Caserta_jardín
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Pierre Grimal,1 nel suo celebre L’art des jardins: definisce il giardino come “il luogo del sogno e del potere”. Da sempre il giardino rappresenta uno spazio con una forte valenza simbolica e rappresentativa, espressione irrinunciabile di ogni cultura e, per sua natura, evolve in un luogo in cui si sperimentano nuove atmosfere, specie vegetali, percorsi.

Nato da semplici esigenze di sopravvivenza, diviene anche luogo spirituale, di riti religiosi, di esigenze sociali ed economiche. In ogni cultura è un laboratorio puntuale di forme e idee originali, dove con straordinaria libertà si mettono a punto modelli innovativi di comportamenti e tecniche, che in non pochi casi anticipano la filosofia dello spazio dell’architettura e del paesaggio delle epoche successive. Nel tempo moderno il suo dominio sempre di più esce dal recinto del privato e assume una vocazione eminentemente pubblica.

Un ottimo esempio da prendere in considerazione è il parco della Reggia di Caserta, in Italia. Uno spazio che si estende a perdita d’occhio, fino all’orizzonte, che per il piacere del re diviene la proiezione negli esterni di una grandezza nata in continuità con quella del Palazzo, ma è anche una necessità prevalentemente pubblica, che infatti diviene un formidabile medium politico, creato per essere il nucleo della nuova capitale del Regno.

La Reggia di Caserta, progettata dall’architetto Luigi Vanvitelli (1700-1773) e costruita tra il 1752 ed il 1845 per volere di Carlo di Borbone con lo scopo di erigerla quale fulcro del nuovo regno di Napoli. Il fronte del Palazzo e la veduta del giardino reale.
La Reggia di Caserta, progettata dall’architetto Luigi Vanvitelli (1700-1773) e costruita tra il 1752 ed il 1845 per volere di Carlo di Borbone con lo scopo di erigerla quale fulcro del nuovo regno di Napoli. Il fronte del Palazzo e la veduta del giardino reale.

Per quanto sia tradizionalmente inteso come la trasformazione di un luogo dove la rappresentazione di un’idea di natura si può estendere fisicamente tanto quanto si spinge la percezione di un osservatore, la dimensione del nostro habitat è oggi discontinua e molteplice, direi che si spinge fino a dove un atto creativo ha senso come espressione di un valore anche estetico. Per questo possiamo affermare che l’architettura del paesaggio è l’arte dei giardini del nostro tempo.

Xilografie tratte dal «De agricoltura» tradotto in volgare (titolo originale «Liber ruralium commodomm») di Pietro de' Crescenzi (Bologna 1233-1320). Testimonia una straordinaria fortuna del trattato e della permanenza degli ideali classici e medievali nel Rinascimento, con un riconsacrato amore per l'agricoltura, per l'arte che è «necessaria alla conservazione del corpo e della vita.
Xilografie tratte dal «De agricoltura» tradotto in volgare (titolo originale «Liber ruralium commodomm») di Pietro de’ Crescenzi (Bologna 1233-1320). Testimonia una straordinaria fortuna del trattato e della permanenza degli ideali classici e medievali nel Rinascimento, con un riconsacrato amore per l’agricoltura, per l’arte che è «necessaria alla conservazione del corpo e della vita.

Il giardino contiene in sé due componenti, o meglio sensi o categorie, apparentemente discordanti fra loro: l’uno agricolo, intendendo per agricolo il mezzo di nutrimento del corpo, l’altro intellettuale, come nutrimento dello spirito e di legame totale con la natura.

Xilografie tratte dal «De agricoltura» tradotto in volgare (titolo originale «Liber ruralium commodomm») di Pietro de' Crescenzi (Bologna 1233-1320). Testimonia una straordinaria fortuna del trattato e della permanenza degli ideali classici e medievali nel Rinascimento, con un riconsacrato amore per l'agricoltura, per l'arte che è «necessaria alla conservazione del corpo e della vita.
Xilografie tratte dal «De agricoltura» tradotto in volgare (titolo originale «Liber ruralium commodomm») di Pietro de’ Crescenzi (Bologna 1233-1320). Testimonia una straordinaria fortuna del trattato e della permanenza degli ideali classici e medievali nel Rinascimento, con un riconsacrato amore per l’agricoltura, per l’arte che è «necessaria alla conservazione del corpo e della vita.

È chiaro che la storia ci tramanda un’evoluzione del giardino: il senso agricolo, come mezzo di sostentamento della famiglia della gente, successivamente, con l’evoluzione gerarchica della società, è divenuto un luogo di produzione tendenzialmente per soddisfare i bisogni del potere ed in un secondo momento diviene un sistema di scambio vero e proprio, un commercio, assoggettato all’industria dell’agricoltura. Non a caso a dividere le due entità e a dare vita ad un nuovo modo di vedere i due sensi, agricolo ed intellettuale, vi si pone in mezzo la Villa.

La Villa pertanto rappresenta la mediazione tra la futura città e la campagna, tra la cultura contadina e quella urbana. Elemento separatore, la Villa, inaugura così il concetto di gestione del territorio, un potere che tende ad ordinare il mondo, ad imporre regole, al fine di stabilire chi dovrà beneficiare delle risorse della natura. Chi riparerà nella Villa comincerà ad intravedere il giardino come luogo non solo di nutrizione ma anche di esclusivo nutrimento, di isolamento dal quotidiano e di conseguente elezione spirituale. La messa a fuoco del giardino come nutrimento o come ritiro spirituale avverrà cosi in modo graduale, ma andrà sempre più via via prendendo forma.

Incisione con il palazzo-villa fortificato. Da notare il recinto del giardino con gli annessi agricoli, il forno, il giardino segreto con il pomario da un lato, a sinistra la torre colombaria che si erge sulla campagna e in primo piano l'ingresso monumentale con le icone sacre e il pavone. Al centro il riferimento a una delicata storia d'amore, il cavaliere sceso dal cavallo si incontra con la pulzella, mentre presso la capanna una donna fila circondata da animali domestici. E la perfetta rievocazione in cui tutto è armonia nel ciclo della vita.
Incisione con il palazzo-villa fortificato. Da notare il recinto del giardino con gli annessi agricoli, il forno, il giardino segreto con il pomario da un lato, a sinistra la torre colombaria che si erge sulla campagna e in primo piano l’ingresso monumentale con le icone sacre e il pavone. Al centro il riferimento a una delicata storia d’amore, il cavaliere sceso dal cavallo si incontra con la pulzella, mentre presso la capanna una donna fila circondata da animali domestici. E la perfetta rievocazione in cui tutto è armonia nel ciclo della vita.

Come testimoniano alcuni studi archeologici, si può già parlare di un primo hortus in nuce, in riferimento ad alcuni villaggi preistorici costituiti da una sorta di recinto a forma di ferro di cavallo e esteso attorno ad una capanna. Un’area che, in qualche modo, differenziava l’abitare dal produrre, dove la ciclicità dei seminati e dei raccolti si legava a dei riti stagionali e dove la terra limitrofa all’abitare rispetto al paesaggio naturale, come descritto nel testo di Columella,2 cominciava a delineare e a formulare nuove visioni da una disciplina così negletta come l’agricoltura — «davvero sembra mostruoso che un’arte così strettamente necessaria alla conservazione del corpo e della vita sia stata finora perfezionata meno di tutte le altre e che si disprezzi l’unico modo veramente al di sopra di ogni sospetto di arricchirsi e lasciare agli eredi bei patrimoni»? – Così anche Plinio3 che nella descrizione della sua villa di Laurentino conclude: «quanto alla mia villa ella aggiunge a tutto questo le risorse della terra a cominciare dal latte, perché è attorno ad essa che tornando dal pascolo si raggruppano le bestie alla ricerca dell’acqua e dell’ombra>>. È proprio questo il senso che si comincia ad intravedere nella natura stessa del giardino, questo legame diverso, forse anche più complesso, con la natura che alimenta l’uomo e con l’uomo che alimenta o carica di significato la natura e che quindi necessita di protezione da parte sua.

Villa Lante a Bagnaia. Affresco attribuito a Raffaello Motta da Reggio, che tra il 1572 e il 1574 decorò la Loggia della palazzina Gambara, una delle due che costituiscono il complesso. Nel giardino progettato dal Vignola, uno dei più classici nella sua elegante simmetria scandita dai sedici riquadri che precedono la villa, è raffigurata anche la seconda palazzina, prevista dal progetto ma costruita solo più tardi, tra il 1587 e il 1590.
Villa Lante a Bagnaia. Affresco attribuito a Raffaello Motta da Reggio, che tra il 1572 e il 1574 decorò la Loggia della palazzina Gambara, una delle due che costituiscono il complesso. Nel giardino progettato dal Vignola, uno dei più classici nella sua elegante simmetria scandita dai sedici riquadri che precedono la villa, è raffigurata anche la seconda palazzina, prevista dal progetto ma costruita solo più tardi, tra il 1587 e il 1590.

La natura è prodiga nel momento in cui l’uomo dialoga con lei al fine di ricavarne anche nutrimento spirituale. La Villa, pertanto, rappresenta un elemento determinante del giardino, dà un senso architettonico ed un ritmo in quanto pensato e costruito “ad immagine e somiglianza del signore”. L’idea del progettare e pensare un proprio recinto: la natura diviene un prodotto dell’artificio e delle proprie esigenze, politiche-culturali, sebbene nascosto, cioè riprodotta e quindi ripensata, reinventata, riprogettata con la conoscenza all’interno delle sue leggi, del suo ordine, del suo prodursi. La villa è inglobata nel giardino che protegge, ma allo stesso tempo viene esaltata dalla scenografia costruita attorno a sé. Il giardino di fatto racchiude in sé un’immagine non del tutto esplicita del proprietario o dell’architetto, artefice dell’opera; è un’immagine nascosta tra la simbologia e il segno, tra percorsi e specie arboree che rimandano talvolta a mondi vecchi e nuovi. Un “paradiso” dove perdersi e ritrovarsi in nuovo mondo.

La celebre lunetta di Giusto Utens con la veduta della villa e del giardino di Pratolino (Firenze, Museo di Firenze com’era). «Una villa li che il duca di Firenze s'è costruita da dodici anni in qua; per abbellirla ci sta impegnando tutti i cinque sensi della natura. Si direbbe che abbia scelto a posta un luogo scomodo, sterile, montuoso, privo per di più di soggetti per farsi un vanto di andarli a cercare a cinque miglia di là e sabbia il calce ad altre cinque miglia [...] Per a mezzo dell'acqua non solo si creano musiche ed armonie ma si danno svariati movimenti a molte statue e porte e molti animali che si tuffano per bere cose simili. A muovere un solo congegno ecco tutta la grotta piena d'acqua: tutti i sedili vi spruzzano acqua alle natiche e se fuggite risalendo le scale del castello ogni due gradini ne sprizzano — per chi vuol dare tal genere di divertimento — mille zampilli che vi vanno bagnando fino alla cima dell'edificio» (Montaigne, «Viagio in Italia»).
La celebre lunetta di Giusto Utens con la veduta della villa e del giardino di Pratolino (Firenze, Museo di Firenze com’era). «Una villa li che il duca di Firenze s’è costruita da dodici anni in qua; per abbellirla ci sta impegnando tutti i cinque sensi della natura. Si direbbe che abbia scelto a posta un luogo scomodo, sterile, montuoso, privo per di più di soggetti per farsi un vanto di andarli a cercare a cinque miglia di là e sabbia il calce ad altre cinque miglia […] Per a mezzo dell’acqua non solo si creano musiche ed armonie ma si danno svariati movimenti a molte statue e porte e molti animali che si tuffano per bere cose simili. A muovere un solo congegno ecco tutta la grotta piena d’acqua: tutti i sedili vi spruzzano acqua alle natiche e se fuggite risalendo le scale del castello ogni due gradini ne sprizzano — per chi vuol dare tal genere di divertimento — mille zampilli che vi vanno bagnando fino alla cima dell’edificio» (Montaigne, «Viagio in Italia»).

Già di fatto, nella seconda metà del XVIII secolo il giardino diventa luogo da progettare proprio per il ruolo politico e sociale che assume, pertanto diventa disciplina dell’architettura come si può evincere nel secondo libro del Cours d’architecture dell’Ecole des Arts, di Jacques-François Blondel4 tra il 1750 e il 1773. Il giardino come architettura che regola e organizza gli spazi esterni, con vere e proprie stanze verdi e arredi, che connotano le diverse funzioni dell’habitat. Da questo momento in poi il suo progetto diventa un progetto unitario, un universo a sé, la villa e il suo recinto. L’architetto oltre a progettare uno spazio chiuso dovrà progettare anche uno spazio aperto ma in piena continuità concettuale con quello chiuso. Un progetto unitario. In questo Claude Desgots5 è antesignano, e riferendosi a Blondel riconosce la sua intuizione nell’avere unito “lo studio dell’Architettura propriamente detta a quello di piantare i nostri giardini, superando la separazione delle due figure artigianali: l’architetto e il giardiniere. A questo nuovo fenomeno e sulla base di queste ultime considerazioni, Blondel sostiene che il programma di studi, destinato ai nuovi architetti dovrà essere impostato in modo tale che su un metodo più complesso ed organico, ogni architetto, quando progetta un edificio, ne debba anche intravedere il suo giardino e gli elementi di contorno. Un disegno unitario, un nuovo paesaggio dentro il paesaggio, la ricerca di un’armonia tra i giardini e gli edifici. Claude Mollet’, giardiniere, figlio di Jacques, noto giardiniere del duca D’Aumale, scrisse dei trattati ponendo l’accento sulla distinzione tra struttura e ornamenti, legata alla divisione delle due figure artigianali, il giardiniere e l’architetto in stretto contatto con il committente.

Al giardiniere – la cui attività si specifica in più categorie – spetta dunque una conoscenza approfondita della vegetazione nelle sue virtualità formali e compositive, tale da consentire la gestione continuativa del giardino. All’architetto il progetto generale dell’architettura, l’organizzazione dello spazio, così come al pittore, allo scenografo, allo scultore, appartiene l’apparato ornamentale.

Bartolomeo Nazari, «Paesaggio con villa>> (Stra, Villa Pisani). Nella incisione settecentesca delle «Ville di Delizia» così come si può osservare nel dipinto veneto il giardino è contenuto dentro il paesaggio naturale e ne viene esaltato il carattere di finitezza del primo nei confronti del secondo.
Bartolomeo Nazari, «Paesaggio con villa>> (Stra, Villa Pisani). Nella incisione settecentesca delle «Ville di Delizia» così come si può osservare nel dipinto veneto il giardino è contenuto dentro il paesaggio naturale e ne viene esaltato il carattere di finitezza del primo nei confronti del secondo.

La concezione geometrica, strutturale, prospettica del giardino coincide con un’innovazione profonda: la relazione diretta tra il giardino e la villa o il palazzo, e cioè con l’architettura. Un’architettura concepita come rappresentazione assoluta di spazio non può infatti non influenzare in senso costruttivo lo spazio circostante; e la prospettiva, come regola della costruzione e della veduta spaziale, diventa necessariamente il tramite del raccordo tra architettura e natura, che si attua appunto per mezzo dello spazio o della natura ” ideale” del giardino. È facile intendere come lo sviluppo della concezione architettonica, specialmente della villa, nel senso di una più intensa e diretta partecipazione della forma architettonica allo spazio atmosferico e luminoso, abbia determinato un corrispondente sviluppo dimensionale e strutturale del giardino. Il progressivo evolvere della villa verso schemi planimetrici aperti e liberamente articolati lo ha parallelamente sviluppato, sia nel senso dimensionale, sia nel senso di una ricerca di grandi e varie prospettive, la cui attuazione richiede, meglio che una lineare distribuzione dei singoli elementi, l’impiego di grandi masse arboree, di giuochi d’acqua, ecc.

Si giunge per questa via non soltanto al giardino inteso come ordinamento o rettifica formale di un paesaggio naturale, ma anche all’inserzione di elementi architettonici o di costruzioni secondarie, spesso determinate esclusivamente dall’opportunità di inserire nello spazio del giardino nuovi nuclei architettonici, ideati in funzione del giardino stesso: tipico il caso dei ninfei, dei porticati, ecc.

È inoltre da notare come il giardino, da integrazione scenica dell’architettura della villa, tenda sempre più a diventare elemento di fusione tra lo spazio architettonico dell’edificio e lo spazio naturale o, più propriamente, tra uno spazio dedicato alla vita ” civile” dei proprietari e le aree della vita ” rustica”, dedicate alla normale coltura agricola. La distinzione, facilmente osservabile nel parco e nel giardino francese dei secoli XVII e XVIII, riflette ora la differenza profonda tra la concezione della natura e il modo di vita del “cittadino”, che cerca nella campagna distrazione e riposo, e la concezione della natura e il modo di vita del “contadino”, che coltiva la terra per vivere. Anche strutturalmente il giardino deve ora prestarsi a svaghi che richiedono uno spazio più esteso, quali la caccia e la pesca: sicché particolare importanza acquista la viabilità del giardino, che ha grandi viali e strade minori fino al viottolo e al sentiero, quasi riproducendo in scala minore i tracciati stradali dell’aperta campagna.

Da questa divisione dei ruoli “artigianali” si evince come gli stessi aspetti vitali del giardino sono fortemente ancorati alla prassi, alla manutenzione quotidiana della vegetazione, mentre la competenza relativa agli “ornements” viene esclusa dalla trattatistica specializzata, rientrando piuttosto in quella dell’architettura e delle altre discipline coinvolte. In tal senso vengono a specificarsi le qualità richieste al giardiniere, che impongono una formazione complessa, comprendente “conoscenza” e “intelligenza”.

Bibliografia

Ville e giardini, a cura di Franco Borsi e Geno Pampaloni, Novara, 1988

Maria Adriana Giusti, Restauro dei giardini, Firenze 2004

Franco Zagari, Manuale di progettazione giardini, Roma 2013

Il valore della classicità nella cultura del giardino e del paesaggio, a cura di Eliana Mauro e Ettore Sessa, Palermo 2010

1 Pierre Grimal, L’arte dei giardini, Donzelli Editori, 2005

2 Columèlla, L’arte dell’agricoltura, Torino, 1977

3 Plinio, Il Laurentino: lettera a Gallo, in Félibien, Vita degli architetti, Venezia, 1755

4 J.F. Blondel, 1773, t. 4, livre II, première partie, p.2.

5 Claude Desgots, 1675-1680

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