituito quindi la nascita di una tecnologia visiva di riporto geografico risultata fondamentale per allargare le conoscenze territoriali e continentali, lasciandoci in eredità il suo prodotto, espresso in mappe. Nel corso dei secoli, questa tecnica è divenuta uno strumento “informale” per una potenza o un sovrano per scrutare le possibili zone di interscambio commerciale, nel caso delle Americhe e dell’Africa un avamposto alle future occupazioni coloniali.
L’orientamento del viaggio, all’inizio del 1500, si stava ramificando in una triplice rotta: ad ovest, Colombo stava portando a compimento la scoperta del Nuovo Mondo, a sud cominciavano le spedizioni circumnaviganti di Magellano e Pigafetta, aventi come obiettivo l’Oceano Indiano, mentre ad est diversi esploratori percorrevano l’antica e consolidata via della seta, per parte mediterranea occupata dalla impressionante progressione di dominio ottomana.
In questa epoca di transizione appare opportuno distinguere tra il viaggio commissionato, dotato di un apparato finanziario ed organizzativo, e quello solitario, figlio della propensione dell’individuo allo spirito di adattamento ma soprattutto votato alla conoscenza dell’affascinante diversità, con l’obiettivo di contribuire in maniera originale ed innovativa alla descrizione planetaria.
Fuoriescono da quest’ultimo canone un po’ romantico ed un po’ avventuroso gli Itinerari di Ludovico de Varthema, Bolognese nello Egitto, nella Surria, nella Arabia deserta e felice, nella Persia, nella India e nella Etiopia. Un viaggiatore del Cinquecento, uno fra i tanti, di (probabile) tessuto bolognese, partito da Venezia desideroso di raggiungere un obiettivo conoscitivo e culturale manu propria, indipendente dai canoni di progettualità espansiva dei “colleghi su commissione”, che ci ha trasmesso un compendio importante per la definizione di certi luoghi non ancora esplorati da alcuno a quel tempo. Il nostro narratore infatti riuscì ad incunearsi nella direzione meccana e medinese sfidando il divieto imposto ai non musulmani, come un fallace mentitore si dichiarò un fedele islamico “essendo desideroso di vedere cose diverse”, raggiungendo i luoghi sacri e arrivando a produrre la prima descrizione semi veritiera sulla città sede della Ka’ba e su quella della tomba del Profeta, che costituirà un apporto fondamentale alla cartografia medio cinquecentesca e secentesca. L’importanza di fondersi appieno nel contesto spinse poi il Varthema ad apprendere la lingua araba, riportata nei suoi itinerari e traslitterata in maniera spesso inesatta, ma che ci aiuta a comprendere il suo tentativo di calarsi nella parte.
Il lungo viaggio dell’autore, che dopo Egitto, Medina e Mecca prosegue fino a raggiungere il Libano, la Siria, lo Yemen, Aden, le coste somale sul Mar Rosso e sull’Oceano Indiano e poi la Persia, l’India, lo Sri Lanka, il Siam, Giava, il Borneo, Mombasa, il Mozambico e poi lo vedono ancora, circumnavigata l’Africa e lambiti i nuovi possedimenti portoghesi, ritornare in Europa, a Lisbona appunto ed infine a Roma, dove nel 1510 fu pubblicato il suo itinerario, ha dovuto necessariamente scontrarsi con difficoltà di natura economica e organizzativa cui ha contrapposto una certa dose di “talentuosa faccia tosta”; lo abbiamo infatti visto raccontare la sua conversione all’Islam sulla via della Mecca, poi continuando nella lettura apprendiamo dei suoi rapporti di amicizia con perfetti sconosciuti e della sua vita con mercanti, regine e guerrieri.
Una vita breve, quella del Varthema, intensa di scambi e di avventure, in cerca forse di una notorietà di ritorno o quantomeno di un riconoscimento per il lavoro svolto, fortunato nel reperire il consenso alla stampa della sua opera, poi tradotta in diverse altre lingue straniere.
L’eredità del suo agire per terre e per mari senza secondi fini è stata dunque da lui riportata, trasmessa e testimoniata in questo suo lavoro, che nulla chiarisce riguardo alla sua misteriosa esistenza ma che molto ci ha permesso di approfondire, immaginare e plasmare la realtà geografica di quel tempo attraverso il suo racconto.
Sulla figura di Ludovico Varthema si leggano:
- Viaggio alla Mecca / Ludovico de Varthema ; prefazione di Franco Cardini ; [a cura di Enrico Musacchio]. – Ginevra ; Milano : Skira, 2010
- Ludovico De Varthema e il suo Itinerario / Pietro Barozzi. – Roma : Societa geografica italiana, 1996