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La verve e il talento istrionico di Lella Costa per “La vedova Socrate” – intrigante e divertente monologo firmato da Franca Valeri che debutterà in prima regionale mercoledì 19 agosto alle 20.30 sul palco de Lo Quarter ad Alghero sotto le insegne del CeDAC per approdare, giovedì 20 agosto alle 20 nell’area archeologica di Nora a Pula – nel cartellone del XXXVIII Festival “La Notte dei Poeti. La pièce – liberamente tratta da “La morte di Socrate” di Friedrich Dürrenmatt (per gentile concessione di Diogenes Verlag AG) – con la regia di Stefania Bonfadelli – sarà poi in tournée nell’Isola – venerdì 21 agosto alle 21.30 al Teatro di Monte Sirai a Carbonia – per le “Notti a Monte Sirai” e infine sabato 22 agosto alle 21.30 nella piazza centrale di San Giovanni di Sinis per il Dromos Festival.

Un inedito ritratto del grande filosofo ateniese dal punto di vista della consorte, della quale le fonti parlano in modo non sempre lusinghiero, per uno spettacolo che indaga sulle questioni sempre attuali della vita coniugale ma anche su “diritti d’autore” e sulla condizione femminile – oggi e nell’antichità: «Mi incuriosiva l’idea di sfatare questa leggenda che Santippe fosse solo una specie di bisbetica – ha spiegato Franca Valeri – Io ne faccio una moglie come tante, con una vita quotidiana piena di alti e bassi, una donna intelligente che del marito vede anche tanti difetti… Mi sono fatta l’idea di una donna forte che ha vissuto accanto a un uomo per noi straordinario ma che per lei era semplicemente un marito e per giunta noioso». E sarà lei – divenuta un’abile antiquaria – oltre a dire la sua su amici e allievi di Socrate, a sostenere come sia inutile e forse insensato indagare sulla vera natura del proprio uomo, basta accettarlo così com’è da vivo e da morto; d’altronde, «la morte di un marito è un così grande dolore che nessuna donna ci rinuncerebbe».

Lella Costa, La vedova Socrate

Omaggio a Franca Valeri – icona della commedia e del cinema italiano – con la mise en scène de “La vedova Socrate”, intrigante originale monologo scritto dall’attrice milanese (che lo interpretò per la prima volta nel 2003) su “istigazione” di Giuseppe Patroni Griffi e liberamente tratto da “La morte di Socrate” di Friedrich Dürrenmatt (per gentile concessione di Diogenes Verlag AG), nell’Isola sotto le insegne del CeDAC nella versione di Lella Costa – per la regia di Stefania Bonfadelli (produzione del CTB/ Centro Teatrale Bresciano con INDA/ Istituto Nazionale del Dramma Antico – da un progetto di Mismaonda).

Trasformatasi in un’abile e accorta antiquaria, Santippe non è più soltanto la vedova di un uomo illustre, ma un’imprenditrice capace di mantenere se stessa e la sua famiglia con i proventi della sua bottega e volgendo lo sguardo al passato coglie l’occasione per stigmatizzare il comportamento non sempre lineare ed encomiabile degli amici e degli allievi di Socrate che frequentavano la sua casa, una “masnada di buoni a nulla” a cominciare da Platone, che a suo dire avrebbe “usurpato” le idee del maestro, trascrivendole fedelmente nei suoi “Dialoghi”. La protagonista lo ridimensiona al rango di copista e visto il successo delle sue opere, vorrebbe da moderna donna d’affari ricavarne la sua quota di diritti d’autore – che le spetterebbe in quanto parte dell’eredità “immateriale” del consorte – prematuramente defunto per aver ingerito la temibile e velenosa cicuta.

Il “suicidio” di Socrate – imposto dal tribunale della città come condanna per il suo presunto “ateismo” o più probabilmente per i suoi pericolosi insegnamenti, che miravano a risvegliare le menti e le coscienze dei suoi discepoli, esortandoli a ricercare la verità e a esercitare la libertà di pensiero – merita un capitolo a parte. La cronaca di quei momenti – in cui s’intuisce la tenerezza e pure il pudore di una sposa davanti a un evento spaventoso e ineluttabile, quell’affetto e perfino quel disincanto che nascono dalla lunga intimità – pone l’accento sull’umanità del filosofo, al di là del suo genio, delle sue folgoranti intuizioni e delle cruciali domande che costituivano l’essenza del suo metodo d’indagine, la sua fragilità ma anche la grande dignità di fronte alla morte.

Lella Costa plasma la “sua” Santippe con le parole di Franca Valeri, restituendone il sottile umorismo e la critica alla società – a cominciare dalle discriminazioni contro il genere femminile e non a caso la moglie di Socrate medita di dedicarsi a sua volta alla scrittura di un nuovo “Dialogo” di cui sarebbero però protagoniste le donne. Nel suo ricordo anche Alcibiade – oratore e personalità di spicco nella realtà politica di Atene e della Grecia del V secolo a. C. – pur tra luci e ombre come il commediografo Aristofane non vengono fuori proprio bene. Ma in questa sua dissertazione – quasi un tardivo flusso di coscienza – alla fin fine Santippe pare voler rivalutare la sua esperienza matrimoniale: seppur severa nel suo giudizio verso gli uomini in generale e quelli sposati in particolare, come sulle donne che tradiscono e ingannano l’altro sesso, invita alla tolleranza o meglio a un sano realismo. Non serve, dice, indagare sulla vera natura del proprio uomo, basta accettarlo così com’è da vivo e da morto; d’altronde, «la morte di un marito è un così grande dolore che nessuna donna ci rinuncerebbe».

SCHEDA DELLO SPETTACOLO

La vedova Socrate

di Franca Valeri

Liberamente tratto dall’opera “La morte di Socrate” di Friedrich Dürrenmatt

per gentile concessione di Diogenes Verlag AG

con Lella Costa

regia Stefania Bonfadelli

produzione CTB / Centro Teatrale Bresciano con INDA / Istituto Nazionale Dramma Antico

progetto a cura di MISMAONDA

Un passaggio di testimone epocale: Lella Costa raccoglie l’invito di Franca Valeri, grande matriarca del teatro italiano, ad interpretare ‘La vedova Socrate’, il testo da lei scritto ed interpretato la prima volta nel 2003. Un concentrato di ironia corrosiva e analisi sociale, rivendicazione disincantata e narrazione caustica.

Liberamente ispirato a ‘La morte di Socrate’ dello scrittore svizzero Friedrich Durrenmatt, nato a seguito dell’intuizione di Giuseppe Patroni Griffi che glielo suggerì, il monologo è ambientato nella bottega di antiquariato ed oggettistica di Santippe, la moglie del filosofo tramandata dagli storici come una delle donne più insopportabili dell’antichità.

“Patroni Griffi ha letto il testo di Dürrenmatt e mi ha detto se ne potevo trarre qualcosa. Mi incuriosiva l’idea di sfatare questa leggenda che Santippe fosse solo una specie di bisbetica -spiega Franca Valeri -Io ne faccio una moglie come tante, con una vita quotidiana piena di alti e bassi, una donna intelligente che del marito vede anche tanti difetti. Nel testo di Dürrenmatt c’è poco di Santippe, per questo, per conoscerla meglio, ho preso delle informazioni su Socrate e ho letto i ‘Dialoghi’ di Platone. Mi sono fatta l’idea di una donna forte che ha vissuto accanto a un uomo per noi straordinario ma che per lei era semplicemente un marito e per giunta noioso”.

Nello spettacolo si sfoga per tutto quello che le hanno fatto passare gli amici di Socrate come Aristofane e Alcibiade, una masnada di buoni a nulla a cominciare da Platone, il principale bersaglio polemico dello spettacolo. Lei non sopporta che abbia usurpato le idee del consorte anche se fu molto fedele nel riportarle. E così lo degrada a un semplice copista e si mette in testa di chiedergli pure i diritti d’autore. Anzi alla fine pensa di poter scrivere lei un dialogo: protagoniste però sarebbero le donne.

Ed è infatti soprattutto alle donne che parla: neanche la vedovanza le toglie il diritto di emanare un giudizio onesto sul comportamento dei mariti, degli uomini in generale e anche di quelle donne che ingannano l’altro sesso. Non serve, dice, indagare sulla vera natura del proprio uomo, basta accettarlo così com’è da vivo e da morto; d’altronde, “la morte di un marito è un così grande dolore che nessuna donna ci rinuncerebbe”.

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